L’angolo della Poesia

Ho sceso milioni di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. (1)

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede. (2)

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue. (3)

Eugenio Montale – da Satura

  1. Non si tratta, ovviamente, di appoggio materiale: il poeta vedeva nella moglie la confidente amorosa e comprensiva che gli rendeva meno difficoltoso il cammino della vita.
  2. Ormai il poeta, costretto a proseguire da solo, non vede le ragioni stesse della vita che si mostra sotto aspetti ingannevoli e non rispondente alla realtà apparente.
  3. La signora Drusilla Tanzi, moglie del poeta, era molto miope, tanto da essere affettuosamente soprannominata “la Mosca” dal marito e dagli amici. Tuttavia era quella che riusciva a vedere meglio del poeta, nel senso che sapeva guidarlo come chi ha più discernimento. L’omaggio reso alla memoria della moglie con questa poesia è di una delicatezza commovente.

L’angolo della Poesia

Ed è subito sera

Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera.

Salvatore Quasimodo – da Ed è subito sera.

La disperata condizione umana, che si risolve nella tragica solitudine dell’individuo che cerca di vivere e di amare, ma che non ha tempo di vedere neppure quanto la vita possa offrire, è sintetizzata in modo ineguagliabile in questa che, più che una poesia, si potrebbe meglio definire una intuizione folgorante, racchiusa e quasi imprigionata nel corso di tre versi.

Le parole assumono, in questo caso, tutta una particolare concretezza e sembrano voler veramente abbracciare il mondo.

L’angolo della Poesia

La casa dei doganieri

Tu non ricordi la casa dei doganieri

sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:

desolata t’attende dalla sera

in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri

e vi sostò irrequieto (1)

Libeccio sferza da anni le vecchie mura

e il suono del tuo riso non è più lieto: (2)

la bussola va impazzita all’avventura

e il calcolo dei dadi più non torna.

Tu non ricordi; altro tempo frastorna

la tua memoria; un filo s’addipana. (3)

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana

la casa e in cima al tetto la banderuola

affumicata gira senza pietà. (4)

Ne tengo un capo; ma tu resti sola

né qui respiri nell’oscurità. (5)

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende

rara la luce della petroliera! (6)

Il varco è qui? (Ripullula il frangente

ancora sulla balza che scoscende…)

Tu non ricordi la casa di questa

mia sera. Ed io non so chi va e chi resta. (7)

Eugenio Montale – da Le Occasioni

Questa poesia è concordemente considerata una delle più belle non solo di Montale ma di tutta la poesia italiana contemporanea. C’è una casa sperduta sopra una scogliera, nella quale il poeta una volta si recava con la donna amata; ma quell’amore ora è soltanto un ricordo di lui, perché il tempo ha allontanato la donna presa nel vortice di altri ricordi. Ed al poeta il ricordo di quei momenti felici che non torneranno mai più, lascia un senso di smarrita solitudine che l’inesorabile scorrere del tempo scandisce dolorosamente.

  1. Il poeta si rivolge alla donna amata, lontana e non più memore della casa nel rialzo a strapiombo sulla scogliera nella quale una volta si rifugiava con lui; ora quella casa è desolata perché da allora, da quando cioè la donna vi entrò piena di pensieri irrequieti (lo sciame dei tuoi pensieri) attende invano il suo ritorno. Il poeta, come si vede, trasferisce a quella casa ed a quei luoghi i suoi sentimenti.
  2. Il vento sferza sempre le vecchie mura della casa solitaria e il riso della donna non vi risuona più, lieto come allora.
  3. Le immagini simboliche della bussola impazzita, che non indica cioè la direzione esatta, e dei dadi vanamente gettati alla ricerca di una soluzione favorevole, stanno ad indicare lo smarrimento e il disordine interiore del poeta in preda all’angoscia che il ricordo della felicità per sempre perduta gli procura. Nella donna il ricordo è stato frastornato, cioè cancellato da altre vicende, ed è come se dalle mani di lei sia caduto un capo del filo del ricordo, si che il filo s’addipana, si avvolge su se stesso, torna alla sua matassa.
  4. Ma l’altro capo del filo del filo è trattenuto dal poeta. Invano egli cerca di ricostruire quel momento di felicità nel suo ricordo seguendo quel filo: vede sempre più lontane la casa dei doganieri e la banderuola piantata sul tetto, annerita dagli anni, che gira senza pietà. La banderuola sta a significare lo scorrere inesorabile e impietoso del tempo.
  5. Ancora l’immagine del filo del ricordo: un capo è nelle mani del poeta, ma l’altro è caduto da quelle della donna amata, che perciò è sola e lontana, e nell’oscurità il poeta non sente il suo respiro.
  6. Anche l’orizzonte sembra perdersi in lontananza (in fuga) per il balenare intermittente delle luci di una petroliera.
  7. Occorre uscire da quel luogo e dal cerchio struggente dei ricordi Il varco è qui? Si chiede il poeta, mentre la scogliera (il frangente) schiumeggia (ripullula) sulla balza scoscesa. Ma ormai tutto è vano: la donna non ricorda più nulla di quella sera che ora appartiene solo al ricordo del poeta (questa mia sera), il quale non sa più chi va e chi resta, cioè chi sia rimasto a lui vicino e chi si sia allontanato per sempre. La solitudine, insomma, e lo smarrimento regnano ormai nel suo spirito.

Arte – Cultura – Personaggi

Eugenio Montale

Nato a Genova nel 1896, morto a Milano nel 1981, compì nella città natale gli studi fino a quelli universitari, ma li abbandonò prima del conseguimento della laurea in lettere.

Combattente della prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria, restituito alla vita civile ritornò a Genova, ma nel 1927 si trasferì a Firenze, dove dal 1929 al 1938 fu direttore del “Gabinetto scientifico-letterario G. P. Vieusseux”, carica che gli fu tolta d’autorità per la sua avversione al regime fascista.

Dopo la seconda guerra mondiale si trasferì a Milano, dove dal 1948 esercitò la professione giornalistica come redattore, critico letterario e musicale del “Corriere della Sera”.

Nel 1967 fu nominato senatore a vita e nel 1975 venne insignito del premio Nobel.

L’opera poetica di Montale è contenuta in cinque raccolte: Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro, Satura e Diario del ’71 e del ’72.

Notevoli per finezza di gusto sono anche i numerosi saggi critici e le traduzioni di Shakespeare, Eliot, Melville, Marlowe, Corneille, Cervantes, O’Neill ed altri.

Le cinque raccolte poetiche di Montale si snodano dal pessimismo desolato di Ossi di seppia, al senso di pietà e di commiserazione che diventa sempre più presente nelle Occasioni: dal più forte impegno umano della Bufera, dove il poeta ritorna ad avvenimenti del più recente passato (come il crollo del regime fascista), la guerra fredda, il pericolo di una guerra atomica), alle composizioni brevi, ma molto intense di Satura e di Diario del ’71 e del ’72.

Le prose che montale ha scritto, e che, a suo dire, rappresentano un suo romanzo autobiografico, sono state pubblicate in volumi con i titoli Farfalla di Dinard, Auto da fé e Fuori di casa.

L’angolo della Poesia

Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto (1)

presso un rovente muro d’orto (2)

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi. (3)

Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano

a sommo di minuscole biche. (4)

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi. (5)

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’e tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. (6)

Eugenio Montale – da Ossi di seppia.

  1. Meriggiare… assorto: trascorrere il pomeriggio stando assorto in una meditazione che toglie ogni vigore al corpo sì da fare impallidire.
  2. rovente: il muro dell’orto contro il quale il poeta è sdraiato è riscaldato dal sole fino a divenire rovente.
  3. La prima sensazione riguarda l’udito: il poeta ascolta, infatti, i rapidi suoni, simili a schiocchi, emessi dai merli saltellanti tra pruni e sterpi, e i fruscii di serpi guizzanti al suolo.
  4. Lo sguardo, richiamato dai suoni, indugia ora sul suolo percorso da spaccature (crepe) e punteggiato dalla veccia (che è un legume selvatico); lunghe file di formiche rosse vanno e vengono, si allontanano e si intrecciano sui mucchietti di detriti (minuscole biche) costruiti presso l’imbocco delle loro gallerie sotterranee.
  5. Ora lo sguardo si innalza e si spinge tra le fronde degli alberi, colpite dal riverbero palpitante delle onde del mare, riverbero frantumato come le scaglie d’una corazza, mentre dalle rocce (picchi) spoglie di vegetazione (calvi) arriva il tremolante suono (tremuli scricchi) delle cicale.
  6. La contemplazione è finita: ora il poeta, abbandonato il luogo d’ombra, va verso il sole abbagliante. Ma della meditazione precedente resta nell’animo un sentimento di tristezza e di meraviglia sulla sorte dei mortali: la vita, infatti, appare come il travaglio affannoso di chi invano cerca di superare una muraglia con cocci di bottiglia sulla cima.

La poesia è una di quelle che meglio manifestano il profondo, disperato pessimismo di Montale nei confronti della vita e del senso dell’esistenza umana.

L’angoscioso senso di vuoto che avverte chi è nato per scoprirvi sconfitto (cioè tutta l’umanità) viene reso anche con il linguaggio scarno, ridotto all’essenziale, fino ad apparire oscuro.

La fatica del vivere è resa felicemente dalla struttura stilistica del componimento, nel quale trovi un infinito in ogni periodo (meriggiare, ascoltare, spiare, osservare, sentire); ciò determina una pesante monotonia ritmica nelle notazioni del paesaggio che riempiono disordinatamente le tre quartine iniziali: notazioni rapide, secche, aride, come arida e rapida è la vita dell’uomo.

E l’ultima strofa dà un senso compiuto alla premessa descrittiva: non resta che una triste meraviglia in chi per tutta la vita è condannato a seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Nel pensiero di Montale questa muraglia rappresenta l’impossibilità per il poeta, e per tutti gli uomini, di superare i limiti posti dal destino al desiderio di raggiungere l’infinito.