Ailano è un piccolo comune in provincia di Caserta con
meno di duemila abitanti che vengono denominati Ailanesi. Il territorio
comunale ha una superficie di 15,49 kmq ed è situato ad un altitudine di 260
metri. San Giovanni Apostolo è il Santo Patrono. Le frazioni di Ailano sono
Cerquete (Grotta di Coscina), Colle di Sabelluccio, Le Vaglie. Distanza dal
capoluogo 51 km. Per raggiungerlo Autostrada A1 Milano-Napoli uscita Caianello.
Comuni limitrofi sono: Vairano Patenora, Pratella, Prata Sannita, Raviscanina.
Situata nella media valle del Volturno, una piana
alluvionale con argille sabbiose, limi e terreni umidi, perlopiù commisti a
materiali piroclastici, Ailano sorge ai piedi del monte Coppolo, estrema
propaggine del Massiccio del Matese. Il territorio comunale, attraversato dal
torrente Rivolo, è composto in maggioranza da boschi e pascoli.
Le prime notizie della presenza in questo luogo di un
castello fortificato risalgono a pergamene di epoca normanna che vi si
riferiscono utilizzando la denominazione di Athilanum e di Aylanum.
L’origine del toponimo viene fatta risalire dal
Ciuverio a un villaggio romano di nome Aebutianum, citato tuttavia soltanto
dalla Tabula Peutingeriana. Molto più probabile è però una formazione prediale
dal nome latino Allius con l’aggiunta di un suffisso.
Il territorio di Ailano fu forse abitato in Età
eneolitica: a quest’epoca, infatti, risalgono un pugnale, alcune punte di
freccia e raschiatoi di selce qui rinvenuti ed ora conservati presso il Museo
Provinciale Campano di Capua.
Inoltre in località Cerquete o Grotta di Coscina, tra
il 1855 e il 1870, furono riportate alla luce tombe di età sannitica. Oltre 200
tombe vennero scoperte anche in località Colle di Sabelluccio, mentre un’altra
fu scoperta all’interno dell’abitato, in via Roma. E ancora, due vasi a vernice
nera, già nel Museo Civico di Piedimonte Matese, provengono da Ailano, mentre
un santuario preromano sorgeva in località Zappini, dove furono ritrovate anche
due statuette in bronzo raffiguranti Ercole e Marte.
Dalle carte dell’antico Monastero di Cingla risulta
che in epoca normanna le terre di Ailano erano un possedimento dell’Abbazia di
Monte Cassino, ma la notizia è ancora discussa. E’ invece certo che nel 1229
Ailano era feudo dei d’Aquino, di parte ghibellina, e proprio per questo subì
l’assedio delle truppe papali. Nel 1266 passò al francese Simon de Fossis, poi,
nel 1320, ne divenne signore Oddone Rapa. Nel 1325 risultano rendite
ecclesiastiche tassate per 9 tarì. Nel Quattrocento il feudo appartenne a
Pandone di Venafro e nel 1536 fu concesso ad Alfonso Gualando. Il lungo elenco
dei proprietari prosegue con le famiglie Carafa e De Penna, poi Matteo e
Carbonelli e infine, dal 1733, Rayola Pescarini. Fra gli episodi più rilevanti
degli ultimi secoli, va ricordato che nel 1860 il castello di Ailano ospitò
alcuni patrioti che si stavano organizzando per liberare dai Borboni la Terra
di Lavoro, e che nell’ottobre del 1943 il paese si trovò sul fronte di guerra e
fu cannoneggiato dagli americani. Continua domani.
Un dettaglio della facciata di Santa Maria della Natività.
Aiello del
Sabato – 2
Un antico
paese immerso nel verde in provincia di Avellino.
La
Parrocchiale di “Santa Maria de Agello”
Di questa antica chiesa di Aiello del Sabato (oggi
chiamata Santa Maria della Natività) si ha notizia in un documento del 1164 che
ne attesta la dipendenza dal Monastero di Montevergine.
L’edificazione dell’attuale struttura risale
presumibilmente al XVI secolo. A partire dal 1750 l’edificio ha subito vari
restauri, resisi necessari soprattutto in seguito ai danni provocati dai
terremoti del 1857, del 1930 e del 23 novembre del 1980.
Il soffitto è decorato da un affresco raffigurante la
Natività della Madonna eseguito da Alfonso Grassi di Solofra nel 1962. Prima di
questa data, fissati alle travi della navata centrale, vi erano due dipinti
attribuiti da alcuni storici a Francesco Guarini (1611-1654), che furono
rimossi per il cattivo stato di conservazione.
Pregevole è il parapetto dell’altare, in tarsie e incrostazioni
di marmo, del Settecento. Nella chiesa sono inoltre conservati alcuni dipinti
del XVIII secolo e statue in legno policromo fra cui quella di San Sebastiano,
patrono del paese, festeggiato il 20 gennaio.
Nel centro storico sorge la seicentesca Chiesa di San
Sebastiano, ad un’unica navata, in cui sono conservati dei pregevoli stalli
lignei. Sulla medesima piazza su cui prospetta la chiesa si affaccia l’antico
Palazzo Ricciardelli.
Il 4 gennaio celebra invece il suo patrono la frazione
di Tavernola San Felice, località che per lungo tempo ha condiviso con Aiello
del Sabato la condizione di “casale” del feudo di Atripalda. Nei pressi della
parrocchiale è situato un edificio in stile gotico, con portali e bifore
ogivali risalente alla metà del Trecento. Interessante è anche Villa Preziosi,
della fine del secolo scorso, circondata da un vastissimo parco, nella quale
sono nati diversi personaggi illustri fra cui lo scrittore e filosofo Domenico
Giella (1821-1895).
A Tavernola San Felice è tradizione che il giorno di
Pasqua i giovani offrano ai compaesani, come gesto augurale, un rametto di
rosmarino con legato un limone, ottenendo in cambio danaro o prodotti quali
salumi, vino o frutta.
Le favorevoli condizioni climatiche e la ricchezza
delle acque sorgive hanno fatto dell’agricoltura la principale risorsa
economica di Aiello del Sabato fin dai tempi più antichi. I 1083 ettari su cui
si estende il territorio comunale sono infatti coltivati a cereali, vigne e
alberi da frutta. Il vasto patrimonio boschivo ha reso possibile anche lo
sviluppo di attività artigianali legate alla lavorazione del legno.
Un antico
paese immerso nel verde in provincia di Avellino.
La chiesa di San Sebastiano
Gli abitanti sono denominati Aiellesi e sono circa
3000, il territorio comunale ha una superficie di 10,83 kmq ed è situato a 425
metri di altitudine.
Il Santo Patrone venerato è San Sebastiano. Frazioni e
località sono Tavemola San Felie, Sabina.
Comuni limitrofi: Contrada, Avellino, Atripalda,
Cesinali, San Michele di Serino, Serino, Solofra.
Distanza da Avellino 6 km; Autostrada, Casello A16
Avellino Ovest.
Situato sul crinale della dorsale che separa la valle
del fiume Sabato da quella del rio d’Aiello, a sud-est di Avellino, e
circondato da monti coperti di boschi di castagni, querce e faggi, questo
piccolo centro irpino vanta origini molto antiche.
Alcuni reperti archeologici testimoniano, infatti,
come il suo territorio, ricco di vegetazione, fauna e sorgenti, fosse abitato
già in epoca preromana.
La denominazione del paese sembra alludere alla sua
antica tradizione rurale: Aiello deriverebbe infatti da agellus (piccolo
rudere), diminutivo di ager (terreno da coltivare). La seconda parte del teponimo
(del Sabato, per alcuni dal nome del fiume, per altri da quello della città di
Sabatia) è invece stata aggiunta all’indomani dell’Unità d’Italia per delibera
del consiglio municipale (10 novembre 1862) e, successivamente, per Decreto
regio (22 gennaio 1863) al fine di distinguere il paese dagli altri due centri
omonimi (Aiello Calabro e Aiello del Friuli).
Da
insediamento romano a “casale” dei Caracciolo
Alcuni storici attribuiscono la fondazione di Aiello
del Sabato ai profughi di Sabatia, mitica città sannitica distrutta dai Romani,
la cui esistenza sarebbe però stata smentita da recenti studi. E’ stato infatti
dimostrato che i ruderi della Civita di Ogliara, alle falde del monte Terminio,
nei quali si erano in un primo momento riconosciute le vestigia dell’antica
città, non sono altro che i resti di fortificazioni di epoca longobarda.
In età imperiale il territorio di Aiello del Sabato
entrava nella giurisdizione della colonia di Abellimum (città che sorgeva nei
pressi dell’odierna Atripalda).
Lo stesso nomme della frazione Sabina testimonierebbe
la presenza in zona di una villa rurale, probabilmente proprio di quella gens
Sabina che molte iscrizioni attestano come una delle famiglie più nobili della
colonia.
Un’epigrafe ritrovata presso la sorgente di Acquaro
ricorda l’acquedotto fatto costruire da Augusto in questa regione, e che,
passando da Aiello del Sabato, proseguiva per via sotterranea fino a Montoro.
Un’altra importante testimonianza è costituita da un’iscrizione latina datata
541, posta all’interno della Chiesa di Santa Maria della Natività. In essa si
ricorda il “servo di Dio Giovanniccio (…) che visse 80 anni” e che per ventuno
avrebbe esercitato il suo apostolato in quella comunità.
In epoca longobarda Aiello del Sabato fu uno dei “casali”
appartenenti al feudo di Atripalda. Nel 1045 era proprietà del chierico
Rodelferio, come si apprende da un documento in virtù del quale questi otteneva
dal principe di Benevento l’esenzione dalle imposte su vari possedimenti. In
seguito le vicende storiche e politiche di Aiello del Sabato rimasero legate a
quelle di Atripalda.
Nel corso dei secoli il piccolo centro fu così proprietà delle varie famiglie che si avvicendarono alla guida del feudo, fra cui i Capece, gli Orsini, i Castriota e, infine (dal 1563 al 1806), i Caracciolo, principi di Avellino.
Nel corso dei secoli Agropoli è stata sottoposta a una
flessione demografica notevole, i cui motivi possono essere ricondotti a due
grossi problemi, uno proveniente dalla terra e l’altro dal mare. Infatti, il
fenomeno di impaludamento, già presente in epoca imperiale, assunse proporzioni
maggiori nel corso delle invasioni barbariche: le terre, peraltro già infestate
dalla malaria, furono abbandonate durante la peste del XIV secolo e la guerra
del Vespro combattuta fra angioini e aragonesi.
Una veduta di Palazzo Mainenti
Le incursioni barbaresche, che si abbatterono sulla
costiera cilentana, contribuirono a spopolare ulteriormente il territorio:
Agropoli fu devastata nel 1515, quando Kurdogli, dpo averla saccheggiata,
condusse in schiavitù circa 300 persone.
Fu poi la volta delle scorrerie del corsaro Barbarossa
(Khair ad-Din) e di Dragùt; nel 1629 Agropoli fu attaccata da turchi e
bisertini (l’episodio viene ricordato ancora oggi con la rappresentazione
storica dell’ “Assalto dei Turchi”).
Uno scorcio di vita paesanaUn altro scorcio di vita paesana
La peste del 1656 provocò numerosi morti: nello stato
delle anime del 1686 le famiglie si erano ridotte a 113. Conseguenza del calo
demografico furono le crescenti sperequazioni da parte dei proprietari
terrieri; il catasto del 1663 registrava solo 34 proprietà, oltre ai beni
feudali, consistenti in 340 tomoli, e alle 11 fondazioni pie con 382 tomoli (il
Convento di San Francesco ne era il maggior proprietario). La struttura produttiva
risultava ormai in questa data caratterizzata da un netto dualismo: lungo la
fascia collinare litoranea oltre al vigneto iniziarono ad affermarsi il gelseto
e il ficheto; invece nella parte pianeggiante, adiacente alla piana del Sele,
subentrò l’allevamento dei bufali.
una cassetta delle lettere con lo stemma sabaudo e i fasci littorio
La situazione non mutò neanche nei secoli successivi:
i dati catastali (1756) rilevano che nel comune vi erano 177 nuclei familiari
che detenevano oltre 2990 tomoli di terra. Solo tre famiglie di civili, fra cui
i fratelli Donato e Annibale Mingone, e una di grandi allevatori possedevano
proprietà che superavano i venti tomoli. Permanevano tuttavia anche grandi
proprietà feudali ed ecclesiastiche.
Una certa ridistribuzione della proprietà si ebbe solo
nell’Ottocento, quando ad Agropoli si registrarono 409 aziende agricole di
cittadini e 253 di forestieri. Solo tre proprietari superavano i 20 tomoli,
mentre erano diminuiti i beni ecclesiastici e feudali. Comunque, accanto al
consolidamento della piccola proprietà, permaneva ancora l’allevamento dei
bufali nei latifondi che si affacciavano sulla piana del Sele. La crisi della
produzione serica fu compensata dall’incremento della produzione di fichi e
dalla loro esportazione (prima per Napoli e poi per l’America Latina) nonché
dalla fabbricazione di alcool. Tale sistema produttivo cessò con la crisi
agraria degli anni Ottanta dell’Ottocento: i fichi provenienti da Smirne
presero il posto di quelli di Agropoli e delle colline cilentane.
Una veduta della costa
Bisognerà aspettare i primi decenni del Novecento
perché la struttura territoriale dell’agro comunale muti completamente. Ciò
risulta maggiormente evidente analizzando l’incremento demografico a partire
dall’inizio del Novecento: 3000 abitanti nel 1901; 3576 nel 1911; 4044 nel
1921. In questa data lo spostamento della popolazione dai comuni interni del
Cilento verso la costa è già iniziato e lo sviluppo del centro di Agropoli ben
lo rivela: inizia infatti l’espansione dell’abitato verso le colline poste a
ovest. Ma è dopo la bonifica degli anni Trenta del Novecento che il centro
“esplode” a livello demografico passando dai 5335 abitanti nel 1931 ai 10.744
del 1971 fino a circa 12.000 del 1991.
Le cause dell’incremento sono molteplici: il
debellamento della malaria, l’enorme potenzialità offerta dalla vicina pianura
del Sele, la crisi economica e la flessione demografica delle zone interne, lo
spostamento in massa della popolazione verso la fascia collinare litoranea e la
pianura.
Il degrado urbanistico attuale e l’ampliamento abnorme
del centro verso sud-est – come gli inevitabili dissesti ambientali – vanno
inseriti in questo processo di spostamento demografico della popolazione dalle
zone interne verso la costa, dato questo confermato dalla presenza di una
grande quantità di case disabitate.
Agropoli è una città in provincia di Salerno, una
superficie di 32,61 km quadrati, ad un altitudine sul livello del mare di 24
metri, oltre 18.300 abitanti.
Gli abitanti vengono denominati Agropolesi. Santi
Patrono Pietro e Paolo. La distanza dal capoluogo Salerno è di 52 km. Uscita
Autostrada del Mediterraneo (ex A3) Salerno-Reggio Calabria al casello di
Battipaglia.
Le frazioni e le località del Comune sono: Madonna del
Carmine, Muoio, Matinella, San Marco, Fuonti, Mattine.
I comuni limitrofi sono: Capaccio, Cicereale,
Ogliastro C., Prignano C., Torchiara, Laureana C., Castellabate.
Un antica fontana
Agropoli è un centro
marino, turistico e commerciale, il paese si distende su un promontorio, posto
quasi a ridosso delle colline del Cilento, fino al mare. Qui, case e strade
seguono l’andamento sinuoso della costa; nella parte più antica si chiudono nel
borgo medioevale, su cui domina il Castello dei Sanfelice. L’agro comunale è la
naturale prosecuzione, dopo il comune di Capaccio-Paestum, della piana del
Sele.
Rilievi archeologici segnalano la presenza di insediamenti neolitici, che si intensificano nell’Età del Bronzo e del Ferro. Nel periodo compreso tra il I secolo a.C. e il V d.C., a causa del progressivo abbandono del porto di Poseidonia, la zona costiera a est del promontorio – posta quasi alla foce del fiume Testene – offrì ai Greci un approdo sicuro per il commercio.
La tradizione fa risalire la fondazione di Agropoli al V-VI secolo d. C., al tempo in cui i bizantini, alla ricerca di una roccaforte a sud di Salerno, fortificarono le abitazioni sul promontorio, cui dettero il nome di Acropolis, che significa appunto “città alta”. Il successivo passaggio del toponimo da Acropoli ad Agropoli viene spiegato dagli studiosi come una contaminazione con il termine di origine latina ager, campo.
Una veduta aerea del centro
Fra le aree archeologiche riferibili a insediamenti
greco-romani va ricordata quella del Sauco, per il muro di terrazzamento e per
un sepolcro bisomo, destinato cioè a due salme; inoltre, nello specchio di mare
prospiciente il paese, sono state recuperate numerose anfore e ancore.
Grazie alla posizione strategica della roccaforte,
Agropoli divenne ben presto appetita da naviganti e conquistatori, pirati e re:
nell’882 fu occupata dai Saraceni, poi dai Longobardi, dai Normanni e, dopo una
parentesi sveva, dagli angioini.
Il promontorio su cui sorge Agropoli
Proprio gli angioini favorirono il consolidamento
della grande baronia del Cilento, appannaggio dei principi Sanseverino di
Salerno. Dopo un lungo periodo passato sotto la giurisdizione vescovile di
Capaccio, Agropoli venne inglobata nei possedimenti feudali dei Sanseverino,
almeno fino al 1552, quando gli ultimi esponenti della casata, accusati di
fellonia, espatriarono dal regno e i feudi confiscati ai principi di Salerno
vennero ripartiti fra nuovi baroni. In questo modo Agropoli passò a mercanti
genovesi come i Grimaldi (Nicola Grimaldi, avo dell’illustre illuminista
calabrese Domenico Grimaldi, fu intestatario del feudo di Agropoli e Laureana
nel 1639), poi ai Pinto e agli Zattara (Ludovico Pinto subentrò
nell’intestazione del feudo nel 1640, mentre Carlo Zattara nel 1654). Nel
Settecento il feudo ricadde sotto la giurisdizione della famiglia Sanfelice
(del Monte o delli Monti) che – tranne la parentesi della giurisdizione della
famiglia del Giudice, avutasi dal 1766 al 1779 – rimase ininterrottamente in
possesso del feudo. L’ultima baronessa Sanfelice di Agropoli fu coinvolta nelle
tristi vicende della congiura giacobina del 1799 e venne giustiziata dai
borbonici assieme ad altri patrioti napoletani.
Il Castello dei Sanfelice
Il Castello dei
Sanfelice, dal nome dell’ultima casata che ne fu proprietaria, occupa
un’ampia porzione di Agropoli vecchia; dai suoi muraglioni affacciati sul mare
è possibile vedere l’intero golfo di Salerno. La struttura esterna del forte si
riferisce al periodo angioino-aragonese: è a pianta triangolare ed è rinforzata
ai vertici da tre torri cilindriche. L’impalcatura interna, deteriorata già nel
corso del Settecento, fu distrutta completamente nel decennio della
denominazione francese.
Le parti meglio conservate del castello offrono uno
sfondo suggestivo alle numerose manifestazioni di carattere folcloristico e
culturale.
La porta di accesso al borgo
Il borgo ha mantenuto quasi inalterate le sue
caratteristiche medioevali; sono ancora visibili in qualche punto tratti di
mura che in passato cingevano l’intero abitato. La porta di accesso al borgo, preceduta da una lunga scalinata, risale
al XVI secolo: sormontata da stemma, è decorata con cinque merli.
La Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli
Nelle immediate vicinanze della porta si innalza la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli: di
origine seicentesca, ristrutturata più volte, è luogo di culto frequentato dai
pescatori, che proprio alla Madonna di Costantinopoli dedicano il 24 luglio una
processione sul mare.
Sempre al XVII secolo risale la costruzione della Chiesa di Santa Maria delle Grazie,
mentre la Chiesa dei Santi Pietro e
Paolo è interessante per la decorazione barocca dell’altare maggiore.
L’edificio religioso più antico è il Convento di San Francesco: costruito
forse nel 1230, sorge su un promontorio a ovest dell’abitato. Una leggenda
narra che da quello stesso promontorio San Francesco abbia parlato ai pesci.
Un’altra leggenda è legata invece a San Paolo: sembra
che il santo, durante il viaggio da Reggio a Pozzuoli, abbia fatto una sosta ad
Agropoli e convertito due vergini, martirizzate poi presso una fonte che da
quel giorno ebbe proprietà miracolose. Continua domani.
La Parrocchiale di San Pietro a Pianillo – Il campanile
Il Castello
Lauritano e le chiese delle frazioni.
La maggiore attrattiva paesaggistica di Agerola è
costituita dalla caratteristica posizione delle sue frazioni, disposte, come si
è detto, a ferro di cavallo.
In particolare, nella località San Lazzaro, si aprono
due belvedere sul mare. Il primo, si trova al termine di un sentiero che si
percorre tra castagni e alberi d’alto fusto, davanti al rudere del Castello Lauritano, una delle
costruzioni più antiche, volute nell’XI secolo dalla Repubblica amalfitana per
un più facile avvistamento dei Saraceni. E’ su tre livelli e a pianta
rettangolare, ma ne è rimasto ben poco: il fronte si apre con tre archi, mentre
ai piani superiori si hanno tracce di volte preesistenti. Il castello, che si
affaccia a strapiombo sul mare, sovrasta in linea retta la sottostante Amalfi.
L’altro belvedere è a Punta San Lazzaro: da qui lo sguardo abbraccia un’ampia
porzione della costa fino ad avvistare il profilo dell’isola di Capri.
La Parrocchiale di San Pietro a Pianillo – La navata centrale
Fra gli edifici religiosi è da ricordare la Parrocchiale dell’Annunziata a San
Lazzaro, in stile barocco. L’interno è suddiviso in tre navate, di cui quella
centrale è a botte ribassata. All’esterno, il campanile, squadrato in muratura,
è su quattro livelli di cui l’ultimo, poligonale, è coperto da una cupola con
lanternino. La vicina Cappella dell’Arciconfraternita
del Santissimo Sacramento, che risale al XVIII secolo, presenta un’unica
navata e un’abside semicircolare. Nella stessa piazza, in stile neoclassico, si
trovano i resti del Castello Avitabile,
fatto costruire a metà Ottocento dal generale Paolo, viceré delle Indie. Allo stesso
periodo risale l’albergo Risorgimento, in via Antonio Coppola.
Una veduta interna della Parrocchiale di San Martino a Campora.
In località Campora, su un largo piazzale, si affaccia
la chiesa seicentesca di Maria
Santissima delleGrazie divenuta
nel 1942 Parrocchiale di San Martino.
L’altare custodisce le reliquie dell’apostolo Andrea e dei Santi Cosma e
Damiano. La costruzione è, all’interno, a navata unica, ripartita da pilastri e
archi a tutto sesto. Il transetto, diviso in tre navate, presenta in quella
centrale una cupola di copertura. All’esterno, il campanile è squadrato,
terminante a cuspide.
A Bomerano si trova la piccola Chiesa di San Lorenzo, che risale al XVI secolo. L’interno è a
unica navata con volta a botte, mentre l’abside ha una pianta rettangolare. Un altro
importante edificio sacro, sempre a Bomerano, è la Parrocchiale di San Matteo Apostolo, recentemente restaurata.
Risale al 1580, come risulta anche dal fonte battesimale, ed è stata
ricostruita su una chiesa preesistente. Dopo vari rifacimenti, l’attuale
facciata del 1930 è in stile neoromanico. L’interno è a tre navate con absidi
alle estremità. Il soffitto della chiesa, già oggetto di restauro, risale al
1717 e ricorda, sia nell’impianto che nella decorazione, quella della
Cattedrale di Amalfi. Di Paolo de Majo di Marcianise, seguace di Francesco
Solimena, è la tela al centro con il Martirio di San Matteo. La tavola con la
Madonna del Rosario del 1682 è opera di Michele Regalia.
La facciata della Chiesa di San Lorenzo.
A Pianillo, sulla vecchia strada statale, si trova la Parrocchiale di San Pietro, di cui si
ignora la data di fondazione, anche se una sua campana reca incisa la data del
1363. La facciata è barocca, con un grosso timpano triangolare sopra il
portale. Il campanile è a cinque ordini e termina con una cupola di maioliche. L’interno
è a tre navate, con volta a crociera nelle navatelle. Lungo la strada per
Pimonte, si scorge il campanile della bella Parrocchiale di Santa Maria La Manna, posta in località Santa
Maria: l’edificio risale al XV secolo, e al suo interno è custodita una
statuetta che la leggenda vuole sia stata trasportata dal Levante.
Un dipinto all’interno di San Matteo Apostolo a Bomerano.
La vita
economica tra passato e presente.
La voce portante dell’economia agerolese è il turismo:
l’aria salubre e la vicinanza al mare sono gli elementi essenziali per questa
attività.
La selezione della razza bovina detta “mucca agerolese”
ha favorito la produzione di latte in abbondanza, gustoso e denso, ed ha reso
possibile lo sviluppo di un’industria casearia fiorente e rinomata in tutta la
penisola italiana. I boschi intorno sono ricchi di castagni e funghi.
Nei primi secoli di vita, in età romana, Agerola era
un grosso centro di produzione di laterizi e di ceramica per stoviglie. Gli agerolesi
infatti furono i primi ceramisti della costiera.
Durante lo splendore della Repubblica amalfitana molti
alberi secolari vennero abbattuti per costruire grandi e piccole imbarcazioni. Nel
medioevo si coltivava anche una rosa bianca, la “rosaria” per ricavarne essenze
ricercate, un’industria fiorente fino al seicento.
Agerola era ricca e famosa per la coltivazione del
baco da seta appresa dagli amalfitani in Oriente prima del Mille. Una colonia
di ebrei, poi, ne promosse la lavorazione. Questa produzione si concluse
definitivamente con l’Unità d’Italia. Contemporaneamente fu dato avvio alla
lavorazione del cotone e della lana, e ben presto Agerola divenne un importante
centro tessile.
Tipici del territorio erano anche i mulini ad acqua,
che permisero la creazione di cartiere, come quella di Ponte del 1700 e di
Amalfi. Durante la dominazione borbonica l’economia era prospera, ma dopo il
1860, con il crollo delle barriere doganali, le attività legate alla tessitura
non ressero alla concorrenza del Nord e fallirono.
Dal 1950, dopo un secolo di relativa povertà, si è
avuta una notevole ripresa economica dovuta non solo al turismo, ma anche alla
presenza di tanti piccoli laboratori artigianali in cui vengono confezionati,
con tessuti di garza di cotone, capi di vestiario meglio conosciuti con il nome
di “abiti di Positano”.