Le zone più selvagge degli Appennini e delle Alpi ospitano
ancora una popolazione piuttosto consistente di uno dei predatori più
misteriosi della fauna europea: è la martora (Martes martes), molto simile come
struttura e colori alla cugina faina, ma molto diversa per le abitudini.
Il suo pelame è bruno cioccolato, con una vistosa
macchia gialla. Mentre la faina preferisce le zone aperte e a volte si avvicina
alle costruzioni umane per approfittare della presenza di moltissimi roditori
(e di un occasionale pollaio), la martora abita le foreste più fitte e preda di
preferenza animali selvatici.
Grazie alla sua agilità cattura infatti scoiattoli ma
soprattutto un gran numero di arvicole e topi campagnoli di cui è uno dei
maggiori predatori naturali. Si nutre inoltre di piccoli uccelli (in
particolare scriccioli) ma anche di rane e di larve di bombi, insieme a bacche
e frutti nei periodi più freddi.
Il maschio e la femmina occupano territori distinti,
anche se spesso si sovrappongono a quelli di altri esemplari. La femmina si
accoppia con il maschio (a volte più di uno) in luglio-agosto e i piccoli che
nascono dopo otto-nove mesi (la vera gestazione è di circa un mese, ma il feto
rimane quiescente per alcuni mesi), sono indipendenti dopo circa sei mesi.
La vita nel
Parco – Alla scoperta di rocce, boschi, fiumi e grotte.
Il fiume Calore che nasce dal Colle Finestra nel
versante settentrionale del Monte Accelica, è uno dei più importanti della
Campania. Durante la sua corsa di 108 km verso il volturno riceve le acque di
molti affluenti.
Sui monti crescono fitti boschi di faggi, castagni e
lecci.
Catena calcarea che culmina nelle vette del Cervialto,
del Terminio e dell’Accellica, spartiacque tra la piana costiera del Sele e le
colline dell’Irpinia, la giogaia dei Monti Picentini conserva splendidi pianori
di pascoli, ovattate e solenni faggete, impressionanti e ripidi versanti
rocciosi e, gioiello prezioso dell’area, la popolazione di lupi più consistente
della Campania.
Qui nascono i fiumi Sabato, Calore, Ofanto, Sele,
Tusciano, qui iniziano gli acquedotti che riforniscono Napoli, Salerno e buona
parte della Puglia. Siamo a meno di 50 chilometri in linea d’aria da Napoli, ma
l’atmosfera è di autentica e severa montagna.
Se osservati su una carta topografica, i Picentini
sono tagliati dal confine tra le province di Avellino e Salerno. E un confine
che coincide con lo spartiacque principale del gruppo, una cresta orientata
quasi esattamente da occidente ad oriente, e che si allunga da Mercato San
Severino e Solofra fino alla statale 165 tra Oliveto Citra e Senerchia.
Partendo da occidente, la prima elevazione di una
qualche importanza è il Pizzo San Michele (1567 metri), al quale seguono le
vette del Monte Mai (1607 metri) e il valico attraversato dalla strada
Giffoni-Serino. La cresta prosegue verso il Varco del Pistone, il Varco della
Finestra e la bella mole dell’Accellica (1660 metri), la cima bifida ed
elegante che è il simbolo del massiccio per escursionisti e alpinisti.
A nord di questo settore si allungano gli splendidi
pianori erbosi di Verteglia e di Campolaspierto, i più estesi e suggestivi del
gruppo. Su questi si affaccia il Terminio (1806 metri), la seconda vetta per
quota del massiccio. Rivestito verso est e verso sud da una fitta foresta di
faggi, il Terminio scende ad occidente con un ripido e spettacolare versante
roccioso ben visibile da molte parti della Campania.
A nord, pendii più dolci digradano su Volturara Irpina
e il Piano del Dragone.
Dall’Accellica lo spartiacque scende sul Valico delle
Croci di Acerno, poi risale verso il Monte Cervialto (1809 metri), il più
elevato del massiccio, purtroppo deturpato da una inutilissima strada. A nord
del Cervialto, il Piano Laceno ospita la stazione sciistica più frequentata
della Campania. Verso sud, il piccolo Piano del Gaudo separa il Cervialto dal
Monte Polveracchio (1790 metri) e dal settore meridionale dei Picentini, che
digrada con ripidi e assolati contrafforti verso Eboli e la piana costiera del
Sele. Continua – 2
Superfice del
Parco 64.000 ettari; quota da 0 a 1809 metri; Anno di istituzione 1995; Ente
Parco è il gestore; Regione Campania; Province Avellino e Salerno; Comuni:
Acerno, Bagnoli Irpino, Calabritto Calvanico, Campagna, Caposele, Castelvetere
sul Calore, Castiglione dei Genovesi, Chiusano di San Domenico, Eboli, Giffoni
Sei Casali, Giffoni Valle Piana, Fisciano, Lioni, Montecorvino Rovella,
Montella, Montemarano, Montoro Superiore, Nusco, Olevano sul Tusciano, Oliveto
Citra, Salza Irpina, San Cipriano Picentino, San Mango Piemonte, Santa Lucia di
Serino, Santo Stefano del Sole, Senerchia, Solofra, Serino, Sorbo Serpico,
Volturara Irpina.
Dalla cima del Monte Taburno si può ammirare il
profilo dell’alta catena dei Monti Picentini.
“Il Terminio è la prima giogaia del contrafforte campano,
e ne è a un tempo la più vasta e frastagliata. Ciò che veramente gli dà figura
e carattere è la forma conica dei suoi monti boscosi, che s’inseguono l’un
l’altro in varie e molteplici concatenazioni.” Così, alla fine dell’Ottocento,
descriveva i Monti Picentini Giustino Fortunato, l’uomo politico nato a Rionero
in Vulture che fu uno degli ideatori dell’escursionismo sulle montagne del Sud.
Al confine tra le province di Avellino e Salerno, ma
ancora a portata di mano da Napoli, la catena dei Picentini segna il punto –
dopo l’intermezzo del Taburno, del Camposauro e del Partenio, che formano una
catena importante di parchi naturali – in cui l’Appennino campano si alza di
nuovo verso i duemila metri di quota, proponendo all’escursionista e al
naturalista vette e sentieri paragonabili a quelli che si potrebbero incontrare
in Abruzzo e in Calabria.
A rendere affascinanti questi alti monti sono le
pareti di roccia del Terminio e l’area cresta dell’Accellica, le ovattate
faggete del Polveracchio e del Cervialto, gli altipiani carsici del Laceno, di
Verteglia, del Dragone e del Gaudo. E poi le sorgenti e le forre, le grotte
utilizzate come luogo di culto, i ruderi di fortilizi e castelli medievali che
sorvegliano ancora buona parte dei paesi del massiccio.
Popolati nell’antichità dai Piceni, uno dei popoli più
ostili al potere di Roma, i Monti Picentini hanno subito seri affronti dal
turismo basato sugli skilift, l’edilizia residenziale e le strade, ma
conservano un eccezionale interesse per i naturalisti e gli escursionisti.
Anche qui la wilderness non è più quella di cento o centoventi anni or sono.
Eppure, senza dubbio, i Picentini restano uno dei
grandi spazi selvaggi dell’Appennino meridionale. Uno spazio tanto più prezioso
perché sulla porta di casa per chi vive a Salerno, ad Avellino, nella pianura
vesuviana e nella stessa Napoli.
La nascita del Parco Regionale e di alcune Oasi del
WWF dimostra che la tutela dei Picentini è possibile. Continua.
Il Monte Terminio è ricco di scoscese pareti rocciose dove si aprono profonde spazzature.