Monumenti di Napoli

IL PORTO, L’ARSENALE E I “SEDILI” – 4

La città era amministrativamente organizzata in “sedili” piccoli edifici a pianta quadrata, coperti a cupole, con annesso un ambiente per riunioni ristrette. In tali strutture si riunivano i rappresentanti della nobiltà – ai quali, in un secondo momento, si aggiunsero quelli del popolo – che rappresentavano tutta la città, divisa in ventinove “ottine”. Essi venivano eletti presso la Corte nelle singole circoscrizioni, mentre l’assemblea del sedile eleggeva il Capitano della Piazza. Tale organizzazione, che risale al 1268, conferma una sostanziale continuità rispetto alle precedenti dominazioni, cartatterizzate da analoghe strutture organizzative.

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IL PORTO, L’ARSENALE E I “SEDILI” – 4

Altri provvedimenti degli Angioini riguardarono la sistemazione delle fogne, l’irreggimentazione dei corsi d’acqua di carattere torrentizio, il lastricamento delle strade cittadine con basoli e con mattoni di cotto, l’eliminazione delle “perciate” e delle tettoie.

Uno sviluppo edilizio analogo a quello del largo delle Corregge, anche se di minori proporzioni, si ebbe nella zona di Carbonara, teatro di giostre e giochi, dove, contemporaneamente al sorgere di nuove chiese. Carlo II fece costruire un palazzo per la Corte, che vi si recava in occasione degli spettacoli, nonché un regio ospizio, nel quale si ritirò negli ultimi anni di vita.

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IL PORTO, L’ARSENALE E I “SEDILI” – 3

L’ampliamento dell’Arsenale comportò la realizzazione di una nuova strada costiera “a contrata seu loco ipso portus Pisani usque ad Moricinum secus mare”. Su tale nuova arteria confluivano le vie provenienti dal molo dei provenzali, dalle logge dei pisani e dei genovesi, dal borgho Catalano e dal mercato: erano assi ricavati il più delle volte dagli antichi fossati, ai quali afferiva una rete di viuzze secondarie dall’andamento irregolare, che collegavano le nuove strade con il tessuto preesistente.

Dopo il maremoto del 1243 furono ulteriormente rinforzate le strutture portuali, che vennero sistemate più razionalmente in borghi lungo la costa, assegnando ad ogni comunità un’area ben precisa.

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IL PORTO, L’ARSENALE E I “SEDILI” – 2

Anche il porto fu soggetto a notevoli lavori di potenziamento, costituiti dal drenaggio dei depositi di limo accumulatisi e da opere di sterro e di contenimento, mentre Carlo I fece costruire la Torre di San Vincenzo a protezione di Castel Nuovo.

Inoltre fu ampliato l’Arsenale e venne stabilita l’assoluta inalienabilità del suolo retrostante il porto. La zona del “Moricino” venne destinata a mercato, mentre il centro delle attività commerciali venne trasferito dall’area di San Lorenzo a quella della nuova Chiesa di Sant’Eligio, in corrispondenza dell’attuale piazza Mercato.

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IL PORTO, L’ARSENALE E I “SEDILI”

Le attività commerciali e manifatturiere, nonché quelle finanziarie dei banchieri fiorentini e fiamminghi ebbero il loro campo d’azione nell’area situata in prossimità del porto, nelle zone comprese tra Santa Maria la Nova, via Banchi Nuovi e il Sedile di Porto. Lo stesso trasferimento delle attività commerciali verso il mare sul versante orientale rispondeva all’esigenza di indirizzare i traffici verso il porto e lungo le strade che collegavano la città alle aree interne. La rinnovata attenzione a tale zona è confermata anche dai nuovi lavori di bonifica delle paludi. Nelle vicinanze del porto, del resto, in corrispondenza dell’attuale via Catalana e, più a oriente, della futura piazza Mercato, si erano formati, come è già stato accennato, i borghi mercantili degli scalesi, degli amalfitani, , dei catalani, dei provenzali e dei genovesi.

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Il Castel Nuovo e la Cappella Palatina – 4

Durante tali lavori Roberto fece anche costruire una vasta sala coperta da un tetto in lamine di piombo, sostituito da una volta a botte del 1543. Il tetto a travature lignee e i finestroni a ogiva furono costruiti nel 1926, nell’ambito di un vasto programma di ripsristino.

Dal 1328 al 1332 la cappella fu affrescata da Giotto, che raffigurò alcune storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Quando le strutture murarie, fortemente danneggiate dal terremoto del 1456, furono parzialmente demolite e rifatte da Ferrante I d’Aragona, gli affreschi andarono però quasi tutti distrutti. Ne rimangono oggi solo alcuni resti, attribuiti alla scuola di Giotto, e in particolare a Maso di Banco, nello spessore dei finestroni ogivali.

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Il Castel Nuovo e la Cappella Palatina – 3

Ristrutturato e modificato più volte, l’edificio è stato restituito al primitivo impianto quattrocentesco da un restauro eseguito nella prima metà del novecento. Tra gli splendidi ambienti interni vanno evidenziati almeno il cortile, con un interessante portico del quattrocento, e la cosiddetta Sala dei Baroni, oltre alla Cappella Palatina, intitolata in realtà a Santa Barbara e nota anche come Chiesa di San Sebastiano.

La Cappella Palatina, costruita dal 1307 al 1309 sotto la direzione di Giovanni Caracciolo da Isernia e di Gualtiero Seripando, presenta un’aula unica rettangolare priva di cappelle laterali e dotata di un’abside piatta. Il volume è sottolineato all’esterno da torri poligonali in piperno, mentre sulle pareti sono visibili tracce di volte a crociera, fatte probabilmente realizzare nel 1332 da Roberto d’Angiò in sostituzione dell’originaria copertura piana su travature lignee.

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Il Castel Nuovo e la Cappella Palatina – 2

Della struttura originaria del castello sono rimasti solo la Cappella Palatina e pochi altri elementi. Se ne può immaginare la configurazione attraverso un confronto con le coeve costruzioni francesi e italiane: le torri angioine, ad esempio, erano sicuramente più alte e in maggior numero di quelle attuali, per potersi opporre ai lanci delle catapulte. Si è supposto infatti che nella fortezza napoletana le torri potessero essere più numerose delle cinque che oggi si vedono, con elementi squadrati agli angoli, in analogia con gli impianti fortificati dell’Italia meridionale, quali quelle di Melfi e di Lucera.

Il castello, che fu residenza sia della corte angioina che di quella aragonese, è stato testimone di buona parte della movimentata storia cittadina. Tra i suoi ospiti più illustri si ricordano il pontefice Celestino V, Giotto, Petrarca, Boccaccio, Antonio Beccadelli detto il Panormita, Giovanni Pontano, Ettore Fieramosca e Carlo V.

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Il Castel Nuovo e la Cappella Palatina

La costruzione del nuovo castello angioino, il Castel Nuovo, più noto come Maschio Angioino, fu decisa a causa dell’inadeguatezza delle altre due fortezze, Castel Capuano e Castel dell’Ovo: il primo, infatti, troppo lontano dalla costa, era situato nella zona insalubre delle paludi, mentre il secondo era facilmente isolabile dalla terraferma.

Incaricato da Carlo I d’Angiò di sovrintendere ai lavori di costruzione fu Pierre de Chaule. Nei documenti ricorre anche il nome di Pierre d’Agincourt, prestigioso architetto dell’epoca, autore dei grandiosi rifacimenti e ampliamenti delle costruzioni federiciane di Lucera, che dovette essere coinvolto in maniera forse più diretta di quanto le fonti non facciano supporre. Il complesso, per il quale a un anno dall’inizio dei lavori erano attivi 449 operai, fu dotato del ponte levatoio nel 1281 e venne completato nel 1284.

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L’AMPLIAMENTO DELLE MURA – 5

Questa zona, situata tra la nuova reggia e il centro della città, corrispondeva in parte all’attuale piazza Municipio, ma si estendeva anche più a oriente fino a Santa Maria la Nova: Soprattutto nei dintorni del nuovo castello essa si era venuta arricchendo di giardini e di fontane.

Nei pressi di Porta Petruccia, sul limite orientale dell’aria, fu costruita la residenza di Filippo, figlio di Carlo II e furono realizzate nuove scuderie. Nel 1303 sorse il cosiddetto Ospizio tarantino, un grande complesso costituito da varie fabbriche, con un grande giardino. Un’altra costruzione, che poi sarà chiamata Ospizio durazzesco, accoglieva gli altri figli del re. Nel largo delle Corregge, infine, si insediò la magistratura della Corte del Vicario.

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L’AMPLIAMENTO DELLE MURA – 4

Il tracciato proseguiva lungo l’attuale via Costantinopoli e girava a destra sul costone prospiciente l’attuale piazza Cavour, includendo la collina di Sant’Agnello. Si può dire che su tale versante la cinta angioina abbia ricalcato l’andamento delle preesistenti strutture difensive greche, ricongiungendosi poi a Castel Capuano, con andamento parallelo ripsetto all’attuale via Carbonara.

All’interno delle mura la città cambiò profondamente. La nuova residenza regia venne spostata in Castel Nuovo, edificato dal 1279 al 1284 nel Campus Oppidi, precisamente nell’area detta “Platea di Porto Pisano”: si trattò di un vero e proprio evento per l’epoca, che provocò il trasferimento dal vecchio centro di molte dimore nobiliari nella nuova area prospiciente il porto, il largo delle Corregge.

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L’AMPLIAMENTO DELLE MURA – 3

Il tracciato scendeva poi verso la costa, includendo l’area del mercato, lungo il canale naturalen cui le acque provenienti dalle colline defluivano e venivano convogliate al mare in prossimità della Chiesa del Carmine. Da tale estremo limite orientale le mura correvano poi lungo la linea costiera, con lievi rientranze e sporgenze fino all’Arsenale.

Il proseguimento del tracciato lungo il versante occidentale è controverso: si suppone comunque che non dovesse avere un andamento lineare a causa della conformazione dei luoghi e della presenza di fabbriche preesistenti. Si può presumere, del resto, che le mura passassero nei pressi di Santa Maria la Nova, da dove, correndo parallelamente a via Monteoliveto, dovevano seguire la linea di Calata Trinità Maggiore, attraversando Piazza del Gesù e arrivando all’attuale Porta Alba, al cui posto si ergeva un bastione circolare, successivamente demolito.

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L’AMPLIAMENTO DELLE MURA – 2

Sul versante orientale, da Castel Capuano le nuove mura arrivano a Porta Nolana, accesso orientale al decumano inferiore, e seguivano il tracciato del Lavinaio, il corso d’acqua che dall’acquedotto di Formello scendeva al mare, congiungendosi al traguardo del Carmine.

I lavori di rifacimento e ampliamento del tratto meridionale, che aveva subito grossi danni in seguito alle lotte tra Svevi e Angioini, ebbero inizio intorno al 1270, con un consistente ampliamento. Dal lato meridionale di Castel Capuano, che rimaneva per metà interno e per metà esterno al perimetro, secondo il primitivo impianto, la cinta muraria, con un andamento tortuoso, seguiva la via Postica Maddalena, fiancheggiava via Soprammuro dell’Annunziata e, transitando per via Forcella e Piazza Calenda, dove era situata Porta Nolana, costeggiava l’aerea del complesso di Sant’Agostino alla Zecca.

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Il LUNGO ASSEDIO DI ALFONSO V – 3

Pur terminando la campagna militare nel 1442, solo l’anno successivo il re aragonese fece il suo trionfale ingresso nella capitale, dove evidenti erano i danni apportati dalla guerra, “Castello Capuano e Porta Capuana e Porta Sam Zuane dal merchia è distrutto”, scrive Borso d’Este al fratello Lionello, “Tutto il borgo Sancto Antonio e similmente la Arsenada de Napoli è distrutto. De la citade oltre li dicti borghi è disfatta la gran parte de la terra inverso Castel Nuovo per lo dicto castello accomenzando a la rua Catellana, intorno San Dominico, intorno Sancta Chiara e gran parte de la sedie de Nido.

Lo resto è salvo, li casamenti non però in la forma che erano a ben tempo.”.

L’AMPLIAMENTO DELLE MURA

Nel periodo angioino il perimetro murario della città fu in gran parte ampliato e ricostruito, in particolare sotto Carlo I, Carlo II e Giovanna I.

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Il LUNGO ASSEDIO DI ALFONSO V – 2

La campagna militare era giunta quasi alla fine. Espugnati i baluardi esterni alla cinta urbana, bisognava trovare il sistema per penetrare nella città. Alfonso venne allora informato da due muratori napoletani della presenza di un antico acquedotto sotterraneo – forse lo stesso utilizzato dal generale bizantino Belisario – che si apriva vicino ad alcune abitazioni nei pressi della Chiesa di Santa Sofia, e vi fece entrare un esperto contingente di truppe che, con l’aiuto di un certo numero di esiliati napoletani, si impadronì della porta cittadina situata non lontana dalla chiesa. Era la mattina del 2 giugno del 1442: nello stesso momento venne aperta dall’interno, da un napoletano traditore, anche la porta di San Gennaro, attraverso cui entrò in città il grosso delle truppe catalane, che si impegnarono in un terribile saccheggio.

Renato, con i pochi cavalieri che gli erano rimasti al fianco, si rifugiò in Castel Nuovo, dove rimase rinchiuso per una decina di giorni, fino a quando due galee genovesi non lo prelevarono insieme alla piccola guarnigione francese.

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Il LUNGO ASSEDIO DI ALFONSO V – 2

Nel 1439 Alfonso prese posizione sulla collina di San Martino, che però era esposta ai tiri delle artiglierie francesi situate a Castel Sant’Elmo. D’altra parte Renato teneva in scacco anche le truppe spagnole asserragliate presso il Castel Nuovo: perciò poco tempo dopo Alfonso prese la decisione di abbandonare momentaneamente le ostilità.

L’assedio aragonese riprese nel novembre del 1441. Renato aveva fatto costruire una bastia sulla sommità della collina di Pizzofalcone, dalla quale si poteva mantenere un facile controllo strategico sul sottostante Castel dell’Ovo: Alfonso pensò d’impadronirsene, e vi riuscì dopo quattro giorni di assedio, essendo la guarnigione ormai priva di ogni vettovaglia. Il futuro re di Napoli si impossessò così di un fondamentale punto strategico, in quanto da quella posizione poteva controllare sia la strada che portava alla marina sia la via, incuneata tra i due colli, che successivamente si chiamerà di Chiaia: non a caso avviò subito i lavori necessari per la riparazione e il rafforzamento del fortino, come documentano numerose carte archivistiche. Nel contempo strinse in assedio, per mare e per terra, tutta la capitale, mentre il valoroso Renato cercava di infondere coraggio alla popolazione, ormai stremata per la mancanza di ogni genere alimentare. Dopo poche settimane, comunque, anche il Castel dell’Ovo cade nelle mani dell’Aragonese.

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Il LUNGO ASSEDIO DI ALFONSO V

Dal 1435 al 1442 Napoli fu tuttavia il campo di battaglia tra le truppe francesi e quelle di Alfonso: la zona occidentale della città, in particolare la collina di Pizzofalcone e il pianoro sottostante, divenne il teatro di interminabili assedi, che peraltro non risparmiarono nemmeno la zona paludosa posta a oriente della cinta urbana.

Nel corso dei combattimenti, nella zona compresa tra l’attuale piazza del Plebiscito e piazza del Municipio fu distrutto il prestigioso Monastero di San Pietro a Castello, incendiato, come tramanda una cronaca monastica, “ab infidis catalanis”: in quella occasione andarono perduti, sempre secondo la cronaca, numerosi “libri censuales, inventaria, quaterni antiqui e certa alia documenta”. Ma il monastero non fu il solo edificio danneggiato: con ogni probabilità subirono la stessa sorte il Monastero della Croce, le cui monache furono trasferite in Santa Chiara, e i numerosi edifici pubblici e privati situati nei dintorni del Castel Nuovo. Proprio nei pressi della fortezza Alfonso fece costruire “valli e fossi”, affinché la cavalleria nemica non creasse troppo scompiglio tra le sue truppe.

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LA DINASTIA DEI DURAZZO – 3

Con un gesto quasi disperato, Giovanna II mise allora le sorti del suo regno nelle mani del re d’Aragona, Alfonso V, promettendogli la successione al trono: ma il re volle subito impadronirsi del potere arrestando Sergianni Caracciolo e mettendo in fuga la regina che, rifugiatosi ad Aversa, si affidò questa volta alle armi dei francesi8. La fortuna sembrò girare in suo favore, perché Alfonso V dovette fare precipitoso ritorno in Spagna per contrapporsi al cognato che, approfittando della sua assenza, aveva intrapreso una campagna militare nei territori aragonesi.

Fino al 1435, anno della sua morte, Giovanna II poté perciò, in una situazione di relativa tranquillità, conservare il trono di Napoli, scegliendo a succedergli Renato d’Angiò, con il quale si chiude l’ultima pagina della presenza angioina in Italia meridionale.

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LA DINASTIA DEI DURAZZO – 2

Come con Giovanna I, anche con la seconda Giovanna la vita privata s’intrecciò inesorabilmente con il destino politico del Regno di Napoli: legata prima sentimentalmente a un uomo di umilissimi origini salito in gran prestigio, Pandolfello detto Alopo, la donna si alleò poi con il gran siniscalco del regno, il potente Giovanni Caracciolo, detto Sergianni. Fu costui a tramare l’allontanamento dalla carte del marito di Giovanna, Giacomo di Borbone, conte de la Marche, scelto dalla regina per difendere l’Italia meridionale dalle insidie di Muzio Attendolo Sforza. La conseguenza funesta di questa spregiudicata politica fu che Napoli fu assediata per mare, intorno agli anni 20 del XV secolo, da Luigi III, che avanzava pretese in nome degli Angioini, e per terra dallo Sforza, mosso essenzialmente da ambizioni personali.

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LA DINASTIA DEI DURAZZO

Carlo di Durazzo trovò anch’egli una morte violenta nel 1386, mentre per molti anni il figlio Ladislao non poté ascendere al trono di Napoli a causa della giovane età e per l’ostruzionismo della Casa angioina. Solo nel 1399 Ladislao entrò nella capitale, ricevendo l’omaggio di tutta la nobiltà. In seguito, quando ormai era ben solido il suo potere, perseguitò con molta decisione tutte le famiglie che si erano schierate dalla parte degli Angioini, eliminando dalla scena politica i Ruffo di Calabria, i Marzano e i Sanseverino. In quindici anni l’ambizioso e valoroso sovrano seppe cementare saldamente il potere dei Durazzo non solo nel regno, ma su tutta la penisola italiana, che politicamente e militarmente si trovò sottomessa alla potenza di Ladislao.

Tuttavia, quando i tempi erano ormai maturi per consentire sostanziosi cambiamenti nei confini degli Stati, il re venne stroncato, nell’agosto del 1414, da una malattia che si trascinava dall’infanzia, lasciando le sorti del regno nelle mani della sorella Giovanna II.

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