Miti della vegetazione
Mito greco – La morte di Adone
Narrano le antiche storie che un giorno una strana pianta, da cui stillavano sempre gocce di resina profumata, incominciò a gemere e a scricchiolare sommessamente; poi la corteccia si spaccò con un grande schianto e ne venne fuori un bimbo fresco e roseo come un fiore di pesco.
Tosto accorsero intorno a lui le Ninfe, le soavi Driadi, Amadriadi e Napèe, che vivono nel più folto dei boschi e che danzano al chiaro di luna nelle vallette solitarie. Esse gli intrecciarono una culla con morbidi steli d’erba e con foglie odorose.
Il bimbo, che si chiamava Adone, crebbe così nel bosco e divenne un bellissimo e fiero cacciatore.
La dea Afrodite (Venere) vide dall’alto del suo cocchio, tratto da una coppia di candidi cigni, il giovinetto e si accese d’amore per lui. Ella gli divenne compagna di caccia in quell’intrico d’alberi, tra le paludi, lungo i torrenti d’acqua, su per i dirupi, nelle praterie solitarie.
Ma dalla sua reggia lontana vennero un mattino gli alcioni a chiamarla. E Afrodite salì sul suo cocchio color dell’aria e così disse, rivolgendosi al cacciatore: – O Adone, non voler abusare della tua forza! Insegui le bestie che fuggono dinanzi a te, ma non cacciare, durante la mia assenza, le belve che amano la lotta!
E scomparve nell’azzurro.
Il giovane s’incamminò con i suoi cani nella boscaglia. Aveva fatto appena pochi passi, quando dal folto irruppe grugnendo un cinghiale dalle orribili zanne.
Perché fuggire? Il cacciatore non conosceva la paura e non volle obbedire alla dea. Afferrò l’arco, scagliò una freccia. La belva ferita si contorse su se stessa, poi, resa pazza dal dolore, si avventò su di lui.
Egli cercò di balzare su di un fianco, ma già il cinghiale lo azzannava nell’anca e lo abbatteva al suolo uccidendolo.
Afrodite udì lontano, nel vento, un grido disperato; e le anitre selvatiche le volarono incontro come per chiamarla in aiuto.
Ella comprese che il giovane cacciatore stava per morire. Volse indietro i cigni e volò nel cuore del bosco.
Laggiù sull’erba c’era un corpo disteso, immobile, in una pozza di sangue. La dea si piegò disperata su quel corpo lacerato e pianse desolatamente.
- Tu non morrai del tutto: io dal tuo sangue farò sbocciare un fiore!
Trasse dal cocchio una piccola ampolla, piena di nettare e versò il divino liquore sul sangue. Tosto, come per incanto, si videro germogliare e drizzarsi al sole lunghi steli dai bei fiori rossi, azzurri, viola.
Dal sangue del giovane cacciatore erano nati gli anemoni.
da L. Aimonetto, il filo di Arianna.