La fiducia in sé produce la maggior parte della fiducia negli altri.
Esiste un mutamento generale che cambia i gusti intellettuali come le fortune materiali.
La verità è il fondamento e la ragione della perfezione e della bellezza; una cosa, di qualsiasi natura essa sia, non può essere bella e perfetta se non è veramente tutto ciò che deve essere e se non ha tutto ciò che deve avere.
Figliole d’Antignano1, bona ge’, ‘o cunto ‘e Mariarosa è chistu cca. Si have ragione e dámmole ragione, e si have tuorto e dámmole ragione, ca sempe have ragione chi vo’ bene. Sole d’austo, nèh. Sole d’austo, nèh.
Ragazze di Antignano1, brava gente, il racconto di Mariarosa è questo qua. Se ha ragione e diamole ragione, e se ha torto e diamole ragione, perché ha sempre ragione chi vuole bene. Sole d’agosto, nèh. Sole d’agosto, nèh.
Dicette ‘a mamma: “Figlia, arrassusìa, attienta a te mo ch’è venuta está, ‘o sole coce e ‘ncapa puó piglià ‘na malatia. Va’ pe sotto ‘e ffresche frasche, chisto è ‘o ‘mbrello e ‘o sciosciamosche, nun te sperdere ‘int’ô bosco, taglia ll’erba e torna cca”.
Disse la mamma: “Figlia, non sia mai, stai attenta a te ora che è arrivata l’estate: il sole scotta ed alla testa puoi prendere una malattia. Cammina sotto le fresche frasche, questo è l’ombrello e lo scacciamosche, non perderti nel bosco, taglia l’erba e torna qua”.
Bona gè’, sentite appriesso ‘o fatto comme va, comme va, comme va.
Buona gente, Sentite poi il fatto come va, come va, come va.
Figliole d’Antignano, bona gè, ‘o cunto ‘e Mariarosa è chistu cca. Sunava già p’ ‘a via quacche zampogna, sfrunnate erano ll’arbere ‘ncampagna, friddo ‘a matina ca spaccava ll’ogne. Natale e neve, nèh. Natale e neve, nèh.
Ragazze di Antignano, brava gente, il racconto di Mariarosa è questo qua. Già suonava per la strada qualche zampogna, senza foglie erano gli alberi in campagna, freddo al mattino che spaccava le unghie. Natale e neve, nèh. Natale e neve, nèh.
Dicette ‘a mamma: “Figlia, arrassusìa, attienta a te ca friddo e gelo fa. Cummògliate si no ce puó appezzà ‘na purmunìa. Miettatélla, tutt’ ‘e ssere, ‘na pettiglia2 a carne annura, ‘nfacci’ô ffuoco d’ ‘o vrasiere sotto e ‘ncoppa t’hê ‘a scarfà”.
Disse la mamma: ” Figlia, non sia mai, stai attenta che freddo e gelo fa. Copriti se no puoi prendere una polmonite. Mettila tutte le sere, una stoffa2 sulla carne nuda. davanti al fuoco del braciere sotto e sopra ti devi riscaldare”.
Bona ge’, sentite appriesso ‘o fatto comme va, comme va, comme va.
Buona gente, Sentite poi il fatto come va, come va, come va.
Figliole d’ Antignano, bona ge’, ‘o cunto ‘e Mariarosa è chistu cca. Dicette ‘a mamma: “Guàrdate ‘int’ô specchio, che so’ ‘sti dduje canale sott’a ll’uocchie? Che scuorno hê dato a me, povera vecchia”. Abbrile, abbrile, oje ma’. Abbrile, abbrile, oje ma’.
Ragazze di Antignano, brava gente, il racconto di Mariarosa è questo qua. Disse la mamma: “Guardati allo specchio, cosa sono questi due solchi sotto gli occhi? Che vergogna hai procurato a me, povera vecchia”. Aprile, aprile, o mamma. Aprile, aprile, o mamma.
Diciste: “Attient’ô sole figlia mia ca ‘o sole po’ fá male ‘int’a ll’està e attienta a te quann’è Natale e fa friddo p’ ‘a via. Ma pecché po, a Primmavera, nun diciste a chistu core: statte attiento pe ll’ammore ca, d’abbrile, attuorno va?”
Dicesti: “Attenta al sole figlia mia perché il sole può far male in estate e attenta quando è Natale e fa freddo per la strada. Ma perché poi, in primavera, non dicesti a questo cuore: Stai attento all’amore che, in aprile, in giro va?”
Bona ge’, ‘o fatto ‘e Mariarosa è chistu cca, chistu cca, chistu cca.
Brava gente, il racconto di Mariarosa è questo qua, questo qua, questo qua.
La canzone fu presentata nel 1931 ad uno dei primi tentativi di organizzare un festival della canzone a Sanremo. La manifestazione, chiamata Festival Napoletano e organizzata da Ernesto Tagliaferri e Ernesto Murolo, si svolse tra il 24 dicembre e il primo gennaio e aveva come obiettivo quello di esportare la canzone napoletana al di fuori dei confini regionali. L’anno dopo la kermesse si trasferì a Lugano, per poi interrompersi e ritornare a Napoli nel 1952 con il nome di Festival di Napoli. Durante l’edizione “sanremese” vennero presentati alcuni brani inediti intervallati da classici del passato. Nell’occasione, la canzone fu cantata da Ada Bruges. Tra le altre interpretazioni, ricordiamo quelle di Angela Luce, Roberto Murolo, Giacomo Rondinella, Aurelio Fierro e Mirna Doris.
1 Il rione di Antignano è una delle zone più antiche del quartiere del Vomero a Napoli.
2 Pezzo di stoffa rettangolare, legato e incrociato dietro la schiena, realizzato spesso con un vecchio maglione, che veniva adoperato per tener caldo e nascondere, almeno in parte, il seno.
Remberto (Rimberto), nato a Bruges e fattosi monaco nel vicino monastero di Thourout, fu chiamato da Anscario, arcivescovo di Amburgo (3 feb.), perché lo assistesse nella difficile missione di evangelizzazione della penisola scandinava e della Germania settentrionale.
Anscario disse di lui: «Remberto è più degno di essere arcivescovo di quanto io lo sia di essere suo diacono».
Nell’848 iniziò la sua opera per l’unificazione della sede episcopale di Brema, fino ad allora sotto la giurisdizione dell’arcidiocesi di Colonia, con quella di Amburgo, e Anscario divenne arcivescovo di Amburgo-Brema con potere anche sulle Chiese scandinave, ricevendo l’approvazione papale nell’864 da papa Nicola I. L’anno dopo Anscario morì e Remberto fu eletto suo successore. Nel periodo in cui Remberto fu arcivescovo la missione in Svezia ebbe un tracollo, ma egli promosse l’evangelizzazione del sud della Norvegia e dello Schleswig; iniziò anche missioni tra gli slavi del nord. Vendette vasellame sacro per riscattare prigionieri dei normanni e in un’occasione offrì il cavallo che stava cavalcando per liberare una ragazza catturata dagli slavi.
Scrisse una Vita di Anscario, molto apprezzata per l’accuratezza e lo stile, e una significativa lettera a Valburga, badessa di Nienheerse.
Remberto morì l’11 giugno 888; in precedenza la sua festa era celebrata il 4 febbraio, data che ricordava la sua elezione ad arcivescovo.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Brema in Sassonia, nell’odierna Germania, san Remberto, vescovo di Amburgo e di Brema, che, fedele discepolo di sant’Oscar e suo successore, estese il proprio ministero alle regioni della Danimarca e della Svezia e, al tempo delle invasioni dei Normanni, si prese cura del riscatto dei prigionieri cristiani.
Nato a Castelnuovo Scrivia (Al), ricevette l’abito domenicano a Piacenza. L’esattezza nell’osservanza della regola e la vivissima passione per lo studio caratterizzarono gli anni di preparazione all’apostolato. Ordinario di teologia all’Università di Pavia: alternò all’insegnamento un’efficace e brillante predicazione che gli meritò l’appellativo di “secondo san Paolo”. Mori a Saluzzo, e il suo corpo è venerato nella chiesa di san Giovanni battista. La città lo elesse patrono per aver ottenuto miracolosamente da lui, nel 1487, la liberazione da un terribile assedio.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Saluzzo in Piemonte, beato Stefano Bandelli, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, insigne nella predicazione e assiduo nell’ascolto delle confessioni.
Rosa Molas nacque a Reus, vicino a Tarragona nella parte nordorientale della Spagna, dove i suoi genitori gestivano un piccolo negozio. La mamma mori di colera quando lei aveva diciassette anni. Il suo desiderio di farsi religiosa incontrò il rifiuto del padre. Solo dieci anni dopo poté lasciare la casa palerua entrando in un’associazione locale di suore che operavano nell’ospedale cittadino. Ricevette l’abito e il nome di Maria Rosa. Otto anni dopo divenne superiora della Casa della Misericordia, nei sobborghi di Tortosa, nell’estremo sud sulle coste mediterranee, dove trovò trecento ricoverati che vivevano nello squallore e nel disordine, vecchi, malati, ragazzi e bambini. Si mise subito al lavoro per migliorare le condizioni e porre fine a quella situazione caotica.
Rimase a Tortosa altri otto anni prima di scoprire che l’ordine nel quale era entrata si era costituito in modo irregolare.
Dopo discussioni dolorose, con altre dodici compagne si mise sotto la giurisdizione del vescovo locale, costituendo il primo nucleo di una nuova congregazione: Nostra Signora della Consolazione. Scelse questo nome per significare che si sarebbero occupate dell’educazione, della cura e di tutto ciò che era inerente al soccorso dei bisognosi, in particolare dei ragazzi. Oggi le suore operano particolarmente nel Terzo mondo, lavorando oltre che in Europa, nel Sud America e in parti dell’Africa e dell’Asia.
Madre Maria Rosa mori a Tortosa la domenica della Trinità, 11 giugno 1876; fu beatificata da papa Paolo VI nel maggio 1977 e canonizzata da Giovanni Paolo II 1’11 dicembre 1988.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Tortosa in Spagna, santa Rosa Francesca Maria Addolorata (Maria Rosa) Molas Vallvé, vergine, che trasformò un sodalizio di pie donne nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Consolazione per il servizio ai bisognosi.
La Vita di Aleide, o Alice, scritta da un contemporaneo, probabil mente un monaco cistercense e confessore della comunità, è molto semplice ma sincera. Era una bambina delicata e gentile, nata a Schaerbeek, nei pressi di Bruxelles, e a sette anni entrò nel monastero di monache cistercensi di Le Cambre, appena fuori città. Ancora molto giovane contrasse la lebbra e, con grande dolore delle consorelle, dovette vivere segregata (la lebbra era arrivata in Europa al tempo delle crociate ed era molto temuta).
Aleide accettò la sua infermità e la segregazione con la sua solita umiltà, con atteggiamento riservato e con totale rassegnazione alla volontà di Dio. La sua unica consolazione era quella di ricevere la S. Comunione, che le era data sotto la specie del pane e non anche del calice per timore del contagio. La Comunione sotto una sola specie o per intinzione non sembra fosse la norma a Schaerbeek, e per lei era un grande dolore questa privazione finché le fu rivelato, nella preghiera, che anche in questo modo non le veniva sottratto nulla: «Dove c’è una parte, c’è anche l’intero».
Il giorno della festa di S. Barnaba del 1249 improvvisamente cadde molto malata, le fu portato il Viatico, ma ella profetizzò che sarebbe vissuta un altro anno. Fu un anno di grandi sofferenze, durante il quale perse anche la vista, ma pregò incessantemente offrendo a Cristo la sua sofferenza per le anime del purgatorio, venendo molto confortata da rivelazioni e visioni. Morì, come aveva predetto, nella festa di S. Barnaba del 1250. La sua festa è celebrata il 15 giugno nell’Ordine cistercense e nella diocesi di Malines. Il suo culto fu confermato da papa Pio X nel 1907.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di La Chambre vicino a Bruxelles nel Brabante, nell’odierno Belgio, sant’Aléide, vergine dell’Ordine Cistercense, che, a ventidue anni, colpita dalla lebbra, fu costretta a una vita di segregazione; negli ultimi anni, perduta anche la vista, neppure un membro del corpo le era rimasto sano, salvo la lingua, per cantare le lodi di Dio.
Maria nacque a Ragusa da una nobile famiglia siciliana e aveva sedici anni quando il tradizionale modo di vivere di queste nobili casate fu sconvolto dal movimento risorgimentale e dall’inizio della lotta per l’unificazione dell’Italia. Alla vista di poveri che soffrivano a causa della guerra e della fame, decise di consacrare la sua vita al servizio di chi soffriva materialmente per i rivolgimenti politici e sociali.
Data la rigidezza delle tradizioni sociali è comprensibile che la nobiltà locale provasse orrore e considerasse la scelta di Maria come una sorta di diserzione dalle sue file: fecero di tutto per dissuaderla ma, sostenuta dal vescovo di Siracusa fondò con cinque compagne la Congregazione delle suore del Sacro Cuore di Gesù, operando tra i prigionieri di guerra e i contadini. Impiegò i suoi averi e le sue proprietà in questa avventura: la sua casa natale divenne sede per le prime carmelitane che volevano fondare un monastero a Ragusa; lo stesso edificio fu poi asilo per le popolazioni di Messina e Reggio Calabria, vittime del terremoto del 1908. Molti preti diocesani e religiosi impararono in quel luogo come servire Cristo con le opere di misericordia.
Maria trascorse la sua vita a Ragusa dove morì 1’11 giugno 1910. È stata beatificata da papa Giovanni Paolo 11 il 4 novembre 1990.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Ragusa, beata Maria Schininà, vergine, che scelse di vivere in umiltà e semplicità dedicandosi alla cura degli infermi, degli abbandonati e dei poveri e istituì le Suore del Sacro Cuore di Gesù perché fossero di aiuto in ogni genere di miseria.
La beata Frassinetti nacque da una piissima famiglia di Genova il 3 marzo dell’anno 1809. I suoi quattro fratelli furono tutti sacerdoti ed uno è venerabile: D. Giuseppe Frassinetti.
Il suo primo apostolato lo esercitò a fianco del fratello, allora parroco a S. Pietro in Quinto. D. Giuseppe aveva istituito nella sua parrocchia una scuola di fanciulle povere e ne affidò la direzione alla sorella Paola, che subito cominciò ad esercitare quell’attività religiosa che a poco a poco la condusse alla fondazione del nuovo istituto delle Dorotee.
Essa però non si occupò esclusivamente dell’insegnamento; ma attese altresì con zelo all’educazione delle bambine e giovanette che si raccoglievano attorno a lei. Nè si limitava alle sole ore della scuola; ma quando questa finiva, Paola chiamava a sè le sue piccole amiche e discepole, e conducendole a passeggio per i boschi, le colline e sulle rive del mare, le tratteneva in elevate conversazioni.
L’idea di fondare l’istituto era nella sua mente, ed ella pregava il Signore perchè si degnasse concedere a tante giovanette la grazia di un nuovo mistico giardino, dove poter più facilmente amar Gesù e attendere alla propria santificazione. E la Frassinetti non tardò a concretare i suoi desideri. Il 12 agosto, festa di S. Chiara, insieme a sei altre compagne fece i voti religiosi, e un provvidenziale incontro diede subito alla fondazione il suo proprio carattere.
D. Luigi Passi di Bergamo aveva pur egli fondata una Congregazione di donne cristiane per l’istruzione catechistica sotto la protezione di S. Dorotea.
Ma l’opera avrebbe terminato con lui e cercava perciò una Congregazione religiosa cui affidarla. Avendo sentito parlare della Frassinetti e della sua iniziativa, le fece la proposta di assumere l’assistenza dell’opera da lui ideata.
Paola ne comprese l’opportunità e l’utilità é abbracciò la proposta del Passi e diede alla comunità il nome di Istituto di S. Dorotea.
Il Papa Gregorio XVI affidò alle Dorotee il non facile incarico di riformare l’antico Istituto di S. Maria del Rifugio presso S. Onofrio sul Quirinale. E qui la Beata fissò la sua dimora stabile.
Presto l’istituto si diffuse a Bologna e in tutte le città italiane; e non tardò a varcare anche i confini diffondendosi in tutto il mondo.
Intanto la Frassinetti era prossima alla morte. Gli Angeli stavano ormai mettendo gli ultimi fiori alla sua corona che si era preparata durante una lunga vita tutta spesa per Iddio, nella preghiera, nella lotta interiore e nello spezzare a tante giovinette il pane della santità. Il Signore gradi il suo olocausto e 1’11 giugno 1882, dopo aver ricevuta la visita di S. Giovanni Bosco, volò gloriosa al cielo.
PRATICA. – Facciamo le nostre azioni per la maggior gloria di Dio e per il bene dell’anima ricordando che tutto è vanità e solo conta ciò che si fa per l’eternità.
PREGHIERA. – Dona a noi la grazia, o Signore, oggi che onoriamo la tua beata Paola Frassinetti, di poter essere ammaestrati nella devozione.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, santa Paola Frassinetti, vergine, che, superate molte difficoltà iniziali, fondò la Congregazione delle Suore di Santa Dorotea per la formazione cristiana della gioventù femminile, prodigandosi per la sua opera con forza d’animo e con dolcezza unita a energica passione.
S. Giovanni nacque a San Fagondez, nel regno di Leone in Spagna, da Giovanni Gonzales de Castrillo e da Sanca Martinez ambedue ragguardevoli per nobiltà di schiatta, e per meriti di virtù: fu ottenuto da Dio per le loro buone opere e le assidue preghiere essendo essi rimasti per lungo tempo senza figliuoli.
Fin dai primi anni S. Giovanni diede mirabile indizio della sua futura santità, perchè sovente da qualche luogo elevato predicava agli altri fanciulli per esortarli alla virtù ed al culto di Dio o per comporre i loro dissidi ed indurli alla pace. In patria fu affidato ai monaci benedettini di S. Facondo afTìnchè lo iniziassero ai primi elementi delle lettere. Abbracciato lo stato ecclesiastico, fu ammesso tra i familiari del Vescovo di Burges, il quale gli diede prova di grande stima, lo ordinò sacerdote e gli conferì un canonicato della sua cattedrale. Giovanni era investito contemporaneamente di tre piccoli benefici ecclesiastici, la cui nomina era riservata all’Abate di S. Facondo. Questa pluralità di benefici sarebbe stata illegittima, nel caso che ciascuno fosse stato sufficiente all’onesto sostentamento del giovane sacerdote.
La condotta di Giovanni era sempre stata irreprensibile e ben superiore a quella della comune dei cristiani. Pur tuttavia, quando la grazia gli ebbe illuminata la mente e tocco il cuore, il giovane riconobbe che gli mancava molto per essere vero discepolo di Cristo. Vide in sè grandi difetti, dei quali intraprese subito con ardore l’emendazione. Incominciò col chiedere al Vescovo il permesso di rinunciare ai suoi benefici. Potè riuscirvi con grandissime difficoltà: per sè non si riservò che una piccola cappella, dove celebrava la Messa ogni giorno, predicava sovente e insegnava i misteri della fede agli indotti.
La povertà, la mortificazione e il ritiro divennero le sue più care delizie. Discendeva nel fondo della sua anima, per conoscerne perfettamente lo stato, ed imparò dall’esperienza che tutti i piaceri del mondo sono nulla in paragone di quei puri godimenti, che si provano nell’esercizio della preghiera, della meditazione e della virtù predicata dal Vangelo.
Il desiderio di perfezionarsi sempre più lo spinse a domandare al suo Vescovo il permesso di ritirarsi a Salamanca, ove attese per lo spazio di quattro anni allo studio della teologia. Di poi chiamato alla direzione delle anime nella parrocchia di S. Sebastiano, vi produsse frutti meravigliosi colle frequenti istruzioni che vi teneva. Dimorava in quel periodo di tempo presso un canonico virtuoso dove potè praticare grandi austerità per ben nove anni. Colpito dalla malattia della pietra, sopportò per lungo tempo dolori indescrivibili.
Alla fine si assoggettò all’atto operatorio e appena guarito stabilì di lasciare interamente’ il mondo e di ritirarsi nel monastero di S. Agostino a Salamanca. Quivi si fece religioso nell’anno 1463. Questo convento di eremitani era allora assai fiorente per severità di osservanza: ma Giovanni novizio vi sorpassò i più provetti nell’obbedienza, nella sottomissione e nella veglia ed orazione. Essendogli stata allora affidata la cura della cantina, gli bastò toccare un piccolo fusto di vino per attingerne un anno intero per tutti i religiosi. Compiuto il noviziato fece la sua professione solenne il 28 agosto del 1464.
Avendogli i suoi superiori ordinato di esercitare il dono che aveva ricevuto per la predicazione, annunciò la parola di Dio con zelo straordinario. Parlava con tanta forza ed efficacia, che ben vedevasi essere la sua mente illuminata dalla più pura luce della fede ed il suo cuore acceso del più grande fuoco di carità verso Dio e verso il popolo. Così trascorse tutto il restante della sua vita nella predicazione della parola di Dio, della confessione e della direzione delle anime raccogliendo frutti incomparabili di bene e di santificazione.
Infine caduto infermo predisse il giorno della morte, e ricevuti devotissimamente i sacramenti della Chiesa, terminò la sua mortale esistenza l’11 giugno del 1479. Glorioso per molti miracoli prima e dopo la morte, fu beatificato da Clemente VIII nel 1601 e canonizzato nel 1690 da Alessandro VIII. Benedetto XIII infine ordinò che il suo ufficio fosse inscritto nel Breviario romano al 12 giugno.
PRATICA. Tutti i giorni, per quanto mi sarà possibile, ascolterò devotamente la Santa Messa.
PREGHIERA. San Giovanni da Fecondo pregate per noi.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Salamanca in Spagna, san Giovanni da San Facondo González de Castrillo, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che attraverso colloqui privati e con la santità della sua vita riportò la concordia tra i cittadini divisi in sanguinarie fazioni.
Iolanda di Polonia nacque nel 1235 a Gniezno in Polonia da re Béla IV e da sua moglie Maria Laskarina, settima di dieci fratelli fra i quali Santa Kinga, Santa Margherita di Ungheria e Stefano, futuro re d’Ungheria.
La crescita dei Iolanda venne affidata a sua sorella Kinga, che aveva sposato Boleslao V di Polonia; da adulta, anche Iolanda sposò un nobile polacco, il duca Boleslao il Pio, dal quale ebbe tre figlie: Elisabetta, Edvige e Anna.
Entrata nel terz’ordine francescano, Iolanda si dedicò alla cura dei bisognosi; rimasta vedova nel 1279, si fece monaca clarissa, entrando nello stesso convento dove già si trovavano la figlia Anna e la sorella. Alla morte di Kinga nel 1292, Iolanda si spostò nel convento di Gniezno, che lei stessa aveva fondato in precedenza e di cui fu eletta badessa, per scampare all’invasione dei mongoli. Ivi morì sei anni dopo, nel 1298.
MARTIROLOGIO ROMANO. Presso Gniezno in Polonia, beata Iolanda, badessa, che, dopo la morte del marito, il duca Boleslao il Pio, lasciati i beni terreni, professò insieme alla figlia la vita monastica nell’Ordine di Santa Chiara.
S. Barnaba nacque da Giudei della tribù di Levi, rifugiatisi a Cipro allorche Pompeo il Grande invase la Palestina. A 12 anni fu mandato a Gerusalemme ove frequentò la scuola di Gamaliele e strinse cordiale amicizia con due condiscepoli: Stefano e Saulo. Erano tutti e tre della stessa età e dovevano un giorno tutti e tre versare il loro sangue per Gesù Cristo e per la sua Chiesa nascente.
Il Salvatore intanto incominciava a riempire la Giudea dei suoi prodigi, ed una folla grandissima lo seguiva entusiasta. In una delle tante volte che Gesù si recò a Gerusalemme, andò alla piscina probatica, e quivi trovò un uomo da trentotto anni ammalato, e gli domandò: « Vuoi essere guarito? ». Quello rispose: « Signore, non ho nessuno che mi metta nell’acqua quando essa è agitata ». Allora il Signore, mosso a compassione, gli comandò: « Alzati, prendi il tuo letto e cammina ». E quegli si alzò e fu sano sull’istante. Barnaba presente a questo prodigio, credette in Gesù e ne divenne fedele discepolo.
Dopo la Pentecoste, quando gli Apostoli iniziarono la loro predicazione fra i pagani, Barnaba fu mandato ad Antiochia. Avendo ottenuto in questa città un numero considerevole di conversioni, e volendo ampliare il campo del suo apostolato, Barnaba pensò a Saulo, che dopo la sua conversione si era ritirato a Tarso. Vi andò, e trovatolo lo condusse ad Antiochia.
Dopo avere dimorato più di un anno in questa città, avvenne che lo Spirito Santo fece segregare i due apostoli Barnaba e Saulo per la missione alla quale li aveva assunti. Ricevettero allora la pienezza del sacerdozio, l’episcopato, dopodichè abbandonarono Antiochia e conducendo seco Giovanni Marco si recarono a Cipro, poi a Salamina e a Pafo ove il proconsole Sergio Paolo si convertì. Quivi Saulo mutò il suo nome in Paolo. Partiti poi da Pafo andarono a Perge in Panfilia mentre Giovanni Marco ritornava a Gerusalemme. Cacciati di là, raggiunsero Iconio; quivi il Signore diede loro una grande consolazione: la conversione della vergine Tecla. In seguito si recarono a Listri ed in molte altre città nelle quali operarono numerose conversioni.
Dopo il Concilio di Gerusalemme, essendosi Giovanni Marco riunito a Barnaba, Paolo si separò da essi, e preso Sila con sé, partì per l’Asia Minore, mentre Barnaba e Giovanni Marco fecero vela per Cipro. La tradizione ci dice che Barnaba percorse anche l’Egitto e l’Italia.
Ritornato a Cipro si stabilì a Salamina e convertì moltissimi isolani. Ma i Giudei, adirati per il bene che faceva, s’impadronirono dell’Apostolo, e dopo averlo fatto molto soffrire Io lapidarono (11 giugno del 60 ca.). Giovanni Marco ne seppellì le preziose reliquie in una caverna.
Nel 485 il santo Martire apparve ad Antemio vescovo di Salamina rivelandogli il luogo della sua sepoltura. Sul suo petto fu trovato un esemplare del Vangelo di S. Matteo, scritto in ebraico di sua propria mano.
PRATICA. Imitiamo S. Barnaba nell’amore al S. Vangelo, facendo oggi un piccolo sacrificio per la sua propagazione.
PREGHIERA. O Dio che ci allieti per i meriti e l’intercessione del tuo beato apostolo Barnaba, concedici propizio di conseguire per i suoi meriti la felicità eterna.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Salamina, in Cipro, il natale di san Barnaba Apostolo, il quale, di nazione Cipriota, ordinato dai discepoli Apostolo delle genti insieme a Pàolo, percorse con lui molte regioni, esercitando l’ufficio della predicazione evangelica a lui affidato; finalmente, andato a Cipro, vi onorò il suo Apostolato con un glorioso martirio. Il suo corpo, al tempo dell’Imperatore Zenone, fu ritrovato per rivelazione dello stesso Barnaba, insieme ad una copia del Vangelo di san Mattéo, trascritta di sua mano dallo stesso Barnaba
PROVERBIO. Se piove per San Barnabà l’uva bianca se ne va
Oje capèra1, ca passe ogne matina, famme ‘na gentilezza, ogge o dimane, quanno spìcceche ‘a capa a Catarina, tu fammélla passà chello d’ ‘e cane.
O pettinatrice1, che passi ogni mattina, fammi una gentilezza, oggi o domani, quando acconci la testa di Caterina, tu falle passare l’inferno.
E si te spia: “Ma comme va ‘sta cosa?” dille ca tiene ‘a fà ‘na capa ‘e sposa. Che vaje ‘e pressa, ca nun saccio che.
Dille ch’ ‘a sposa sta aspettanno a me.
E se ti dice: “Ma come va questa cosa?” dille che devi acconciare la testa di una sposa. Che hai fretta, che non so che.
Dille che la sposa sta aspettando me.
Oje scarparo, cu ‘a lente ‘ncopp’ ‘o naso, saccio ch’hê ‘a cunzignà, p’ ‘a fin’ ‘o mese, ciappe2 ‘ndurate e nucchetelle ‘e raso, ‘nu scarpino cu ‘o tacco tirulese.
O calzolaio, con gli occhiali sul naso, so che devi consegnare, per fine mese, bottoni2 dorati e fiocchetti di raso, uno scarpino col tacco tirolese.
Pecché canosco ‘a giovane ch’aspetta, miettece ‘e zzeppe e fance ‘a ponta stretta. E si essa spia: “Pecché songo accussì?”
Tu spiegancello ca t’ ‘aggiu ditt’i’.
Visto che conosco la giovane che aspetta, mettici le zeppe e facci la punta stretta. E se lei dice: “Perchè sono così?”
Tu spiegale che te l’ho detto io.
Oje curzettara, ca ‘nu busto ‘e seta taglie e ‘nchime, p’ ‘a vita ‘e ‘na pupata. Oje curzettara, si vuó stà cujeta, falle ‘o curzè’, ma siente ‘sta ‘mmasciata.
O corsettaia, che un busto di seta tagli e imbastisci, per la vita di una bambola. O corsettaia, se vuoi stare tranquilla, falle il corsetto, ma senti questo messaggio.
‘Na ponta d’aco làssace a mancina, ch’ha dda pógnere ‘o core ‘e Catarina. E si, quanno se pógne, essa dice: “Ah!”
Tu spiegancello chi t’ ‘ha ffatto fà.
Una punta d’ago lasciale a sinistra, che deve pungere il cuore di Caterina. E se, quando si punge, dice: “Ah!”
Tu spiegale chi te l’ha fatto fare.
Tra le interpretazioni di questa canzone, ricordiamo quelle di Diego Giannini, Lino Mattera, Nina De Charny, Giorgio Schottler e Roberto Murolo.
1 Pettinatrice, personaggio femminile che ad inizio del XX secolo girava di casa in casa per “acconciare” a pagamento, ma in economia, i capelli delle donne del quartiere.
2 A Napoli esisteva una consorteria particolare, denominata “la repubblica dei togati” che riuniva quasi tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino capula) erano i grossi bottoni d’argento cesellato che formavano l’abbottonatura della toga simbolo di questa consorteria.
Itamaro, o Ytamar, fu il primo anglosassone nella Chiesa inglese a essere consacrato vescovo: Onorio, arcivescovo di Canterbury (30 set.), gli affidò la sede di Rochester dopo la morte di Paolino (10 ott.). Beda dice che era «uomo del Kent» e che «per vita e dottrina era pari ai suoi predecessori». Alla morte di Onorio nel 653 la sede arcivescovile di Canterbury rimase vacante per diciotto mesi, e dopo la nomina di Deusdedit (15 lug.), un sassone del sud, fu Itamaro a consacrarlo nel 655 sesto arcivescovo della sede primaziale.
S. Agostino di Canterbury (27 mag.) e i suoi compagni, che erano stati inviati dal papa di Roma, arrivarono in Inghilterra nel 597 e così la consacrazione di vescovi nel sud dell’Inghilterra, quasi sessant’anni più tardi, segna un momento importante nello sviluppo della Chiesa inglese.
La data esatta della morte di Itamaro è rimasta sconosciuta però si sa che venne sepolto a Rochester e che le sue reliquie furono poste in un sarcofago da Gondolfo, vescovo della stessa città. Molte chiese gli furono dedicate.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Rochester in Inghilterra, sant’Itamáro, vescovo, che, primo tra la gente di Canterbury ad essere chiamato all’ordine episcopale, rifulse per cultura e sobrietà di vita.
Fino al xv secolo poco si seppe del vescovo Bogumilo, sebbene nel villaggio di Dobrowo (Polonia) fosse venerato da lungo tempo. L’arcivescovo Mattia (1641-1652) iniziò un’inchiesta per ottenere la conferma del culto da parte di Roma, ma la cosa richiese un processo molto lungo.
Egli e il suo gemello Bogufal discendevano da nobile famiglia polacca e ricevettero un’ottima educazione completando gli studi a Parigi; poi Bogufal entrò in un monastero cistercense mentre Bogumilo (il cui nome significa “amico di Dio” o “amante di Dio”, come il latino Amadeus e il greco Theophilus) costruì una chiesa nella nativa Dobrowo, dedicandola alla Santa Trinità.
Dopo l’ordinazione presbiterale divenne parroco nella parrocchia d’origine; lo zio Giovanni, arcivescovo dí Gniezno, lo nominò suo cancelliere con diritto di successione nella sede vescovile.
Quando nel 1167 Giovanni morì Bogumilo fu consacrato vescovo e amministrò la diocesi per quasi cinque anni: in questo periodo fondò il monastero cistercense a Koronowo, sostenendolo con rendite che venivano da alcune delle proprietà della sua famiglia. Benché fosse considerato un vescovo saggio e zelante, era però incapace di imporre una disciplina al suo clero o di porre rimedio agli abusi che egli disapprovava fortemente, così si risolse a chiedere il permesso di rinunciare alla dignità arcivescovile e una volta ottenutolo entrò nell’Ordine camaldolese.
Trascorse il resto della vita in un eremitaggio camaldolese presso Uniejów. Dopo la morte il suo corpo fu traslato nella chiesa, da lui fondata, di Dobrowo. Bogumilo é citato negli Annales des chapttres de Cracowie, un manoscritto datato al 1232.
Era morto nel 1182 e il suo culto fu confermato da papa Pio XI nel 1925.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Dobrowo in Polonia, anniversario della morte di san Bogumilo, vescovo di Gniezno, che, dopo aver lasciato la sua sede episcopale, condusse qui vita eremitica, consumandosi in una vita austera.
Landerico (Landry in francese) divenne vescovo di Parigi nel 650 durante il regno di Clodoveo II, e viene ricordato soprattutto per la cura che ebbe verso i poveri e gli ammalati della città, arrivando a vendere non solo le sue proprietà personali ma anche vasellame e oggetti della chiesa per alleviarne le sofferenze durante una carestia nel 651.
Prima di quel tempo l’unico ausilio per ammalati poveri erano ostelli senza alcuna sovvenzione e la sopravvivenza giornaliera di queste case dipendeva da elemosine casuali.
Il vescovo Landerico fondò il primo vero ospedale cittadino, vicino alla chiesa di Notre. Dame e affidato alla protezione di S. Cristoforo, che in seguito divenne noto come l’Hotel-Dieu, che è a tutt’oggi uno dei principali ospedali parigini.
Nel 653 firmò un decreto nel quale si esentava l’abbazia di Saint-Denis, fondata di recente, dalla giurisdizione episcopale; benché questa ordinanza sia andata perduta essa è citata in un documento di Clodoveo, in data 22 giugno 654. Incerta invece è la data della morte di Landerico, che però non può essere avvenuta prima del 660, poiché in quell’anno il monaco Marculfo gli dedicò componimenti religiosi, scritti sotto la sua guida.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Parigi nel territorio della Neustria, sempre in Francia, san Landerico, vescovo, che per assistere i poveri in tempo di carestia si tramanda abbia venduto la sacra suppellettile e costruito un ospedale accanto alla cattedrale.
Un giovane che voleva entrare a far parte dell’Ordine dei predicatori (domenicani) nel secolo xiv di solito proveniva da famiglia agiata e aveva una solida formazione; Giovanni non possedeva né l’una né l’altra: la sua famiglia a Firenze era di umili origini e il suo grado di istruzione al di sotto della media; in più era balbuziente. La sua serietà e la sua ostinazione furono però premiate e a diciotto anni vestì l’abito domenicano nel convento di S. Maria Novella. Nel frattempo si sforzò di vincere la balbuzie, che gli creava stati di ansia; studiò all’università di Parigi, divenendo uno dei teologi più in vista del suo tempo e un predicatore eloquente. Scrisse diversi commenti della Sacra Scrittura e delle laudi (inni in lingua volgare).
Dopo aver completato gli studi insegnò e predicò per dodici anni a Venezia; divenne priore a S. Maria Novella; fondò nuove case dell’ordine a Fiesole e Venezia, dove trasformò il monastero benedettino del Corpus Christi in un convento di suore domenicane. Contribuì molto alla riforma dell’ordine nell’Italia settentrionale, introducendo o rimettendo in vigore in molti monasteri una stret ta osservanza della Regola di S. Domenico, con l’approvazione del maestro generale Raimondo da Capua (5 ott.).
La sua era l’epoca rinascimentale, con il diffondersi in Italia della riscoperta delle arti e della cultura classica; ai suoi primordi la rivolta contro il formalismo degli scolastici medievali e la riscoperta della cultura greca e latina portavano con sé pericoli che avrebbero condotto a una reazione della teologia a favore dell’umanesimo e a una rinascita di forme di culto precristiane. Giovanni acutamente individuò questi pericoli e li combatté vigorosamente con gli scritti e la predicazione, ma nello stesso tempo si interessò all’arte essendo egli stesso artista: illustrò il libro del coro del suo convento con squisite miniature. Scrisse due importanti trattati educativi, Lucula noctis e Regola del governo di cura familiare, e un’opera ascetica, Trattato d’amore.
Nel 1406 partecipò al conclave dove venne eletto papa Gregorio XII, del quale fu confessore e consigliere, e dal quale fu creato cardinale di S. Sisto e nominato arcivescovo di Ragusa. Durante il Grande Scisma d’Occidente spinse papa Gregorio a ritirarsi, quando fu chiaro che era quello l’unico modo per ottenere la rinuncia degli antipapi alle loro pretese; fu lui ad annunziare al concilio di Costanza le dimissioni del pontefice.
Godeva di un’alta reputazione di diplomatico e negoziatore accanto a quella di teologo, ma il neoeletto papa Martino V gli diede un incarico assai gravoso: lo nominò legato in Boemia, con lo scopo di arginare l’influenza ussita, un gruppo evangelico con tesi simili a quelle dei seguaci di John Wyclif in Inghilterra.
Arrivò a Praga poco dopo che Giovanni Huss era stato bruciato sul rogo nel 1414; la città era sconvolta da disordini e Huss era considerato un eroe nazionale: l’università di Praga l’aveva dichiarato martire e i suoi seguaci si armavano per combattere l’imperatore. Il cardinal Dominici tentò di introdurre misure per reprimere íl movimento ussita, che vennero però respinte dal re Venceslao di Boemia. Costretto a lasciare il paese si recò in Ungheria, ma al suo arrivo a Budapest fu assalito da una febbre e morì il 10 giugno 1419. Il suo culto fu confermato nel 1832 da Gregorio XIV
MARTIROLOGIO ROMANO. A Budapest in Ungheria, transito del beato Giovanni Dominici, vescovo di Dubrovnik, che, al termine della Peste Nera, riportò nei conventi dei Predicatori in Italia l’osservanza della disciplina e, mandato in Boemia e in Ungheria per contrastare la predicazione di Giovanni Hus, morì in questa città.
Edward Giovanni Maria Poppe nacque a Temsche, in Belgio, nel 1890. Ebbe una buona educazione religiosa in famiglia, quindi entrò nel seminario di Gand. Completò la sua formazione nella facoltà di filosofia dell’università cattolica di Lovanio, centro della vita intellettuale del cattolicesimo belga. Ordinato sacerdote, si diede a un’intensa attività pastorale preparando i bambini alla prima comunione. A questo scopo formò un gruppo di catechiste e per loro scrisse un Manuale della catechista eucaristica, ispirato al metodo educativo di Pio X. Questa fu solo la prima di numerose iniziative intraprese dal sacerdote che istituì la Lega della comunione frequente e pubblicò un settimanale per i ragazzi della Crociata eucaristica Pio X. Padre Poppe traeva energia per il suo apostolato proprio dalla prolungata adorazione eucaristica. Trasferito come direttore spirituale presso un convento di suore, approfondì la sua riflessione e scrisse le sue opere migliori. Morì giovane, a soli 34 anni, nel 1924. Disse Giovanni Paolo Il nel giorno della beatificazione: «Invito in particolare le famiglie ad aiutare i giovani ad ascoltare la chiamata di Dio a seguirlo nel sacerdozio con generosità». L’esempio di sacerdoti come padre Poppe può aiutare la comunità ecclesiale belga, oggi in difficoltà.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Moerzeke-lez-Termonde vicino a Gand in Belgio, beato Edoardo Poppe, sacerdote, che, pur tra le difficoltà del suo tempo, con gli scritti e la predicazione diffuse nelle Fiandre l’istruzione cristiana e la devozione verso l’Eucaristia.
San Massimo, patrono principale della diocesi e della città di L’Aquila, nasce ad Aveia (oggi Fossa) intorno al 228 d.C. da una famiglia cristian. Massimo aspirava al sacerdozio e professò la sua fede anche davanti al Prefetto di Aveia. Fu catturato durante la persecuzione di Decio. (ottobre 249-novembre 251).
Morì martire gettato dalla rupe più alta detta “Circolo e Torre del Tempio”.
MARTIROLOGIO ROMANO. Nella città di Aveia Vestina, presso Aquila, nell’Abruzzo, il natale del beato Màssimo, Levita e Martire, il quale, pel desiderio di patire, si mostrò manifestamente ai persecutori, che andavano in cerca di lui, e, dopo la costante confessione, sospeso sull’eculeo e tormentato, quindi percosso con bastoni, da ultimo precipitato da un alto luogo, morì.
Patrono di:Bolzano Arrigo nacque a Bolzano il 1250 circa, della vita di Arrigo si sa poco: pochi ricordi scritti e leggende orali. C’è chi sostiene che non si sappia con certezza in quale delle città di nome Bolzano sia nato, ma è molto probabile che fosse effettivamente originario di Bolzano in Alto Adige visto che il Boccaccio dice che era tedesco – e non ci sono altre Bolzano tedesche in Italia.
Operaio analfabeta, lavorò nel suo luogo di origine e, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma con la moglie e il figlio Lorenzo, si stabilì vicino a Treviso.
Aveva preso dimora a Biancade, nei pressi della strada detta allora Lagozzo (vecchia sede della via Claudia Augusta), dove per vent’anni fece il boscaiolo e l’uomo di fatica. Ormai vecchio, mortagli la moglie, si recò nella vicina città, dove visse abitando in una catapecchia situata presso l’attuale chiesa a lui dedicata, in via Antonio Canova, messagli a disposizione dal notaio da Castagnole, e mendicando non per sé ma per i poveri della città: in particolare si impegnava con coraggio e costanza a strappare ai nobili e ai ricchi commercianti consistenti contributi per i più sfortunati. Il vescovo stesso e il signore della città (un da Camino) non gli ricusavano il loro aiuto. A Treviso, come già nella sua Bolzano, fu assiduo alla santa Messa e alla Comunione; pare che visitasse ogni giorno tutte le chiese della città, dormisse su un miserrimo giaciglio, portasse un ruvido saio, fosse dedito a estenuanti veglie di preghiera.
La tradizione attribusce ad Arrigo (“o vero o non vero che si fosse”, come dice il Boccaccio) l’intercessione per numerosi miracoli già da vivo, ma soprattutto dopo morto, e del risuonare misterioso di campane alla sua morte parla anche Gabriele D’Annunzio. Arrigo divenne presto popolare in tutta l’Italia del Nord, dove gli vennero dedicati altari ed affreschi in molte chiese (per esempio Santa Toscana a Verona). A Treviso confluivano annualmente migliaia di pellegrini a lui devoti perché lo riconoscevano vicino ai poveri, ai mendicanti, agli emarginati.
Si propose al Papa anche la sua canonizzazione, che fu rifiutata, pare, per mancanza di sufficienti offerte in denaro. Nel 1759, due costole di Arrigo furono solennemente traslate dal Duomo di Treviso a Bolzano con grande partecipazione di fedeli (130 cavalieri, cinque carri bardati a trionfo, rappresentanti delle corporazioni e del clero) e collocate nella ora scomparsa cappella di Loreto del Duomo, nel presbiterio del quale, peraltro, sono tuttora venerate.
Nel 1750 il culto del beato – considerato protettore dei boscaioli – fu approvato da Benedetto XIV per la diocesi di Treviso, e da Pio VII, agli inizi dell’Ottocento, per quella di Trento, da cui dipendeva Bolzano.