Salute e Benessere

Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Varietà

Le moderne varietà di frumento tenero sono il frutto di un continuo lavoro di miglioramento svolto facendo ricorso prevalentemente all’incrocio intervarietale, con lo scopo di perfezionare al massimo le caratteristiche importanti ai fini dell’aumento di produttività e qualità.
– Precocità. La precocità è stata estremamente vantaggiosa perché anticipando la conclusione del ciclo ha consentito di sfuggire ai pericoli delle siccità e delle ruggini termofile (r.nera e r. bruna). Tuttavia la precocità non può essere spinta oltre certi limiti perché comporta aumento della sensibilità al freddo e alle brinate primaverili.
– Resistenza all’allettamento. E’ realizzata abbassando l’altezza delle piante sfruttando geni “nanizzanti” che riducono la lunghezza degli internodi dei culmi senza ridurne il numero.
– Resistenza al freddo. La disponibilità di varietà sempre più resistenti al freddo ha ridotto il pericolo di mortalità invernale e addirittura ha consentito di passare alla semina autunnale in regioni dov’era tradizionale la semina primaverile.
– Resistenza alle malattie. La resistenza o la tolleranza genetica alle avversità crittogamiche è la via migliore per evitare le perdite di produzione da queste causate senza dover ricorrere a trattamenti con fitofarmaci.
– Qualità di granella. Le attuali varietà son ben caratterizzate per la loro risposta alle varie utilizzazione del frumento tenero.
Nel frumento tenero grande importanza ha l’attitudine alla panificazione, cioè l’attitudine di una farina a fare un pane di buona qualità.

Tecnica colturale

La coltivazione del frumento trae notevoli vantaggi dall’avvicendamento colturale. Sono buone precessioni colturali il mais, la bietola, il pomodoro, la patata, il girasole, la fava, il cotone (anche il riso che lascia il terreno sgombro da infestanti) perché il frumento è in grado di utilizzare molto bene il residuo di fertilità lasciato nel terreno da tali colture, meglio comunque se non si tratta di altri cereali. Esso invece non è la coltura migliore per utilizzare l’elevata fertilità lasciata dai prati pluriennali (leguminose e graminacee). Nelle zone aride è tradizionale la successione del frumento al maggese che mineralizza il terreno con sostanza organica e lo arricchisce di acqua. La successione ad una coltura da rinnovo inoltre permette una lavorazione meno profonda del terreno.

Preparazione del terreno.

I lavori preparatori hanno lo scopo di preparare un appropriato letto di semina e di creare migliori condizioni di abitabilità per la coltura.
Tradizionalmente le lavorazioni preparatorie per il frumento sono le seguenti:
– trinciatura dei residui della coltura precedente;
– aratura, con rovesciamento completo della fetta, a 0,35-0,45 m di profondità;
– affinamento superficiale con successivi passaggi di estirpatore o di erpici divario tipo; non è necessario uno sminuzzamento molto spinto: una leggera zollosità non pregiudica la germinazione e riduce i rischi di formazione di crosta nei terreni limosi in caso di piogge battenti dopo la semina.
Il tempo disponibile per eseguire la sequenza di lavorazioni necessarie per la semina del frumento in ottobre-novembre, varia con la successione col­turale, ossia con la data alla qual è raccolta la coltura precedente. Come regola generale prima si ara, meglio è. Il tempo per le lavorazioni dunque sarà: da luglio in poi dopo frumento, colza, fava e pisello; da settembre dopo gira­sole e barbabietola; da ottobre dopo mais, sorgo e tabacco.
«Arrabbiaticcio». La lavorazione del terreno dovrebbe essere fatta con terreno in tempera, spesso, però, capita di dover arare terreno troppo bagnato o troppo secco. Ciò che va evitato è di lavorare quando il terreno è bagnato in superficie e asciutto sotto: mescolando con l’aratura questi due strati si incorre nel fenomeno detto arrabbiaticcio o caldafredda o verdesecca, partico­larmente deleterio per il frumento. La esatta natura del fenomeno è scono­sciuta, ma si traduce in forte carenza di azoto e in gravi infestazioni di erbacce, soprattutto papaveri, per cui il frumento cresce stentatissimo.
Nuove prospettive. In fatto di preparazione del terreno per il frumento si stanno diffondendo tec­niche nuove, consistenti nella riduzione o addirittura la eliminazione delle lavo­razioni, mirate a realizzare risparmi energetici oltre che conseguire vantaggi agronomici ed ecologici (miglioramento del terreno, riduzione dell’erosione).
Queste tecniche di «lavorazione ridotta» consistono nei tre casi seguenti: aratura leggera, lavorazione minima, non lavorazione.
– Aratura leggera. La profondità di aratura adottata in Italia non trova riscontro in nessun’altra agricoltura: per il frumento la profondità più usuale di aratura è intorno a 0,15-0,25 m. Pur se resta da verificare la applicabilità di questa tecnica alle condizioni di terreno e di clima del nostro Paese, è molto verosimile che in molti casi si possa ridurre la profondità di lavorazione senza conseguenze negative, dato che in molti casi non esistono giustificazioni agrono­miche del loro approfondimento che, anzi, spesso è da considerare eccessivo.
– Lavorazione minima («minimum tillage»). Si tratta di fare, come unica lavorazione, quella idonea a disgregare il terreno superficialmente giusto quel tanto (50-100 mm) che basta a far funzionare regolarmente le normali seminatrici.
Questa tecnica si presta bene nel caso che il frumento segua una col­tura che lascia il terreno mondo da erbacce e con poca massa di residui.
Ottimi risultati tecnici ed economici si sono cominciati ad ottenere anche in Italia dopo girasole, barbabietola, soia, colza, patata e mais (specialmente da insilamento). Gli attrezzi idonei per preparare il letto di semina possono essere i più vari: estirpatore, erpice frangizolle a dischi, zappatrice rotativa, erpici a denti elastici, erpici ruotanti. Caso per caso va scelto l’attrezzo più idoneo a produrre l’effetto desiderato.
Una forma particolare di lavorazione minima è quella che fa ricorso all’accoppiamento di una seminatrice all’attrezzo di lavorazione (erpice ruo­tante, fresatrice).
Con la lavorazione minima i tempi di lavorazione e di semina si ridu­cono moltissimo.
– Non lavorazione. La tecnica della «non lavorazione» (inglese: no til­lage, zero tillage o direct drilling) è indicata anche con il termine di «semina diretta» (traduzione di «direct drilling»): questa dizione è di dubbia correttezza e precisione, potendo essere interpretata come la tecnica d’impianto alterna­tiva al trapianto che si pone per molte piante ortensi.
La non lavorazione consiste nel seminare il cereale su un terreno al quale non è stata fatta nessuna lavorazione. Si deve disporre di una semina­trice speciale, adeguatamente pesante e fatta in modo da fendere il terreno in corrispondenza di ogni elemento seminatore. I residui della coltura prece­dente, debitamente trinciati, restano in superficie a costituire una specie di pacciamatura. Se ci sono infestanti, si deve ricorrere a un trattamento chimico disseccante privo di effetto residuale.
Si prestano bene alla non lavorazione le stesse colture dopo le quali è possibile la lavorazione minima.
Sistemazione idraulica del terreno. La preparazione del terreno deve essere completata con opere atte ad evitare l’erosione in collina e ad assicurare la rapida evacuazione delle acque saturanti in pianura.
In collina vanno aperti solchi livellari anche temporanei, mentre in pia­nura i campi devono essere delimitati da fosse di scolo non troppo distanti e ben tenute, e baulati per favorire il deflusso delle acque superficiali verso le scoline stesse.
La rete scolante è troppo spesso trascurata: ciò è deplorevole perché causa gravi decurtazioni di resa. Infatti il frumento soffre in modo particolare dei ristagni d’acqua: è attaccato dal mal del piede che in ambiente asfittico prospera; le infestazioni di erbacce sono più intense; il radicamento è ostaco­lato; la nitrificazione langue mentre la denitrificazione si intensifica; in certe annate la semina è ritardata o impossibile in campi mal sistemati.

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Grano o frumento tenero – Triticum spp.
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Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
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Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Esigenze ambientali

Il frumento dal punto di vista fotoperiodico è specie longidiurna, che avvia i processi di iniziazione fiorale nella stagione in cui i giorni si allungano rapidamente.
Il frumento sotto l’aspetto termico è una specie microterma che non necessita di alte temperature per crescere, svilupparsi e produrre. Per questi motivi il frumento viene coltivato tra 30 e 60 latitudine N e 25° latitudine S.
Nei climi mesotermi dove l’inverno è sufficientemente mite, è coltivato in semina autunnale e raccolto a fine primavera. Nelle regioni a clima microtermo (alte latitudini ad esempio, Scandinavia, Canada; ecc., o montagna) si semina a fine inverno e si raccoglie in estate avanzata.
Basse temperature. Le temperature critiche minime sono quelle che provocano danni irreparabili alle piante di frumento e ne limitano le possibilità di semina autunnale; esse variano molto secondo diversi fattori.
– Secondo lo stadio di sviluppo della pianta;
– Secondo la specie e la varietà.
Alte temperature. Gli eccessi di temperatura sono pericolosi nella fase di granigione, in quanto accentuano l’evapotraspirazione e provocano un forte calo dell’assimilazione netta. Un caso limite piuttosto grave, che talora si verifica nelle regioni meridionali (Sicilia e Puglia) è rappresentato dalla <stretta del caldo> quando temperature elevate (oltre 30°) sono accompagnate da venti sciroccali caldi e secchi e colgono la coltura del frumento in fase di maturazione lattea, si determina uno stress idrico irreversibile che si manifesta con l’appassimento permanente delle cariossidi che in conseguenza restano piccole e striminzite con grave pregiudizio per la produzione che risulta scarsa e di cattiva qualità.
Acqua. Dopo la temperatura il fattore climatico più importante ai fini della distribuzione geografica e della produttività della coltura del frumento è l’acqua a disposizione.
La siccità alla semina è un ostacolo in certe regioni della terra caratterizzate da clima ad autunno e inverni secchi. In Italia questo è eccezionale perché la piovosità nel clima mediterraneo è concentrata in autunno-inverno.
Ciò fa sì che le fasi di semina, emergenza e accestimento avvengano in un periodo in cui l’acqua non fa difetto, ma in cui semmai sono da temere gli inconvenienti causati dagli eccessi di precipitazioni.
Dalla levata alla fioritura si hanno consumi d’acqua via via più forti sia per il regime crescente delle temperature sia per la progressiva rapida espansione della copertura vegetale. Tuttavia le piogge del periodo e le riserve idriche del terreno in genere bastano a evitare danni da siccità in questa fase.
La fioritura è ostacolata da andamento stagionale freddo e piovoso che può abbassare la percentuale di allegagione.
È nella fase di granigione che le disponibilità idriche giocano un ruolo determinate sul livello di produzione della coltura. Deficienza idrica in questa fase si traduce in decurtazione della produzione di granella per diminuzione della assimilazione netta e per accorciamento della fase di “riempimento” che portano alla formazione di granelli più piccoli, non riempiti al massimo. Dove la deficienza idrica in questo periodo è molto frequente e marcata, le rese sono limitate e variabili da un anno all’altro; è questo il caso delle regioni meridionali e insulari. Le produzioni sono molto più alte e costanti nelle regioni settentrionali dove la deficienza idrica durante la granigione si verifica di rado e moderatamente.
Inumidimenti ripetuti della granella nella fase di essiccazione, dopo la maturazione fisiologica, provocano la bianconatura delle cariossidi del frumento duro.
Dopo la raccolta, piogge prolungate possono provocare la germinazione della granella nei covoni, almeno nelle varietà che non manifestano la dormienza dei semi.
Le semine autunnali sono da preferire a quelle primaverili perché con quest’ultime il ciclo del frumento si conclude più tardi e quindi in condizioni di deficienza idrica più frequente e più grave.
Neve. La copertura nevosa è un’efficace protezione del frumento dai geli invernali. E’ solo alla copertura nevosa che in paesi nordici le colture resistono ai geli fin di -29 °C.
Una copertura nevosa molto prolungata peraltro, espone il frumento a pericolosi attacchini Fusarium nivale.
Umidità relativa. L’umidità relativa dell’aria può agire in maniera non trascurabile sulla produzione del frumento nella fase terminale del ciclo: la nebbia favorisce l’insorgere di infezioni crittogamiche fogliari.
Vento. Il vento è dannoso in quanto può provocare l’allettamento, cioè il coricamento della coltura, ciò specialmente quando esso è accompagnato da piogge intense
In Italia schematicamente possiamo riconoscere due zone cerealicole estreme:
– L’Italia settentrionale caratterizzata da temperature invernali molto basse, piovosità abbondante e regolare, produzioni molto alte come quantità, mediocri per qualità.
– L’Italia meridionale e insulare con inverni miti, eccessi termici frequenti in primavera estate, piovosità primaverile estiva deficiente e irregolarissima, rese modeste molto variabili da un anno all’altro.
– Situazione intermedia si trova nell’Italia centrale.
Terreno I terreni che meglio si adattano al frumento sono quelli di tessitura da media a pesante, di buona struttura, ben sistemati idraulicamente, poiché il frumento teme molto i ristagni di umidità: ideali le terre nere, o cernosem.

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Fiore.

Il fiore del frumento è ermafrodito ipogino e di struttura semplice: tre stami ed un carpello.
Gli stami hanno antere bilobate e filamenti sottili, brevi, che dopo la deiscenza del polline si allungano rapidamente.
Il gineceo è formato da un solo carpello con ovario obovato od obconico e un ovulo.
Alla base interna delle glumette vi sono due minute squame, le lodicole: dopo la fioritura, gonfiandosi rapidamente, fanno divaricare le glumette stesse che lasciano vedere gli stami e gli stigmi del fiore.

Biologia.

Il frumento è una pianta annuale (biennale in certe varietà) il cui ciclo può essere diviso in varie fasi: germinazione ed emergenza, accestimento, levata, antesi o fioritura, granigione.
Germinazione – Le cariossidi quando trovano acqua a disposizione l’assorbono in ragione del 40% del loro peso e se la temperatura e l’ossigenazione sono favorevoli il seme germina. La temperatura ottimale di germinazione è di 20 °C, ma di maggiore inte­resse pratico è la temperatura minima di germinazione. Il frumento, così come pure 1’orzo, l’avena e la segale (cereali microtermi), hanno temperature minime per la germinazione assai basse: circa 0°C; tuttavia è solo con temperature di 2-4 °C che la germinazione avviene con accettabile prontezza (15-20d) e regolarità.
Se la germinazione è troppo lenta ci sono pericoli di attacchi di parassiti vegetali (Fusarium, Gibberella, Pythium, ecc.). La germinazione avviene nel seguente modo. Per prima esce la radi­chetta embrionale centrale, poi il coleoptile, indi le altre radici primarie in numero di 3-5 (massimo 7). Se la semina è superficiale il coleoptile esce facilmente dal terreno. Se la semina, invece, è profonda (oltre 40 mm) il coleoptile non riuscirebbe ad emergere, essendo limitate le sue capacità di allungamento; per evitare ciò la pianta allunga il primo nodo del fusticino, il quale spinge in alto coleptile e fusticino portandoli a circa 10-20 mm dalla superficie: in tal modo l’emergenza della piantina è meglio assicurata. La semina profonda è deleteria per la pianta che cresce esile; se invece si semina troppo superficialmente, il seme può disseccarsi o essere predato. La profondità ottimale è di 20-30 mm.
Dopo l’uscita del coleoptile dal terreno (emergenza) la prima foglia lo rompe all’apice, uscendo, e si espande fino a raggiungere la sua dimensione normale; dopo di che esce la seconda foglia, poi la terza, e così via.
Accestimento – Il frumento, così come gli altri cereali del gruppo, è dotato della capacità di accestire, cioè di sviluppare altri germogli in aggiunta a quello primario che era formato già nell’embrione. Grazie all’accestimento il frumento riesce ad aggiustare la fittezza della copertura vegetale adeguandola alla disponibilità di spazio, e così a rimediare ad eventuali insufficienze o irregolarità di nascite.
A partire dallo stadio di 3-4 foglie si osserva che all’ascella della prima foglia si sviluppa un germoglio in tutto simile a quello primario; un altro né compare all’ascella della seconda foglia, e così via fino, al massimo, alla 41 foglia.
A questi germogli d’accestimento di 1° ordine possono aggiungersene altri di 2° ordine, o di ordine superiore, se dai loro nodi basali si sviluppano altri germogli con la stessa procedura. Non tutti i germogli di accestimento formano la spiga; alcuni, ad esempio quelli germogliati tardi, subiscono la competizione di quelli preesistenti a tal punto da ingiallire e disseccarsi precocemente.
Il grado d’accestimento è espresso dall’indice d’accestimento corri­spondente al numero di germogli fertili, cioè con spiga, per pianta.
L’accestimento, che va considerato come una ramificazione del culmo, si produce vicinissimo alla superficie del terreno in una zona del culmo detta «piano di accestimento».
Contemporaneamente all’accestimento caulinare e a partire dalla stessa zona del culmo si ha la emissione delle radici avventizie.
Tecnicamente l’optimum di fittezza di spighe alla raccolta va perseguito con una semina piuttosto fitta seguita da un moderato accestimento (non più di 2-3 spighe per pianta) per non avere divari di maturazione troppo marcati.
I fattori che promuovono l’accestimento del frumento sono i seguenti: profondità di semina non eccessiva, semina precoce, buone disponibilità nutri­tive (segnatamente di azoto), buon drenaggio del terreno, buon contatto del terreno con il piano di accestimento delle piantine (la rullatura, provocando una leggera rincalzatura, lo favorisce).
Viraggio – L’accestimento continuerebbe se l’apice caulinare restasse sempre allo stato vege­tativo seguitando così a differenziare sempre nuove foglie. Sennonché, sotto l’influenza di certe condizioni di temperatura e di fotoperiodo ad un certo momento si determina nella pianta la cosiddetta induzione o iniziazione fiorale a seguito della quale l’apice non differenzia più foglie, ma differenzia gli abbozzi delle future spighette. La prima manifestazione visibile dell’avvenuto passaggio della pianta dalla fase vegetativa a quella riproduttiva verrà chiamato per brevità viraggio.
Questo consiste nella comparsa di rigonfiamenti doppi sull’apice caulinare, visibili mediante sezionatura longitudinale del fusticino con una lametta e osservazione dell’apice con una buona lente: prima del viraggio si osservano rigonfiamenti semplici corrispondenti agli abbozzi delle foglie, mentre dopo il viraggio i rigonfiamenti sono doppi e corrispondono agli abbozzi delle spighette.
Nelle ordinarie condizioni di coltura il frumento passa alla fase riproduttiva dopo aver differenziato 7-9 foglie.
Il viraggio segna l’inizio della fase di organogenesi della infiorescenza: se questa fase avviene in non buone condizioni termiche e soprattutto nutritive le spighe differenzieranno un ridotto numero di spighette e di fiori per spighetta.
Per alcune varietà il viraggio è condizionato, oltre che dalle condizioni fotoperiodiche, dall’avere subito per qualche tempo lo stimolo di basse tempe­rature comprese tra 0° e 6°C (vernalizzazione).
Si hanno così le varietà autunnali (o non alternative) che, esigendo la vernalizzazione, sono biennali e devono essere seminate in autunno, e le varietà primaverili (o alternative) che possono essere seminate anche in prima­vera in quanto la fioritura è indotta prevalentemente dal fotoperiodo, senza bisogno delle basse temperature.
Con l’accestimento si determina il numero di spighe a m2, con il viraggio il numero dei fiori delle infiorescenze: sono queste le condizioni per predisporre i «depositi», cioè le cariossidi, nei quali i prodotti della fotosintesi si riverseranno e si accumuleranno dopo la fioritura durante la fase della granigione.
Levata – Dopo avvenuto il viraggio, ma solo quando la temperatura dell’aria raggiunge 10 °C, le piante iniziano la fase di levata: i nodi che finora erano a distanza estremamente raccorciata iniziano a distanziarsi mediante la proliferazione del tessuto meristematico che è alla base di ciascuno di essi. L’inizio della levata è una fase fenologica piuttosto importante e si suole identificare con il momento in cui sezionando con una lametta il culmo si trova l’apice distanziato di 10 mm dal piano di accestimento. Prima si allunga l’internodo più basso, poi, quando questo è quasi completamente sviluppato, inizia ad allungarsi il secondo, e così via.
Quando tutti gli intrepido più bassi si sono sviluppati ed è in corso l’al­lungamento solo dell’ultimo, la spiga, ormai già completamente formata, viene spinta attraverso la guaina dell’ultima foglia determinandovi un caratteristico ingrossamento: si ha allora lo stadio della botticella. Pochi giorni dopo segue l’uscita della spiga (spigatura), e dopo altri 5 o 6 giorni si ha la fioritura, stadio a cui la pianta ha raggiunto la sua massima altezza.
Mentre durante l’accestimento la pianta è poco sensibile ai freddi diventa molto sensibile dopo la levata. È nel corso della levata che si sviluppano e si espandono le foglie più importanti ai fini della produzione di granella: le foglie apicali. È dalle condi­zioni ambientali, soprattutto di nutrizione, in questo periodo che dipende l’ampiezza, la funzionalità e la durata funzionale dell’apparato assimilatore. In questo periodo ogni mezzo va messo in atto che favorisca lo sviluppo di foglie ricche di clorofilla e di carbossilasi (i principali protagonisti della fotosintesi), ampie, capaci di rimanere verdi e funzionanti a lungo.
Nella fase di levata il consumo idrico della pianta così come l’assorbi­mento di sostanze minerali raggiungono un valore molto elevato.
Cinque o sei giorni dopo la spigatura se si aprono le glumelle che racchiudono il fiore si osservano gli stami gialli e maturi e l’ovario ingrossato sormontato da uno stigma piumoso.
È il momento della fecondazione. Questa nel frumento è normalmente autogama, anzi cleistogama in quanto avviene a fiore chiuso, con il polline che feconda l’ovario dello stesso fiore.
La fecondazione può essere ostacolata se la temperatura scende sotto 15 °C con il risultato che le spighe alla raccolta presentano cariossidi mancanti.
Alcune ore dopo che è avvenuta la fecondazione dalle glumelle fuoriescono le antere ormai quasi vuote: questa fase che in realtà è di sfioritura spesso è detta impropriamente fioritura.
In ogni spiga la fioritura inizia dalle spighette mediane della spiga e procede verso l’alto e verso il basso. Nell’ambito di ciascuna spighetta il primo a fiorire è il fiore più basso, seguito nell’ordine dai fiori superiori. Sono neces­sari 2-3 giorni per la fioritura completa di una spiga. In una coltura di buona uniformità la fioritura si compie in un arco di 4-6 giorni in condizioni normali, di più (10-12 giorni) se la temperatura è bassa.
È alla fioritura che si determina il numero di cariossidi per spiga, attra­verso la percentuale di allegagione dei fiori che si erano formati.
Maturazione – Dopo la fecondazione l’ovulo fecondato inizia subito il processo di embriogenesi, mentre il sacco embrionale solo qualche giorno dopo inizia a cellularizzarsi per dar luogo all’endosperma, che è il tessuto sede dell’accumulo dei gra­nuli di amido. In un primo tempo questi granuli di amido sono pochi e sospesi nel succo cellulare: a questo punto si ha la fase di maturazione lattea, così detta perché il granello se schiacciato, dà un liquido bianco lattiginoso, appunto costituito dal succo cellulare con sospesi i granuli di amido.
Successivamente le cariossidi iniziano ad ingiallire, così come le lamine fogliari, mentre restano verdi le guaine; i chicchi per il progressivo accumulo di amido acquistano una consistenza pastosa sotto le dita: è questa la fase di maturazione cerosa alla quale il contenuto di acqua della granella è del 40-45%.
Col procedere della maturazione i granuli di amido finiscono per riem­pire completamente le cellule dell’endosperma il cui citoplasma e nucleo si disorganizzano finendo per inglobare e cementare in una matrice proteica (glutine) l’amido stesso, la pianta è ingiallita quasi completamente e resta verde, per poco tempo ancora, solo l’ultimo nodo; la cariosside si lascia appena incidere con l’unghia e il suo tenore d’acqua è intorno al 30%. È questa la matura­zione fisiologica o maturazione gialla, importante perché da questo momento in poi non si ha più accumulo di sostanze di riserva, ma solo perdita d’acqua.
Quando la pianta è completamente gialla e la granella ha un contenuto d’acqua non superiore al 13% si ha la maturazione piena: in questo momento è possibile iniziare la mietitrebbiatura. Infatti solo con umidità inferiore al 12­-13% la granella può essere immagazzinata senza pericoli per la sua conservazione. La maturazione di morte si ha quando la pianta, restando ancora in campo, in piedi, diventa troppo secca, fragile, con le glume e le glumelle che si staccano e le cariossidi che cadono con estrema facilità. L’umidità della granella è intorno al 10%. Ovviamente la raccolta in questo periodo porta a gravi perdite di prodotto.

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Specie: Triticum spp.

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Caratteri botanici

Cariosside.

Quello che comunemente viene chiamato “seme” dei cereali è in realtà una cariosside, cioè un frutto uniseminato, secco, indeiscente in quanto i tessuti del pericarpo sono concresciuti e saldati con quelli del seme.
La cariosside del frumento pesa da 35 a 50 mg, ha forma allungata, sezione trasversale da rotondeggiante a subtriangolare, ed è costituita dall’embrione (2-4% in peso), dall’endosperma (87-89%) e dai tegumenti o involucri (8-10% circa). L’embrione si trova ad un estremità della cariosside, non ha molta importanza dal punto di vista tecnologico-alimentare in quanto durante la macinazione va a far parte dei sottoprodotti, mentre ha un compito fondamentale per la riproduzione della specie. Infatti in esso sono già formati gli organi principali del futuro individuo.
L’endosperma costituisce la parte preponderante del granello ed è formato: a) da uno strato aleuronico esterno e b) da un parenchima interno, che ne rappresenta la quota maggiore, costituito da cellule ricche di amido e sempre meno dotate di sostanze proteiche man mano che si procede verso l’interno del granello.
D’importanza notevole nei confronti della qualità del prodotto e del suo impiego sono la consistenza e l’aspetto dell’endosperma che può apparire ambraceo, corneo, vitreo ovvero farinoso, bianco, tenero, secondo la specie, la varietà e l’ambiente di coltura.

Apparato radicale.

L’apparato radicale (del frumento e dei cereali in generale) è di tipo fascicolato. Si hanno radici embrionali o primarie; esse sono preformate nell’embrione, sono le prime a svilupparsi e servono alla pianta nel primo periodo del ciclo.
In seguito si affianca loro l’apparato radicale secondario o avventizio.
Questo si forma durante la fase di accestimento, in seguito allo svilupparsi di radici dai nodo basali, vicino alla superficie del terreno.
L’apparato radicale avventizio nel volgere di qualche settimana prevale sull’apparato embrionale che peraltro rimane vitale per tutto il ciclo, anche se poco sviluppato.
L’apparato radicale si espande a una profondità variabile in relazione al suolo e può giungere fino a 1,5 m e oltre.
Un buon radicamento è una condizione fondamentale per il buono sviluppo della coltura.

Fusto.

Il culmo (così è chiamato il fusto delle graminacee) è cilindrico, costituito da nodi ognuno dei quali porta una foglia, e da internodi internamente cavi, generalmente in numero di 7-9 secondo la varietà. Nella fase giovanile quando gli internodi non sono sviluppati, i nodi sono ravvicinatissimi ed il culmo, lungo pochi millimetri, non è ancora appariscente.
Ogni nodo ha un meristema che ad un certo momento del ciclo entra in attività provocando l’allungamento dell’internodo soprastante.
Gli internodi basali, che sono i primi ad allungarsi, sono più corti degli altri.
In generale, maggiore è il numero di nodi, e quindi di foglie, più lungo è il ciclo vegetativo della pianta.
L’altezza media del culmo ad accrescimento ultimato è di un metro circa nelle attuali varietà.
Il germoglio primario non resta unico. All’ascella delle foglie sono presenti e possono svilupparsi altri apici vegetativi che danno luogo a culmi secondari e terziari in numero maggiore o minore a seconda delle varietà e delle condizioni ambientali: è questo l’accestimento.
Apparato fogliare.
Il coleoptile è una foglia, la prima, che incappuccia la piumetta (o apice caulinare), perfora il terreno e protegge la piumetta stessa. La prima foglia vera dopo qualche giorno dall’emergenza, ossia dalla fuoriuscita dal terreno, perfora il coleoptile e inizia la fotosintesi.
Le foglie dei cereali sono inserite sui nodi del culmo, con disposizione alterna. Ogni foglia consiste della guaina e della lamina. La guaina è inserita sul nodo e abbraccia completamente ilo culmo; la guaina continua con la lamina, lineare, parallelinervia. Le foglie apicali sono le più sviluppate, l’ultima in particolare (foglia bandiera) dà il maggior contributo alla assimilazione del culmo.
Nella linea di intersezione della guaina con la lamina, all’interno c’è una formazione membranosa, prolungamento dell’epidermide interna della guaina, chiamata ligula, ai cui estremi si trovano due espansioni che abbracciano il culmo e sono dette auricole. La ligula e le auricole hanno notevole importanza per il riconoscimento delle varie specie di cereali allo stato vegetativo. Nel frumento le auricole sono pelose, la ligula è grossolanamente dentata e la guaina è glabra; nell’avena la ligula è glabra e sviluppatissima mentre le auricole mancano; nell’orzo le auricole sono molto grandi e abbracciano completamente il culmo, addirittura ricoprendosi.

Infiorescenza.

L’infiorescenza del frumento è una spiga composta terminale, comunemente detta spiga, costituita da un asse principale, o rachide, sinuoso, formato da corti internodi che, come s’è detto, possono essere resistenti alla disarticolazione (frumenti “nudi”) o disarticolarsi con facilità (frumenti “vestiti”).
Su ogni nodo del rachide è inserita una spighetta, che nel frumento è pluriflora. Il numero di spighette per spiga varia molto con la specie, la varietà e le condizioni di crescita: 20-25 può essere considerato il numero medio di spighette presenti sulla spiga delle attuali forme di frumento cresciute in buone condizioni; in cattive condizioni di coltura tale numero può essere anche molto inferiore.
Le spighette sono sessili, disposte sui nodi alternativamente sui lati opposti del rachide, quindi con disposizione distica. Ciascuna spighetta è formata dai seguenti elementi:
– Un paio di glume a forma di navicella, simmetriche, poste alla base;
– Una rachilla, asse molto raccorciato che porta i fiori alterni;
– I fiori, in numero da 3 a 7.
Ciascun fiore di frumento è racchiuso e protetto da due brattee paglione disuguali dette glumelle o glumette. La glumella inferiore, detta lemma, ha forma di navicella e accoglie il fiore nella sua concavità; la glumella superiore, o palea, chiude come un coperchio la lemma.
Le glumelle inferiori hanno aspetto e dimensioni molto simili alle glume, e sul dorso hanno una carenatura che termina in una punta o in una resta più o meno lunga. In base a quest’ultima caratteristica i frumenti si distinguono in mutici, senza resta, e aristati, con resta.
Nel frumento tenero sono comuni sia le forme mutiche che quelle aristate; i frumenti duri sono sempre forniti di lunghe reste, meno “aperte” che nel tenero e spesso pigmentate di scuro.
Nel frumento le spighette sono pluriflore: il numero dei fiori in ogni spighetta varia da tre a sette, però normalmente sono fertili solo i fiori basali: uno nel T. monococcum, due nel T. dicoccum, fino a 3-4 nei frumenti oggi coltivati.
In alcuni frumenti (duro es.) le glume sono carenate asimmetricamente in tutta la loro lunghezza, in altri (frumento tenero) la carenatura si limita alla sola parte superiore del dorso.
La spiga del frumento tenero vista in sezione è quadrata, mentre quella del frumento duro è compressa lateralmente.

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Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Origine e diffusione

Il frumento sarà preso come prototipo nella trattazione dell’intero gruppo dei cereali microtermi: essi, infatti, sono simili e tra essi il frumento, soprattutto quello tenero rappresenta la specie di gran lunga più importante. Attualmente il frumento è il cereale più coltivato nel mondo: gli sono destinati oltre 224 milioni di ettari. Con il nome di frumento si intendono svariate specie di graminacee appartenenti al genere Triticum che furono tra le prime piante ad essere coltivate nell’era Neolitica. Nell’area geografica della mezzaluna fertile (vicino e Medio Oriente). Da questa regione i frumenti si sono evoluti e diffusi in tutti i paesi a clima temperato, del continente eurasiatico e africano e negli ultimi cinque secoli nei continenti di nuova scoperta (Americhe, Australia).
Le numerose specie di questo genere si sono evolute attraverso complessi meccanismi di ibridazione naturale che hanno portato ad assetti cromosomici molto diversi:
– Frumenti diploidi (2n = 14; genomi AA): Triticum monococcum (Piccolo farro);
– Frumenti tetraploidi (2n = 28; genomi AABB): T. dicoccum (Farro), T. durum (Frumento duro) e T. turgidum (Frumento turgido);
– Frumenti esaploidi (2n = 42; genomi AABBDD): T. spelta (Gran farro), T. aestivum L. (Frumento tenero).
Il Triticum monococcum, il T. dicoccum e il T. spelta sono chiamati grani vestiti perché il rachide si disarticola facilmente cosicché con la trebbiatura la granella resta vestita, essendo costituita da intere spighette, e per essere utilizzata richiede di essere sottoposta all’operazione detta “pilatura”, con la quale le cariossidi vengono separate dalla pula.
Gli altri frumenti sono detti “grani nudi” perché i loro granelli si liberano con grande facilità, non essendo il rachide disarticolabile.

A Triticum durum – B Triticum aestivum var. Spada – C Triticum aestivum var. Brasilia (www.ense.it)

Una tipica cariosside di frumento tenero si distingue da una tipica cariosside di frumento duro per l’aspetto opaco e la frattura non vitrescente, le minori dimensioni, la forma più arrotondata, l’embrione introflesso, la presenza di villosità all’estremità opposta a quella dell’embrione. Tuttavia il riconoscimento di cariossidi di frumento tenero in campioni di frumento duro presenta notevoli difficoltà e richiede grande esperienza, in particolare nel caso di alcune varietà di frumento tenero (es. Spada) i cui granelli hanno caratteristiche morfologiche più simili a quelle dei grani duri rispetto ad altre. (da www.ense.it)

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Grano duro – Triticum durum
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum durum

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Parassiti vegetali

Numerosi sono i funghi patogeni che possono attaccare il frumento nei suoi vari organi, dalle radici alla spiga, da soli o in associazione, in tempi diversi o contemporaneamente. Vi sono parassiti considerati secondari in passato che oggi, con l’intensificazione della coltivazione, stanno aumentando la loro pericolosità.
I più importanti e comuni sono i seguenti.
Mal del piede. Per mal del piede si intende un quadro patologico che si manifesta sulla parte basale del culmo del frumento e sulle radici e che è provocato da diversi possibili agenti patogeni.
I più noti sono:
– 1 Ophiobolus graminis, molto frequente in Italia nelle zone di coltivazione del frumento tenero e solo eccezionalmente in quelle del frumento duro;
– 2 Cercosporella herpotricoides i cui attacchi rendono fragile la paglia e quindi provocano allettamenti a tappeto; è molto frequente e temuta nelle zone cerealicole fresche e umide del Centro-nord d’Europa, mentre in Italia si riscontra solo nelle annate eccezionalmente piovose;
– 3 Funghi del gen. Fusarium (F. nivale, F. culmorum, F. graminearum), sono i più importanti e diffusi agenti del mal del piede sia nell’Italia centro-settentrionale sul frumento tenero sia in quella meridionale sul frumento duro.
Il sintomo più evidente è l’imbrunimento della parte basale dei culmi accompagnato da alterazioni delle radici. In conseguenza di ciò si ha arresto dello sviluppo dei culmi di accestimento, e quindi riduzione del numero di spighe a m2; se i culmi affetti arrivano a formare la spiga, si disseccano precocemente, sbiancandosi, e la spiga resta vuota di granelli o con granelli piccoli e striminziti.
Il mal del piede viene favorito dai seguenti fattori:
– Ristagni d’acqua: infatti spesso si rileva con diversa intensità in punti diversi dallo stesso campo;
– Semine troppo anticipate;
– Cattivo stato nutrizionale: una buona concimazione azotata è un potente mezzo di prevenzione;
– Un cereale come coltura precedente: il più importante effetto negativo del ringrano, ossia della monosuccessione di frumento, è l’intensificazione degli attacchi di mal del piede;
– Presenza della paglia in superficie.
Contro il mal del piede non esistono cure efficaci o varietà resistenti. Di conseguenza questa malattia si può prevenire solo con mezzi agronomici che riducono le cause predisponesti: interramento della paglia del cereale precedente; sistemazione dei terreni che assicuri un adeguato sgrondo delle acque; concimazione azotata abbondante; avvicendamento con colture diverse dai cereali; semine ritardate nei terreni a rischio.
Ruggini. Il sintomo caratteristico di questa famiglia di malattie è costituito da pustole di diverso colore, a seconda del fungo responsabile.
Tre ruggini principalmente attaccano il frumento:
– La ruggine gialla (Puccinia glumarum o striiformis) che forma pustole piccole, arrotondate, gialle, allineate tra le nervature delle foglie e sulle spighe; essendo la meno termofila gli attacchi possono verificarsi anche assai presto in primavera, provocando danni molto seri in certe annate sulle varietà sensibili;
– La ruggine nera (Puccinia graminis varietà tritici): è la più termofila, che attacca tardivamente le guaine e i culmi del frumento formandovi pustole allungate, bruno-nerastre e provocando la “stretta” nelle varietà molto tardive (mentre le attuali varietà precoci le sfuggono);
– La ruggine bruna (Puccinia recondita o triticina) che provoca pustole giallo-rossastre sparse sulle due facce delle foglie, ha esigenze termiche intermedie tra le precedenti e provoca attacchi sporadici ma gravi.
La diffusione delle ruggini è favorita dal rigoglio vegetativo e dal decorso climatico caldo e umido; perciò le ruggini sono particolarmente temibili nei terreni vallivi, umidi, nei climi nebbiosi, sui frumenti tardivi o su quelli concimati con eccesso di azoto. I rimedi preventivi risultano quindi evidenti. La scelta di varietà tolleranti resta comunque il mezzo più efficace per evitare i danni da ruggine; per la ruggine bruna e nera un tipo di resistenza efficiente si è dimostrato la precocità che consente di sfuggire agli attacchi.
Oidio. L’oidio o mal bianco (Erisiphe graminis varietà tritici) colpisce foglie, steli e spighe formando una lanugine superficiale, prima bianca poi grigiastra disseminata di punti neri. Questa malattia si sviluppa in particolare in colture molto fitte e rigogliose e quando il cielo è coperto.
Forti attacchi riducono la capacità di assimilazione del fogliame; gravi in special modo gli attacchi sulla penultima e ultima foglia (foglia-bandiera).
Septoriosi. Le septoriosi sono provocate da septoria tritici e Septoria nodorum. La prima si sviluppa sulle foglie di frumento durante gli inverni miti, provocando macchie bruno chiare a forma di losanga che finiscono per confluire fino a disseccare le foglie.
La seconda attacca anche i nodi del culmo, che diventano molli, poi le spighe che diventano grigiastre per il disseccamento delle glume.
Le septoriosi, in caso di semente contaminata, provoca il marciume delle piantine in germinazione; a evitare questo pericolo serve la concia delle semente.
Carie. La varie (Tilletia tritici e Tilletia laevis) sono altri parassiti fungini che trasformano i chicchi del frumento in granelli ovoidali tozzi, grigio-bruni, pieni di una polvere scura dall’odore di pesce fradicio. Escludere dalla semina la granella proveniente da campi infetti ed effettuare la concia del seme sono rimedi pienamente efficaci.
Carbone. Assai meno pericoloso della carie è il carbone (Ustilago tritici), che appare alla spigatura. Le giovani spighe si presentano prive di spighette e ricoperte di una polvere bruno-scura.
La concia del seme con i fungicidi sistemici oggi disponibili è il rimedio migliore.
Segale cornuta. (Claviceps purpurea). Anche se questa malattia è molto più diffusa e grave nella segale, in rari casi è rilevabile anche sul frumento, specialmente quello duro. Il parassita si sviluppa nell’ovario dei fiori che trasforma, con la maturazione, in un corpo duro, allungato, nero-violaceo, che è lo sclerozio del fungo. Questi sclerozi contengono diversi alcaloidi (ergatossina, ecc.) fortemente tossici per l’uomo. Il limite legale di tolleranza nei cereali è l’1‰ di sclerozi nella massa.
Difesa
Mentre la concia della semente è un irrinunciabile intervento preventivo, molto opinabile è la tendenza recente a fare trattamenti anticrittogamici per prevenire e/o combattere le sopra citate malattie fogliari.
Nei Paesi del Centro Europa questi trattamenti sono diventati ordinari, considerati necessari per realizzare le altissime produzioni ivi conseguibili grazie a un clima favorevole al cereale ma anche alle crittogame fogliari.
In Italia, dove le condizioni climatiche sono meno umide e quindi meno propizie agli attacchi fungini, in genere è sufficiente evitare di coltivare varietà suscettibili ma scegliere quelle geneticamente resistenti o tolleranti, perché questi trattamenti possano essere omessi: il che è un vantaggio economico non meno che ecologico.

Parassiti animali

I parassiti animali che attaccano la pianta di frumento non provocano, di solito, danni diffusi, e in genere non richiedono interventi appositi durante la vegetazione.
Il seme appena affidato al terreno può essere preda di topi, delle arvicole, dei passeri e di altri uccelli.
La base dei culmi può venire minata dalle larve degli elateridi (Agriotes lineatus, A. obscurus, A. pilosus).
Le larve della mosca del frumento (Clorops taeniopa, Oscinella frit) possono provocare danni sensibili scavando gallerie nello stelo.
Sulle spighe, all’epoca della fioritura, si possono trovare colonie di afidi (Sitobium avenae, S. granaria). Sempre sulle spighe, in talune zone cerealicole si possono verificare attacchi massicci di cimici delle piante (Aelia rostrata) che danneggiano il raccolto con le loro punture alle spighe e alle cariossidi. Solo dopo attenta valutazione della gravità degli attacchi e dell’entità del danno atteso (“soglie d’intervento”) si dovrà decidere se intervenire.
La granella immagazzinata è soggetta agli attacchi delle tignole e del punteruolo. La larva della tignola vera (Sitotroga cerealella) penetra nel chicco nutrendosi del suo contenuto amidaceo e può produrre danni ingenti. Invece la larva della falsa tignola (Tinea granella) riunisce con fili sericei più granelli e se ne ciba. Quando l’attacco è intenso, alla superficie dei mucchi si forma un feltro di cariossidi collegate tra loro. La femmina del punteruolo (Calandra spp.) depone un uovo per cariosside; la larva si nutre rodendo l’interno del chicco.

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Grano duro – Triticum durum
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum durum

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Mietritrebbiatura

La macinazione del frumento duro è quindi fatta con un sistema diverso da quello adottato per il frumento tenero essendo volta ad ottenere semola, anziché farina, oltre ai sottoprodotti crusca e farinetta. Il dato qualitativo più importante per l’industria semoliera è la resa di macinazione, ossia i kg di semola ottenibili da 100 kg di granella.
Questo valore dipende dal peso ad ettolitro, dal grado di bianconatura e principalmente dal contenuto in ceneri; infatti la legge stabilisce per le semole un contenuto massimo di ceneri dello 0,85% e per non superare questo limite il molitore è talora costretto ad abbassare la resa di macinazione.
I requisiti minimi richiesti per l’accettabilità del frumento duro sono praticamente gli stessi indicati per il frumento tenero panificabile con in più i seguenti: peso ad hl: 76kg; % massima di chicchi bianconati anche solo parzialmente: 50%, di cui chicchi di frumento tenero: 4%. La tolleranza relativamente alla % di bianconatura è del 20%: ciò vuol dire che detrazioni vengono fatte solo quando la bianconatura è superiore a questo valore fino al limite massimo di ricevibilità.
I duri di qualità superiore si ottengono solo nelle regioni tipiche del Sud Italia, grazie alle condizioni edafiche e climatiche che assicurano l’insieme delle caratteristiche determinanti un’ottima qualità pastificatoria.
La utilizzazione assolutamente prevalente del frumento duro è per la preparazione della pasta, definita dalla legge come segue: Sono denominati “pasta di semola di grano duro” e “pasta di semolato di grano duro” i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente:
a) con semola di grano duro ed acqua;
b) con semolato di grano duro ed acqua.
La prima lavorazione cui la granella di frumento duro viene sottoposta è, quindi, una speciale macinazione (frantumazione delle cariossidi con rulli scalanati ) con la quale si ricavano semola e semolato dall’endosperma amilifero, germe e crusca.
E’ denominata semola il prodotto granulare a spigolo vivo ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.
E’ denominato semolato il prodotto ottenuto come sopra, dopo l’estrazione della semola.
Le caratteristiche che devono possedere i due prodotti sono le seguenti:
– semola: ceneri, minimo 0,70%, massimo 0,85%; cellulosa, minimo 0,20%
massimo 0,45%; sostanze azotate, minimo 10,50%;
– semolato: ceneri, minimo 0,90%,massimo 1,20%; cellulosa, massimo 0,85%; sostanze azotate, minimo 11.50%.

Caratteri nutritivi e tecnologici della farina >>>

Avversità e parassiti

Avversità meteoriche

Il ristagno prolungato dell’acqua determina sulle colture nascite irregolari, diradamenti, scarso accestimento, suscettibilità a malattie; si hanno poi: maggiori invasioni di erbe infestanti, le quali generalmente tollerano l’asfissia meglio delle piante coltivate, e dispersione di azoto minerale per denitrificazione e per lisciviazione.
Allettamento. Piogge violente accompagnate dal vento possono provocare l’allettamento, cioè il coricamento dei culmi che si piegano alla base prostandosi a terra. È evidente che l’allettamento può succedere solo dopo che la levata della coltura è avviata.
Il danno che l’allettamento provoca è di natura e gravità diversa a seconda di quando si verifica: in prossimità della raccolta, quando la fase di riempimento è conclusa, il danno consiste solo in qualche difficoltà nella raccolta; a levata iniziata da poco il danno è limitato poiché i culmi allettati si raddrizzano in quanto incurvano i loro internodi e riprendono l’assetto eretto; è quando l’allettamento si verifica verso la fine della levata, quando i culmi non hanno più la capacità di raddrizzarsi, che il danno è massimo. Infatti l’anomalo assetto della vegetazione pregiudica gravissimamente l’assimilazione della coltura: la piegatura dei culmi ostacola la salita della linfa greggia; le foglie anziché essere protese a ricevere la luce, vengono a trovarsi prostrate a terra in un ammasso dove la luce non entra, l’aria circola male, le malattie fogliari trovano condizioni favorevoli per attaccare. Il risultato è che il processo di assimilazione fotosintetica è compromesso nelle fasi cruciali di fioritura e/o granigione, sempre con produzione di granella scarsa e di pessima qualità.
L’allettamento si produce per una causa meccanica: la forza orizzontale del vento, e il suo verificarsi o meno dipende, a parità di forza del vento, dalle caratteristiche della copertura vegetale: altezza delle piante, robustezza, elasticità e sanità dei culmi.
Queste caratteristiche della vegetazione dipendono in parte da fattori varietali, geneticamente determinati, in parte da fattori ambientali. L’altezza dei culmi è una caratteristica prevalentemente varietale, ma sulla quale influisce anche il livello di concimazione. La robustezza dei culmi dipende prevalentemente dalle condizioni di concimazione. L’elasticità dei culmi dipende prevalentemente dalle condizioni di coltivazione: semine troppo fitte e squilibri o eccessi di concimazione azotata predispongono le colture ad allettarsi perché per la forte competizione reciproca i culmi durante la levata si significano poco e restano sottili e deboli, specialmente gli internodi più bassi, quelli meno illuminati e più sollecitati meccanicamente.
L’allettamento è anche la conseguenza dell’attacco di un fungo (mal del piede prodotto da Cercosporella) che rende fragile la paglia nella parte basale dei culmi di frumento.
L’allettamento è il principale fattore determinante il limite di produttività dei cereali “a paglia” (tipo frumento). Lo straordinario aumento del livello produttivo delle varietà ottenute negli ultimi cinquanta anni è il risultato dei progressi del miglioramento genetico combinati con i progressi della tecnica colturale. I genetisti hanno selezionato varietà più resistenti all’allettamento che hanno consentito di modificare la tecnica colturale, intensificando la concimazione azotata e di conseguenza le produzioni unitarie.
Grandine. La grandine arreca danni particolarmente sensibili se cade alla spigatura e alla maturazione.

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Grano duro – Triticum durum
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

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Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum durum

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Caratteri botanici

Il frumento duro (Triticum durum) fa parte del gruppo dei frumenti tetraploidi. Verosimilmente è il frutto di selezione antropica in climi caldo–aridi, per caratteri utili delle spighe e della granella ( cariossidi nude, endosperma vitreo e ricco di proteine) a partire dai frumenti tetraploidi primitivi.
Il frumento duro si differenzia dal tenero per i seguenti caratteri morfologici;
– Spiga lateralmente compressa, anziché quadrata, se vista in sezione; glume carenate fino alla base e giumelle inferiori terminanti sempre con una resta molto lunga e spesso pigmentata;
– Cariosside assai grossa (45-60 mg), a sessione trasversale subtriangolare, con albume che tipicamente ha struttura vitrea, ambracea, cornea, anziché farinosa;
– Ultimo internodo pieno, per cui il culmo sotto la spiga è resistente allo schiacciamento.

Esigenze ambientali

L’adattamento del frumento duro è meno largo di quello del frumento tenero: meno di questo resiste ad avversità come il freddo, l’umidità eccessiva, l’allettamento e il mal di piede; molto più di questo vede compromessa la qualità della granella da condizioni ambientali improprie.
Per quanto riguarda il terreno il frumento duro dà migliori risultati in quelli piuttosto argillosi, di buona capacità idrica, mentre rifugge da quelli tendenti allo sciolto.
Il frumento duro è meglio del tenero adattato agli ambienti aridi e caldi, dove riesce a realizzare la migliore espressione di qualità.

Grano duro (CC BY-SA 3.0,

Varietà

Il miglioramento genetico del frumento duro è proceduto con molto ritardo e con maggiore lentezza di quello del frumento tenero.
Solo negli ultimi decenni del XX secolo si è avuta una vivace ripresa di interesse per il miglioramento di questa specie, tradottasi nella realizzazione di parecchie nuove varietà radicalmente rinnovatrici del panorama varietale italiano.
I problemi del miglioramento genetico del frumento duro sono stati mossi da due esigenze: quella di creare varietà agronomicamente migliori per le aree di tradizionale coltivazione del frumento duro (Meridione e Isole), e quelle di creare nuove varietà per poter estenderne la coltura nell’Italia centro-settentrionale.

Gli aspetti principali da affrontare nel miglioramento del frumento duro sono i seguenti:
– Resistenza all’allettamento. La suscettibilità a questa avversità, impedendo di sorpassare soglie produttive modeste, è stato il principale fattore responsabile delle basse rese del frumento duro, nonché uno dei più forti ostacoli all’estensione della coltura a nord del suo areale tipico, in terreni, generalmente, di maggiore fertilità.
– Precocità. La tardività di fioritura e di maturazione ha sempre in passato costituito un altro gravissimo limite alla produttività del frumento duro. Infatti tanto più la cruciale fase di granigione si svolge in stagione avanzata, tanto più alte sono che la siccità e/o le ruggini la ostacolino.
– Resistenza al freddo. Rientrano in questo campo la resistenza ai forti e prolungati abbassamenti termici invernali e alle gelate primaverili. Questo problema si pone con carattere di pregiudizialità per l’estensione della coltura nell’Italia centro-settentrionale con inverni assai più rigidi delle tipiche zone meridionali di coltivazione del frumento duro.
– Resistenza alle malattie. Le stesse avversità che colpiscono il frumento tenero possono attaccare il duro. Anzi questo è ancora più sensibile di quello agli agenti del mal del piede e alla segale cornuta.
– Miglioramento qualitativo. I caratteri richiesti per un buon livello merceologico del grano duro riguardano sia la resa in semola durante il processo di macinazione che il processo di pastificazione.La bianconatura (presenza di cariossidi che invece di avere l’endosperma completamente vitreo presentano settori a consistenza farinosa) è causa di deprezzamento merceologico del prodotto in quanto ne risulta peggiorata la resa in semola, il colore di questa e l’omogenea colorazione della pasta.

Altre caratteristiche qualitative richieste per il frumento duro sono:
– Cariossidi di elevato peso ettolitrico; di colore giallo traslucido, brillante; assenza di macchie scure sull’embrione o su altre parti della cariosside(puntatura o volpatura).
– Semola ben colorata (alto indice di giallo) per elevato contenuto di carotenoidi e flavonoidi, senza residui di involucri, buona granulazione e con spigoli vivi, con basso contenuto in ceneri (non superiore a 0,85%s.s.) elevato contenuto di proteine e glutine, buone qualità del glutine;
– Pasta di bel colore giallo, trasparente, omogenea, dotata di buon comportamento alla cottura, per quanto riguarda elasticità, collosità, resistenza.
Anche per il frumento duro le prime “razze elette” sono state ottenute per selezione nell’ambito di popolazioni indigene.
Il massimo avvicinamento all’ideotipo di frumento duro è stato oggi realizzato con le varietà derivate dall’ibridazione del frumento duro con un frumento tenero giapponese.
Queste varietà per precocità e resistenza all’allettamento hanno una potenzialità produttiva elevatissima, non inferiore a quella dei frumenti teneri.
Le 10 più diffuse varietà di frumento duro, che nel 2003 coprivano il 70% dell’intera superfice, sono le seguenti, in ordine decrescente: Simeto, Duilio, Ciccio, Arcangelo, Creso, Colosseo, Iride, Rusticano, Grazia e Svevo.

Tecnica colturale

La tecnica culturale del frumento duro ricalca da vicino quella del frumento tenero. Verranno qui di seguito accennati i punti per i quali se ne diversifica.
Semina. La semina del frumento duro va fatta con un leggero anticipo su quella del tenero; in tal modo si favorisce l’accestimento e si anticipa, sia pur di poco, la fioritura e la maturazione.
Quantità di seme. In passato si seminava molto meno fitto del tenero: 120Kg /ha; la tendenza odierna, specialmente nelle zone non particolarmente aride, è di impiegare quantità di seme assai maggiori, non molto più basse di quelle consigliate per il tenero: 350-400 cariossidi per metro quadrato, pari a 180-200 kg ha-1 e talora più, se la varietà, come spesso si verifica, è a granella grossa.
Avvicendamento. Le nuove varietà sono esigenti quanto i teneri: quindi vanno in rotazione come primo grano; da evitare il ristoppio data la sensibilità del duro al mal del piede.
Concimazione. Per la concimazione potassica e fosfatica si comporta come con il tenero, basandosi sulla dotazione del terreno. Per la concimazione azotata si dovrebbe seguire la tendenza a forzarla, considerando però i pericoli dell’allettamento e della stretta ( resa particolarmente pericolosa e temibile dalla tardività della maturazione). Le varietà resistenti all’allettamento possono essere concimate finanche con 150-200 kg ha-1 d’azoto, ma in ambienti siccitosi la concimazione va opportunamente ridotta. La concimazione azotata oltre ad aumentare le produzioni areiche diminuisce la percentuale di bianconatura rendendo la granella più proteica. Particolarmente efficaci per prevenire la bianconatura sono le azotature tardive.
Diserbo. Il frumento duro è un po’ più sensibile del tenero alla tossicità degli erbicidi i quali, perciò, vanno adoperati a dosi leggermente inferiori. La tecnica e i prodotti sono gli stessi indicati per il frumento tenero.

Raccolta e utilizzazione

Le rese ottenibili col frumento duro sono ormai dello stesso ordine di grandezza di quelle ottenibili nelle stesse condizioni coi frumenti teneri, per cui la convenienza economica a coltivare l’una o l’altra specie dipende essenzialmente dal valore di mercato della granella e dal regime di contribuzione CE; quest’ultima, nel caso del frumento duro, è riservata a determinare regioni ed è subordinata alla coltivazione di varietà con buone caratteristiche qualitative.
In molte zone dell’Italia meridionale vanno considerate buone, rese superiori a 3,5 t/ha.
Il frumento duro produce una granella dalla quale si ricava la semola, materia prima per la preparazione delle paste alimentari, costituita da frammenti d’endosperma più o meno grandi, a spigolo vivo, non farinosi.

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Grano duro – Triticum durum
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Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum durum

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Origine e diffusione

Il frumento o grano duro si è evoluto piuttosto tardi (IV sec. a.C.) soppiantando il farro in tutta l’area mediterranea e medio-orientale a clima caldo e siccitoso, dove tuttora ha la massima diffusione. Assai recente è l’introduzione del frumento duro negli altri continenti.
Il frumento duro nel mondo è coltivato su un’area molto meno estesa del frumento tenero e con impiego prevalente per la preparazione di paste alimentari, previa speciale macinazione che porta alla produzione della semola, anziché di farina.
Le statistiche ufficiali FAO hanno solo la voce “frumento” senza distinzione tra tenero e duro; tuttavia si stima che il duro sia esteso sul 9% della superficie totale a frumento.
In Europa il principale produttore di duro è l’Italia che nel 2000 gli ha destinato 1,6 Mha su un totale a frumento di 2,3 Mha, con una produzione di 4,5 Mt.
Il frumento duro ha avuto una notevole espansione in Italia negli anni ’70 a seguito della politica agricola seguita dalla Comunità Europea. Constatato che il consumo di paste alimentari aumentava e che la produzione europea era largamente deficitaria, la CE per ridurre l’importazione ha voluto incentivare la produzione comunitaria di frumento duro.
Questa politica è stata ed è di notevole vantaggio per l’Italia, che è il più grande produttore di frumento duro, e in particolare per le sue regioni meridionali e insulari dove è stata tradizionalmente concentrata la produzione di questo cereale. I contributi comunitari per ettaro, assai superiori di quelli del frumento tenero, hanno stimolato l’espansione della coltivazione del frumento duro dalle regioni dove prima era esclusivamente limitata (Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, Lazio e Bassa Toscana) ad altre regioni dell’Italia centrale e finanche settentrionale, in sostituzione del frumento tenero.

A Triticum durum – B Triticum aestivum var. Spada – C Triticum aestivum var. Brasilia (www.ense.it)

Una tipica cariosside di frumento tenero si distingue da una tipica cariosside di frumento duro per l’aspetto opaco e la frattura non vitrescente, le minori dimensioni, la forma più arrotondata, l’embrione introflesso, la presenza di villosità all’estremità opposta a quella dell’embrione. Tuttavia il riconoscimento di cariossidi di frumento tenero in campioni di frumento duro presenta notevoli difficoltà e richiede grande esperienza, in particolare nel caso di alcune varietà di frumento tenero (es. Spada) i cui granelli hanno caratteristiche morfologiche più simili a quelle dei grani duri rispetto ad altre. (da http://www.ense.it)

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Salute e Benessere

Fonio bianco – Digitaria exilis (Kippist) Stapf
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sottofamiglia: Panicoideae
Genere: Digitaria
Specie: D. exilis (Kippist) Stapf

Origine e diffusione

Il fonio bianco è una pianta erbacea diffusa diffusa nelle savane dell’Africa occidentale. E’ un cereale privo di glutine, ricco di proteine, fibre e sali minerali. Le popolazioni locali coltivano questo cereale da millenni tanto da essere entrato nella loro mitologia. I Dogon del Mali credono che il creatore del mondo, Amma, abbia generato l’universo facendo esplodere un chicco di fonio, situato dentro “l’uovo del mondo”.

Fonio – Digitaria exilis (Di Toujours Passages – fonio moissonné et entassé au champUploaded by fasokan,

Caratteri botanici

La pianta annuale e alta anche fino a 80 cm, si adatta benissimo a suoli poveri e secchi, grazie al suo sistema di radici molto sviluppato. Quando è matura, lo stelo si sdraia a terra.

Tecnica colturale

E’ una pianta che si adatta perfettamente ai terreni aridi e sabbiosi, resistendo ottimamente al clima secco senza aver bisogno di acqua per crescere, né di prodotti chimici. Si sviluppa in sole 6-8 settimane, rendendo i suoi chicchi velocemente disponibili al consumo. Per un lungo periodo di tempo, però, il fonio, per via dei suoi chicchi piccolissimi delle dimensioni di circa 1,0 – 1,5mm, è stato abbandonato anche in Africa poiché lavorarli con mortaio e pestello era molto complicato e richiedeva tempi lunghi. Da quando, invece, sono stati realizzati dei macchinari per decorticare i chicchi, come a Dakar, dove è stato aperto il primo mulino su scala industriale, questo cereale è tornato a diffondersi.

Raccolta e utilizzazione

Come detto sopra, quando è matura, lo stelo si sdraia a terra. A quel punto è raccolta, solitamente a mano: si tratta di un lavoro lungo e difficile perché si effettua con la falce e prevede che gli steli vengano subito raccolti in fasci per agevolarne il trasporto. Questi devono essere inoltre manipolati con grande cura perché i chicchi, molto piccoli, cadono facilmente. Dopo circa due settimane, gli steli sono secchi e possono essere battuti per separare i chicchi: uomini e donne usano bastoni rigidi per separare gli steli che vengono usati per nutrire gli animali. I chicchi invece vengono spulati e, prima di essere immagazzinati, pestati dalle donne per togliere le bucce.

Il fonio è privo di glutine, il che lo rende una alternativa per i celiaci. Inoltre, una volta lavorato, il fonio ha un profilo nutrizionale molto simile ad altri cereali, benché sia più povero in proteine.

Semi di Fonio (Di Jose Hernandez – http://plants.usda.gov/java/largeImage?imageID=aesp2_001_ahp.tif,

Fonio nero – Digitaria iburua

Il fonio nero (Digitaria iburua) è un’erba annuale che arriva a un’altezza di 140 cm e ha chicchi rossastri o marrone scuro. Noto anche come iburu o fonio ga, è un importante alimento tradizionale in Togo, Benin e Nigeria.
Il fonio ha un delicato aroma di noci e terra e viene usato per preparare porridge o cous-cous, servito insieme a stufati caldi, oppure nelle insalate. Una volta macinato, può essere miscelato ad altre farine per preparare il pane, Il fonio nero, come quello bianco, è notoriamente difficile da decorticare. È spesso coltivato per produrre il tchapalo, una specie di birra.

Digitaria iburua 

Salute e Benessere

Farro – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.
Farro piccolo Triticum monococcum L.
Farro medio o semplicemente Farro Triticum dicoccum Schrank – Sin. Triticum dicoccum Schübler
Farro grande, o granfarro o spelta Triticum spelta L.

Caratteri botanici

Farro piccolo o monococco: è una specie diploide (2n = 2x = 14); ha culmo sottile e debole, spiga distica, aristata, compressa lateralmente. Le spighette hanno glume consistenti (quella esterna, o lemma, è aristata; quella interna, o palea, è membranosa), che racchiudono una, molto raramente due, cariossidi schiacciate
lateralmente, a frattura semivitrea. E’ il farro di più antica origine e coltivazione. Reperti fossili del suo progenitore selvatico, Triticum boeticum, databili al X-IX millennio a.C., ne indicano il centro principale di
origine nelle aree montagnose dell’odierna Turchia; semi di farro piccolo coltivato sono fatti risalire dalla paleobotanica al VII-VI millennio a.C.
Farro medio: è una specie tetraploide (2n = 4x = 28); presenta, come il farro piccolo, spiga compatta e, generalmente, aristata. Le spighette contengono di norma due cariossidi, raramente tre. Discende per processo di domesticazione dalla specie selvatica T. dicoccoides, la cui area di diffusione è collocabile da
oriente del Mediterraneo fino al Caucaso. In base ai reperti fossili delle due specie risulta che la domesticazione del T. dicoccum fu molto più rapida di quella del farro piccolo, fatto che è da collegare alla superiore produttività della prima specie, capace di formare due cariossidi per spighetta invece dell’unico seme caratteristico del T. monococcum.
Farro grande: è una specie esaploide (2n = 6x = 42); presenta spiga lasca, priva di reste o munita di reste brevissime. Come nel farro medio, le spighette contengono due cariossidi, raramente tre. E’ il farro di origine più recente (due millenni più tardi di farro piccolo e medio), avendo come progenitore, oltre la specie selvatica Aegilops squarrosa, il T. dicoccum coltivato. Il suo è il centro di origine situato più a oriente, dal Mar Caspio ai territori dell’Afghanistan e del Kazakistan odierni.

Adattamento alle zone marginali

Il farro si adatta a quelle zone marginali dove i terreni poco poco adatti alle moderne ed esigenti varietà di frumento tenero e di altri cereali a paglia. Il farro, viceversa, riesce ad adattarsi grazie soprattutto
alla rusticità, alle modeste esigenze in fatto di fertilità dei terreni, alla resistenza al freddo; ma anche in virtù di caratteristiche morfologiche e fisiologiche che risulterebbero del tutto improprie a sistemi colturali intensivi:
– forte potere di accestimento, che entro certi limiti, può consentire il recupero di una sufficiente fittezza delle colture nei casi di semine mal riuscite o di diradamenti dovuti ad eccessi termici invernali;
– ciclo di sviluppo tardivo, non compatibile con profili climatici meno piovosi e più caldi di quelli di collina e montagna durante le fasi finali del processo produttivo;
– taglia alta della pianta, che in concorso con la tardività del ciclo ed il forte potere di accestimento conferisce elevata suscettibilità all’allettamento, avversità che la modesta fertilità del suolo degli ambienti marginali permette di contenere;
– cariosside vestita dagli involucri glumeali, valida protezione contro avversità biotiche e possibili alterazioni della granella causate dalla piovosità che di norma accompagna la granigione e la maturazione negli ambienti altocollinari.

Specie e varietà

Farro piccolo: è il meno produttivo dei tre farri. E’ anche il tipo più tardivo (spigatura e maturazione
ritardano di 10-20 giorni rispetto alle comuni varietà di frumento tenero), ciò che lo rende inadatto agli ambienti caratterizzati da precoce innalzamento delle temperature accompagnato da assenza di precipitazioni. La debolezza del culmo, unitamente all’elevata facoltà di accestimento ed alla tardività, lo rendono molto suscettibile all’allettamento. Il farro piccolo presenta interesse soprattutto sotto l’aspetto qualitativo: le cariossidi, a frattura semi-vitrea, hanno un elevato contenuto di proteine e di carotenoidi.
Farro medio: è il più importante e il più diffuso farro coltivato in Italia, tanto da essere spesso considerato il
farro per antonomasia. Più adattabile dello spelta a condizioni ambientali difficili, è la specie tipica delle aree tradizionali di coltivazione del farro dell’Italia centro-meridionale. Nell’ambito di tali areali la coltivazione e la riproduzione in loco da lunghissimo tempo dei medesimi genotipi hanno differenziato delle popolazioni autoctone (ecotipi) caratteristiche, e caratterizzanti, degli areali medesimi.
La popolazione di farro tipica di un determinato ambiente si differenzia dalle popolazioni autoctone di altri areali. Ogni ecotipo, pertanto, costituisce un elemento di tipizzazione della produzione del proprio areale di coltivazione, con riferimento al quale viene generalmente denominato.
Le particolarità caratterizzanti i tipi di farro dei vari ambienti riguardano soprattutto habitus di sviluppo e produttività e sue componenti più che la morfologia della pianta. Per quanto riguarda il primo carattere sono ad habitus di sviluppo nettamente autunnale i farri della Garfagnana e del Molise, che dimostrano
elevate esigenze di freddo collegate al fenomeno della vernalizzazione. Sono pertanto tipi “non alternativi”, non adatti alla semina di fine inverno. La popolazione dell’Italia centrale, viceversa, si caratterizza per elevato grado di primaverilità: è dunque tipo “alternativo” idoneo a semine“marzuole” (fine inverno-inizio primavera), quali di norma sono realizzate in certi ambienti (altopiano di Leonessa) del suo areale tipico di coltivazione.
Farro grande: possiede potenzialità produttive superiori al farro medio, che tuttavia possono
esprimersi appieno solo in ambienti non troppo sfavorevoli. In situazioni pedoclimatiche difficili lo
spelta non risulta competitivo col farro medio, anche in conseguenza del più lungo ciclo di
sviluppo. Diversamente dal farro medio lo spelta non è presente in Italia sotto forma di popolazioni autoctone,
mentre sono disponibili numerose varietà commerciali, quasi tutte selezionate in paesi centroeuropei.

Tecnica colturale

La tecnica di coltivazione tradizionalmente seguita negli areali tipici di produzione è estremamente semplificata e in certi casi rudimentale quanto ai mezzi tecnici impiegati e alla modalità della loro applicazione. Limitatissimo o assente è l’impiego di prodotti chimici di sintesi, in particolare di
erbicidi; anche l’impiego di concimi è inesistente o limitato ad apporti molto ridotti di fertilizzanti azotati.
Generalmente nelle aree tradizionali di coltivazione non sono adottati regolari schemi di successione delle colture.
La preparazione del letto di semina non è così accurata come quella degli altri cereali vernini. L’attuale tendenza agronomica alla semplificazione delle lavorazioni, con un minor numero e intensità degli interventi, presenta aspetti di grande interesse anche nel caso della coltura del farro, per i vantaggi derivanti dalla riduzione del costo delle lavorazioni e dal contenimento dell’impatto ambientale ( aspetto di particolare rilievo con riferimento alla prevalente dislocazione della coltura in terreni collinari e di montagna particolarmente esposti a rischi di erosione).
La semina è di norma autunnale, salvo in ambienti ad altitudini elevate dove viene eseguita a fine inverno per evitare i rischi connessi con le temperature molto basse di tale stagione. La semina post-invernale può cadere da fine febbraio ad aprile inoltrato, a seconda delle condizioni locali. La quantità di seme vestito da impiegare è molto variabile (da un minimo di 70 a un massimo di 150 kg/ha), per un investimento non superiore a 150-200 cariossidi a metro quadrato. La semina può essere effettuata a spaglio o con le comuni seminatrici per cereali.
Riguardo alla concimazione, di solito è sufficiente la letamazione o la fertilità lasciata dall’erba medica. Il farro ha infatti modeste esigenze in fatto di elementi nutritivi. Modesti apporti di azoto possono viceversa rendersi utili su terreni di fertilità molto scarsa, con avvicendamenti in cui prevalgono colture sfruttanti o senza apporti di letame. E da tener presente che questi cereali sono molto suscettibili all’allettamento.
Essendo coltivati in zone marginali, dove si fa poco uso di erbicidi, difficilmente si fa ricorso a un controllo chimico delle infestanti. Inoltre questi cereali presentano una rapida crescita iniziale e un elevato accestimento, risultando quindi molto competitivi nei confronti delle infestanti.

Raccolta e utilizzazione

E’ più tardiva rispetto al frumento tenero e viene effettuata a partire dalla fine della prima metà di luglio e fino a metà agosto, a seconda delle aree e del tipo di farro. A causa dell’elevata fragilità del rachide, durante la trebbiatura si deve ridurre la velocità di avanzamento della macchina e di rotazione dell’aspo.
Le produzioni sono molto variabili: dai 28-30 quintali ad ettaro nei terreni di pianura ai 10-18 delle zone di montagna e marginali. La granella, di elevato valore alimentare, può essere impiegata nell’alimentazione zootecnica. Oggi viene impiegata quasi esclusivamente nell’alimentazione umana. Nel caso dello spelta, può essere impiegata anche nella panificazione. La coltivazione del farro può contribuire alla valorizzazione di ambienti marginali (Farro della Garfagnana IGP – Riconoscimento CE: Reg. CE n.1263/96).

Avversità e parassiti

Crittogame: Oidio (Erysiphe graminis), Mal del piede dei cereali (Gaeummanomyces graminis), Ruggini dei cereali (Puccinia spp.).
Diversi sono i fitofagi delle derrate: Tignola del grano (Sitotroga cerealella), Tignola fasciata del grano (Plodia interpunctella), Tignola grigia delle derrate (Ephestia kuehniella), Cappuccino del grano (Rhizopertha dominica), Verme delle farine (Tenebrio molitor), Calandra del grano (Sitophilus granarius), Acaro delle farine (Acarus siro).

Salute e Benessere

Farro – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.
Farro piccolo Triticum monococcum L.
Farro medio o semplicemente Farro Triticum dicoccum Schrank – Sin. Triticum dicoccum Schübler
Farro grande, o granfarro o spelta Triticum spelta L.

Origine e diffusione

Farro è denominazione generica attribuita indifferentemente a ben tre specie diverse del genere Triticum, comunemente chiamate “frumenti vestiti”. Fino agli inizi del ‘900 la loro coltivazione era diffusa in alcune valli dell’Appennino e in diverse zone montane d’Italia; in seguito è quasi scomparsa. Caratteristiche comuni ai tre tipi sono la fragilità del rachide della spiga e l’aderenza delle glume e delle glumelle alla cariosside, in conseguenza delle quali durante la trebbiatura il rachide si disarticola facilmente liberando spighette intere contenenti cariossidi che rimangono avvolte (“vestite”, da cui il nome di grani vestiti) dagli involucri glumeali. Per ottenere la granella nuda è necessaria un’ulteriore lavorazione di svestitura, detta anche sbramatura o sgusciatura.
Da alcuni anni il farro è diventato oggetto di una forte ripresa di interesse, per un insieme di fattori concomitanti legati alla riscoperta di cibi tipici e alternativi, a provvedimenti di politica agraria volti a diversificare gli indirizzi produttivi ed al recupero di aree marginali e svantaggiate attraverso forme di agricoltura ecocompatibili, alla accresciuta sensibilità nei riguardi della conservazione di specie agrarie a rischio di estinzione o di erosione genetica.
In Italia la coltivazione del farro può contribuire alla valorizzazione di ambienti marginali, attraverso la tipicità e la qualità della materia prima e dei suoi derivati ottenuti da coltivazioni e da attività di trasformazione realizzate in quelle stesse aree, nonché in forza delle opportunità che attività di questo tipo forniscono al recupero di tradizioni e di valori storico-culturali propri di quegli ambienti. Le più importanti aree italiane di coltivazione sono la Garfagnana e l’area umbro-laziale, a cavallo tra l’Umbria ed il Reatino (comprendente l’alta valle del Corno e l’alta Valnerina in Umbria, l’altopiano di Leonessa (Rieti) ed altri territori di confine tra la provincia di Rieti e l’Abruzzo).

Farro della Garfagnana – Triticum dicoccum Schrank (foto www.agraria.org)

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Salute e Benessere

Chia – Salvia hispanica L., 1753
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Magnoliopsida
Ordine: Lamiales
Famiglia: Lamiaceae
Genere: Salvia
Specie: S. hispanica L. 1753

Origine e diffusione

La chia è una pianta originaria del Guatemala e del Messico centrale e meridionale. Veniva coltivata dagli Aztechi in epoca precolombiana. Viene ancora coltivata in Messico e Guatemala, per la produzione sia di sfarinati sia di semi interi ad uso alimentare. I semi, ricchi di omega-3, sono paragonabili dal punto di vista nutrizionale a quelli del lino e del sesamo.

Pianta di Chia – Salvia hispanica (Di Pancrat – Opera propria, CC BY-SA 3.0,

Caratteri botanici

La chia è una pianta erbacea che può raggiungere l’altezza di un metro, ha foglie opposte lunghe 4–8 cm e larghe 3–5 cm. I fiori sono viola o bianchi e si presentano come infiorescenze composte (racemo).

Fiori di Chia (By Dick Culbert from Gibsons, B.C., Canada – Salvia hispanica, CC BY 2.0,

Raccolta e utilizzazione

I semi misurano circa 2 mm. di lunghezza per 1,5 mm. di larghezza. Sono ovali e lucidi, di colore marron/grigiastro o marron scuro. Vengono impiegati per produrre dei prodotti farinacei o anche consumati direttamente come semi interi. I semi sono ricchi di grassi (31%) e in particolare di acidi grassi polinsaturi.

Semi di Chia (Magister Mathematicae, CC BY-SA 3.0

Avversità e parassiti

Afidi e malattie fungine (evitare i ristagni idrici).

Salute e Benessere

LA SALUTE DALLA A ALLA ZETA – DIZIONARIO DELLA SALUTE – 7

Acolia

Mancanza della secrezione biliare. Di conseguenza le feci assumono un colorito bianco-grigiastro, con consistenza cretacea. Le feci alcoliche presentano, inoltre, un elevato contenuto in sostanze grasse (steotorrea).

Acondroplasia

Rara malattia congenita della crescita ossea, che provoca bassa statura (nanismo). Le ossa colpite sono soprattutto le ossa lunghe delle braccia e delle gambe.

La cartilagine che lega ogni osso alla sua epifisi (zona di crescita posta alla sua estremità) si trasforma troppo precocemente in osso, impedendo così l’ulteriore crescita dell’arto. La maggior parte delle altre ossa cresce normalmente.

Gli individui colpiti presentano arti corti e robusti, tronco ben sviluppato e testa di dimensioni normali tranne per un’eccessiva sporgenza della fronte.

Incidenza e cause

L’acondroplasia colpisce circa due-tre persone ogni 100.000. Questa patologia è provocata da un difetto genetico con ereditarietà di tipo dominante (anomalie genetiche), sebbene non si sappia esattamente come l’anomalia genetica provochi l’alterazione della crescita ossea.

I figli degli acondroplasici hanno ciascuno una probabilità del 50% di ereditare il gene anomalo e di essere essi stessi portatori di questa anomalia. I genitori della maggior parte degli acondroplasici sono invece di statura normale. In questi casi l’anomalia è derivata da una modificazione genetica o mutazione.

Sintomi e prognosi

Di solito l’acondroplasia è evidente alla nascita o durante il primo anno di vita, quando c’è già un chiaro arresto di sviluppo degli arti rispetto alle dimensioni della testa. Durante l’infanzia la crescita delle ossa degli arti rallenta e si arresta e non è disponibile alcun trattamento per modificare la prognosi. L’intelligenza e lo sviluppo sessuale sono normali. La durata della vita è vicina alla norma. 

Acqua nel ginocchio

Termine di uso comune per indicare l’accumulo di liquido dentro l’articolazione del ginocchio o intorno a essa. La causa più frequente è la borsite (infiammazione di una borsa, una delle sacche piene di liquido che ricoprono i punti di compressione del corpo). Altra causa è la presenza di liquido all’interno dell’articolazione del ginocchio.

Acqua nella testa

Termine non medico usato per indicare l’idrocefalo.

Acque nere, febbre delle

Complicanza occasionale e pericolosa per la vita, della malaria causata da Plasmodium falciparum (agente assai temibile di questa malattia). Tale condizione patologica è provocata da un improvviso aumento della velocità di distruzione dei globuli rossi. I prodotti della scissione di questi globuli vengono eliminati e finiscono nelle urine, facendole scurire, da cui il nome di “acque nere”. Altri sintomi sono la perdita della coscienza (malaria cerebrale), febbre, brividi e vomito.

Acrocianosi

Condizione patologica in cui le mani e i piedi diventano bluastri, possono essere freddi ed eccessivamente sudati. L’acrocianosi è provocata dallo spasmo dei piccoli vasi sanguigni e di solito è aggravata dalla bassa temperatura. L’acrocianosi è collegata lontanamente con la malattia di Raynaud, disturbo circolatorio più grave, in cui la pelle delle dita delle mani e dei piedi può essere danneggiata a causa di una riduzione cronica dell’afflusso di sangue.

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Salute e Benessere

Avena – Avena sativa L. e Avena byzantina C. Koch.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Aveneae
Genere: Avena
Specie: sativa L. (avena comune) – byzantina C. Koch. (avena rossa)

Francese: avoine; Inglese: oat; Spagnolo: avena; Tedesco: Hafer.

Avena – Avena sativa L. (foto www.agraria.org

Caratteri botanici

Il 90% circa delle forme coltivate sulla Terra è da ascrivere alla specie Avena sativa (o avena comune), il restante quasi esclusivamente ad Avena byzantina (o avena rossa). Specie progenitrice dell’A. sativa sarebbe l’Avena fatua, dell’A. byzantina, l’A. sterilis. Queste specie selvatiche dell’A. fatua e A. sterilis sono temibilissime erbe infestanti.
L’avena presenta un apparato radicale di sviluppo notevole, superiore agli altri cereali per profondità ed espansione; culmi robusti, costituiti da un numero di nodi in genere superiore a quello degli altri cereali del gruppo; foglie con lamina larga, verde bluastro, con ligula sviluppatissima, mentre le agricole mancano.
L’infiorescenza è un pannicolo tipico, spargolo, con numerose ramificazioni portanti spighette con due (meno frequentemente tre) fiori; le cariossidi a maturazione sono vestite; le glumelle talora sono ristate, con caratteristica resta ginocchiata, inserita sul dorso della giumella stessa. La fecondazione è autogamia.
Il peso di 1000 semi si aggira sui 25-35 grammi, quello dell’ettolitro su 40-60 Kg. Il valore nutritivo è alquanto basso a causa della notevole quantità di fibra: in media 0,7 UF/Kg.

Esigenze ambientali

L’avena ha i consumi idrici più alti di tutti i cereali, escluso il riso, per cui è particolarmente suscettibile al danno del caldo e del secco, specialmente durante la granigione: è per questo che è specie ben adatta ai climi freschi e umidi. Delle due specie l’A. byzantina sopporta la siccità e le alte temperature molto meglio dell’Avena sativa, per cui le troviamo distribuite in ambienti nettamente differenziati: nei climi (Mediterraneo, Medio Oriente) la byzantina, in quelli freschi (Centro e Nord Europa) la sativa.
Anche le avene selvatiche che si trovano a infestare i cereali hanno habitat differenziati: nell’Italia settentrionale predomina l’A. fatua, in quella Centro meridionale l’A. sterilis.
L’avena è pochissimo resistente al freddo, per cui quasi tutta l’avena del mondo è coltivata in semina primaverile, con l’eccezione dei climi caldo-aridi dove si semina in autunno. Temperature minime dell’ordine di -10°C sono fatali per le varietà primaverili, mentre per quelle autunnali la soglia è di -14°C.
Quanto al terreno l’avena è molto più adattabile di ogni altro cereale: a terreni magri o sub-acidi, molto compatti o molto sciolti (purché in questi l’umidità non manchi), troppo soffici perché ricchi di sostanza organica mal decomposta (quindi ottima su dissodamento di lande, boschi, prati, ecc.). E’ meno adattabile del frumento alla salinità del terreno.
Essendo molto resistente al mal del piede, l’avena si adatta bene ai ristoppi.

Varietà

I principali obiettivi del miglioramento genetico dell’avena sono la resistenza all’allettamento, per forzare la concimazione azotata, e al freddo, per poter fare la semina autunnale.
Il miglioramento genetico dell’avena non è stato in Italia sviluppato come quello del frumento. Pertanto poche e ancora non soddisfacenti sono le varietà italiane oggi disponibili; la maggior parte delle varietà di avena iscritte al Registro nazionale sono straniere, di provenienza Nord-europea: ma queste, essendo selezionate in Paesi nordici dove la semina è sempre primaverile, non resistono al freddo e quindi non si prestano a semine autunnali, e per di più sono inaccettabilmente tardive.

Tecnica colturale

La semina autunnale va fatta anticipata rispetto al frumento e allo stesso orzo: quindi in ottobre; quella primaverile, in marzo-aprile.
La quantità di seme più consigliabile è di 120-150 Kg/ha, adottando le densità inferiori nel caso di semine precoci.
La concimazione azotata va commisurata, oltre che alla fertilità, del terreno e al clima, alla resistenza all’allettamento delle varietà impiegate. Le dosi massime applicabili alla cv. Ava, sono di 60-80 Kg/ha di azoto; sulle altre varietà, più allettabili, 30-40 unità sono il massimo che si può dare. La risposta dell’avena alla concimazione azotata è ancora più spettacolare che negli altri cereali.
Il di sebo ricalca quello del frumento (ovviamente con esclusione degli avenicidi).

Raccolta e utilizzazione

Con buone cultivar si possono raggiungere, in ottime condizioni, 4-5 t/ha.
Buone sono da considerare rese di 3,5-4 t/ha.
Si consideri che la granella nel migliore dei casi, cioè di regolare riempimento delle cariossidi, è costituita per il 25-30% dalle giumelle che le rivestono: nel caso molto frequente che la granigione sia stata ostacolata dalla deficienza di acqua, la quota di rivestimento può aumentare anche di molto oltre le percentuali indicate.

Avversità e parassiti

Le principali avversità non parassitarie sono le seguenti: il gelo invernale che quando arriva presto o bruscamente, può provocare la distruzione delle semine d’autunno; l’allettamento al quale la maggior parte delle varietà disponibili non resiste in maniera soddisfacente; la stretta, frequente data la tardività della specie e i suoi elevati consumi idrici, tuttavia l’effetto “stretta” non è percepito in tutta la sua gravità, dato che la granella è vestita.
Le principali avversità parassitarie dell’avena sono il carbone (Ustilago avenae), le ruggini (Puccinia coronata avenae e P. graminis avenae), l’oidio (Erysiphe graminis) e i nematodi: Ditylenchus dipesaci o anguillula dei culmi, e Heterodera avenae o anguillula delle radici.
Contro le malattie crittogamiche bisogna puntare sulla resistenza genetica; contro i nematodi non c’è che da evitare di far tornare l’avena di seguito sullo stesso campo.

Salute e Benessere

Avena – Avena sativa L. e Avena byzantina C. Koch.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Aveneae
Genere: Avena
Specie: sativa L. (avena comune) – byzantina C. Koch. (avena rossa)

Francese: avoine; Inglese: oat; Spagnolo: avena; Tedesco: Hafer.

Origine e diffusione

Nel Mondo si coltivano circa 15 milioni di ettari di avena con una produzione di quasi 26 milioni di tonnellate di granella: l’avena è al 7° posto nella graduatoria dei cereali, ma con una generale tendenza alla diminuzione.
In Italia la superficie è scesa da 500.000 ettari nel 1948 a circa 150.000.
La generale, spettacolare regressione dell’avena in Italia e nel mondo è dovuta alla diminuzione degli allevamenti equini, alla minor produttività dell’avena in Unità Foraggere rispetto all’orzo, ai limiti d’impiego dell’avena nei mangimi bilanciati causati dall’alto contenuto di cellulosa della granella (che è abbondantemente vestita).
L’avena si trova ancora soprattutto diffusa nelle regioni meridionali d’Italia dove forse più per spirito di tradizione che di razionalità non cede il posto a cereali che potrebbero convenientemente sostituirla (frumento e orzo). Tuttavia l’avena presenta un innegabile vantaggio, importante, in avvicendamenti sfruttanti: che è meno sensibile del frumento e dell’orzo al mal del piede e alla septoriosi.
L’avena, oltre che cereale la cui granella è la “biada” per eccellenza e viene consumata in vario modo anche dall’uomo, è coltura foraggera molto importante sotto forma di erbaio.

Avena – Avena sativa L. (foto www.agraria.org)

Continua domani.

Salute e Benessere

Medicina e salute

Salute – Le proprietà delle piante.

Farmacia in foglie – le principali piante medicinali e le loro proprietà.

Belladonna (Atropa belladonna)

Principi attivi: atropina, isoclamina, scopolamina. Indicazioni: usata per dilatare la pupilla.

Stramonio (Datura stramonium)

Principi attivi: isoclamina. Indicazioni: rilassante muscolare, usato per il morbo di Parkinson.

Echinacea (Echinacea purpurea)

Principi attivi: echinacoside. Indicazioni: cicatrizzante, usato in caso di herpes e di deficit immunitario.

Salice bianco (Salix alba)

Principi attivi: acido salicilico. Indicazioni: febbre, dolori, influenza, reumatismi.

Ginkgo (Ginkgo biloba)

Principi attivi: ginkgolide. Indicazioni: disturbi della circolazione sanguigna e della memoria.

Papavero da oppio (Papaver sonniferum)

Principi attivi: morfina. Indicazioni: attenua efficacemente il dolore.

Gloriosa (Gloriosa superba)

Principi attivi: colchicina. Indicazioni: per combattere la gotta. In piccole quantità è efficace contro la lebbra.

Colchico autunnale (Colchicum autunnale)

Principi attivi: colchicina. Indicazioni: gotta, sono in corso ricerche per l’uso contro la cirrosi e l’epatite.

Pervinca del Madagascar (Catharanthus roseus)

Principi attivi: vinblastina, vincristina, navelbina. Indicazioni: tumori a seno e polmoni.

Continua.

Salute e Benessere

Zenzero – Zingiber officinalis Rosc.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Piante aromatiche

Famiglia: Zingiberaceae
Specie: Zingiber officinalis Rosc.

Generalità

Lo Zenzero è la radice della pianta Zingiber officinalis, pianta erbacea perenne originaria dell’Asia, oggi coltivata diffusamente in quasi tutti i paesi tropicali e subtropicali. Cina e India sono i maggiori produttori di ginger.
Viene coltivata come pianta medicinale e terapeutiche fin da tempi remotissimi.

Radice di Zenzero – Zingiber officinalis Rosc. (foto www.agraria.org)
Zenzero – Zingiber officinalis Rosc.

Caratteri botanici

Pianta erbacea con rizoma aromatico, steli eretti con due file di foglie lanceolate e spighe di fiori bianchi.

Raccolta e conservazione

Il rizoma è adoperato fresco, essiccato o sott’aceto.
Esistono in commercio forme diverse di radice di ginger a seconda della presenza o meno della strato corticale (buccia) della stessa radice. La forma scorticata è prodotta in Giamaica e viene chiamata White Ginger (ginger bianco), la forma con la buccia è chiamata Black Ginger (ginger nero) e viene principalmente dalla Cina e dalla Sierra Leone.

Uso in cucina e proprietà terapeutiche

I germogli, le foglie e le infiorescenze vengono consumati crudi o cotti.
In cucina si abbina con carne e cacciagione e pesce, crostacei e per preparare dolci secchi; si usa per aromatizzare bevande (ginger), salse (curry).
Proprietà terapeutiche: stomachiche, carminative, tonico-stimolanti, antisettiche; vitaminizzanti (ha un alto contenuto in vitamina C).

Salute e Benessere

Zafferano – Crocus sativus L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Piante aromatiche

Famiglia: Iridaceae
Specie: Crocus sativus L.

Generalità

Pianta erbacea perenne originaria dell’Asia occidentale. In Italia la sua coltivazione, anche se limitata a piccole superfici, si sta diffondendo in diverse regioni, grazie anche al riconoscimento di alcune denominazioni di origine. Lo zafferano è noto fin dai tempi antichi come pianta tintoria.

Zafferano – Crocus sativus L. (foto Christel Rump www.uni-bonn.de)

Caratteri botanici

I bulbi germogliano di zafferano in settembre, sviluppando 6-10 foglie lineari; da metà ottobre a metà novembre compaiono 1-2 fiori formati da sei tepali violetti, che circondano uno stimma rosso arancio diviso in tre lunghe lacinie.

Coltivazione

La tecnica colturale prevede la lavorazione profonda e accurata del terreno e una buona concimazione organica e minerale. Nell’estate si prelevano, da colture precedenti, i bulbi, che vengono ripuliti e trapiantati alla profondità di 10 cm, in piccoli solchi distanti 20-30 cm.

Raccolta e conservazione

La raccolta dei fiori di zafferano (da metà ottobre a metà novembre) si effettua al mattino prima che si schiudano. Dai fiori si prelevano gli stimmi che vengono posti in appositi essiccatoi per la tostatura. La produzione può raggiungere 10-15 kg/ha.

Uso in cucina e proprietà terapeutiche

Lo zafferano è uno dei condimenti più noti in cucina e viene impiegato per aromatizzare e colorare molte ricette, tra le quali il famoso risotto alla milanese.
Usato anche in liquoreria. Spesso viene sostituito con alcuni succedanei (falso zafferano) che hanno un medesimo potere colorante ma sono privi del caratteristico aroma del Zafferano vero.
Proprietà terapeutiche: aperitive, digestive, stimolanti, emmenagoghe.

Salute e Benessere

Timo maggiore – Thymus vulgaris L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Piante aromatiche

Famiglia: Labiatae
Specie: Thymus vulgaris L.

Generalità

Pianta originaria delle zone occidentali del Mediterraneo. In Italia è presente in quasi tutto il territorio, allo stato spontaneo o coltivato, nei luoghi aridi, dal piano ai 900 metri.

Timo maggiore – Thymus vulgaris L. (foto www.colorado.edu)

Caratteri botanici

Piccolo arbusto molto ramificato con steli legnosi e molte piccole foglie grigio-verdi, lineari o strettamente lanceolate, revolute al margine, fortemente aromatiche. I fiori, biancastri, rosei o lilla, sono riuniti in verticillastri che sbocciano all’ascella di brattee lanceolate.

Coltivazione

Seminare su terriccio leggero e sabbioso. Quando le piantine sono sufficientemente sviluppate, trapiantarle in vasi o terra piena, in zone soleggiate e prive di ristagni idrici. Le varietà orticole vengono riprodotte per talea o divisione dei cespi.

Raccolta e conservazione

Asportare le foglie e i rametti fioriti ed essiccarli in luogo ombroso e ventilato.

Uso in cucina e proprietà terapeutiche

Il timo viene molto usato in cucina per insaporire e rendere più digeribili molti cibi, come carni arrosto, sughi, verdure, funghi, ripieni, oli e aceti aromatici. Si usa anche per preparare liquori e vini aromatici.
Proprietà terapeutiche: digestive, depurative, carminative, balsamiche, tonico-stimolanti; per gargarismi nelle infezioni del cavo orale.

Thymus citriodorus (Timo limone o Timo degli agrumi)

Il Timo Limone presenta foglie ovali con il caratteristico prufumo di limone; i fiori sono lilla.

Timo limone o degli agrumi – Thymus citriodorus (foto www.agraria.org)