I racconti di Sherazad – da Le mille e una notte
STORIA DELL’INVIDIOSO E DELL’INVIDIATO – 7
Gli ufficiali tornarono al vascello, ed esposero il loro ordine al capitano. Questi disse loro che il sultano era il padrone. Subito mi rivestirono con un bellissimo abito di broccato, e mi portarono a terra, dove mi misero sul cavallo del sultano il quale mi aspettava a palazzo con un gran numero di persone della sua corte, che aveva riunito per farmi più onore.
La marcia cominciò. Il porto, le strade, le pubbliche piazze, le finestre, le terrazze dei palazzi e delle case, tutto era pieno di un’innumerevole folla di ogni sesso e di ogni età, che la curiosità aveva spinto a venire da tutti i punti della città per vedermi; infatti la voce che il sultano aveva scelto una scimmia per suo gran visir, si era sparsa in un momento. Dopo aver dato uno spettacolo così nuovo a tutto quel popolo, che con grida ripetute non cessava di manifestare la sua meraviglia, arrivai al palazzo del sultano.
Trovai quel principe seduto sul trono, in mezzo ai dignitari della sua corte. Gli feci tre profonde riverenze; e, all’ultima, mi prosternai e baciai la terra ai suoi piedi. Poi mi sedetti sul sedere in posa di scimmia. Tutta l’assemblea non si stancava di ammirarmi, e non comprendeva come era possibile che una scimmia sapesse rendere così bene al sultano il rispetto che gli era dovuto, e il sultano ne era più stupito di tutti. Insomma, la cerimonia dell’udienza sarebbe stata completa se avessi potuto aggiungere l’arringa ai miei gesti; ma le scimmie non parlano mai, e il vantaggio di essere stato uomo non mi concedeva questo privilegio.
Il sultano congedò i suoi cortigiani e rimasero con lui soltanto il capo dei suoi eunuchi, un piccolo schiavo giovanissimo ed io. Egli passò dalla sala delle udienze al suo appartamento, dove si fece portare da mangiare. Una volta a tavola, mi fece cenno di avvicinarmi e di mangiare con lui. Per manifestargli la mia ubbidienza, baciai la terra, mi alzai e mi misi a tavola. Mangiai con molto ritegno e modestia.
Prima che sparecchiassero, scorsi un calamaio con tutto l’occorrente per scrivere, scrissi su una grossa pesca dei versi di mia composizione, che manifestavano la mia riconoscenza al sultano; e la lettura che egli ne fece, dopo che gli ebbi presentato la pesca, accrebbe il suo stupore. Tolta la tavola, gli portarono una bevanda particolare, di cui mi offrì un bicchiere. Io bevvi, e vi scrissi sopra dei nuovi versi, che spiegavano lo stato in cui mi trovavo, dopo grandi sofferenze. Il sultano li lesse ancora, e disse:
Continua.