Lamento per
il Sud
La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del nord, la distesa di neve…
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie. (1)
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell’aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia. (2)
Ma l’uomo grida dovunque la sorte d’una patria.
Più nessuno mi porterà nel sud. (3)
Oh, il sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l’eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d’acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse. (4)
Più nessuno mi porterà nel sud.
E questa sera carica d’inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d’amore senza amore. (5)
Salvatore
Quasimodo – da La vita non è sogno.
- Il poeta non
lo dice ma non è difficile intendere che Milano è la sua nuova patria, una
patria che egli ama ed odia con lo stesso ardore con cui ama e odia ad un tempo
la sua terra d’origine. Le immense pianure, le acque coperte di nebbia e d’umido
gli sono entrate nel cuore pur senza consolarlo del tutto della prima patria
ormai perduta. Inutile chiedersi chi sia la donna del nord a cui si rivolge.
- Come da un
mondo di favola che il cuore conobbe fanciullo emergono voci, immagini,
fantasie riscaldate dal rimpianto che mostra tutto ciò che più non si ha come
meravigliosamente bello: la potenza e infinità del mare, il suono lungo e
profondo della conchiglia che consola la solitudine dei pastori erranti per i
monti impervi, le cantilene di sapore arabo che i carrettieri sospirano lungo
le polverose e assolate strade della Sicilia, il fumo delle stoppie bruciate
sono segno di un amore sempre più vivo per la propria lontana terra.
- Questo verso
che tonerà ancora è forse quello più genuinamente siciliano di Quasimodo perché
in esso è la disperata e pur dignitosa coscienza di un fato contro il quale è
vano lottare: il nostro poeta si volle allontanare un giorno dalla sua isola,
volle uscire per cercare un nuovo mondo, e per questo non gli è consentito
ritorno seppure l’amore per la terra lasciata sia cresciuto.
- E’ questo il
brano più storicamente vero, più tragicamente sentito dal poeta: per questo la
sintesi di tanti eventi, di tante dominazioni, di tante sciagure e di tante
miserie si può ritrovare nelle piste (non sono neppure strade) rosse di sangue
oggi come e più di ieri, come sempre.
- Tornare alla
vita, accettarla con tutte le sue ingiustizie e contraddizioni, ripetere a sé e
alla persona amata voci d’amore e di odio, d’amore senza amore, è ancora ritrovare
la via di una sia pur momentanea serenità, di una provvisoria pace con se
stessi e col mondo.
Salvatore Quasimodo ama e odia a un tempo la sua terra
e, lontano, ne sente una struggente nostalgia che diventa anche capacità di
vedere e di sintetizzare felicemente la storia intima, che è quella più vera,
della Sicilia e, più in generale, del Sud d’Italia. In questo lamento la
pianura lombarda, tanto diversa dalla solare e barbarica terra di Sicilia,
costituisce il naturale contrasto fisico che è il segno esteriore di un altro
ben più grave e ben più profondo contrasto spirituale, ma anche la condizione
prima per intendere e compiangere la sorte di tante generazioni che l’ignoranza,
l’oppressione, la natura stessa sembrano aver condannato a trascinare i morti
in riva alle paludi di malaria e ad urlare impotenti bestemmie con l’eco dei
suoi pozzi. Il motivo della nostalgia poi si fa disperato per la certezza della
impossibilità del ritorno, per la fatalità che sembra aver condannato anche il
poeta, come nel corso dei secoli e dei millenni ha condannato le genti che nel
Sud hanno avuto la odiosamata loro patria. Così il canto assume forme nuove e
apparentemente contraddittorie, diviene assurdo contrappunto di dolcezze e di
furori, protesta ed atto d’amore che, particolarmente in certi momenti, tocca
punte sublimi: come quello dei fanciulli che tornano sui monti e costringono i
cavalli sotto coltri di stelle.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...