Un commento alla poesia del giorno

Di Sergej Esénin, il tormentato poeta russo morto appena trentenne, ho scelto questa famosissima poesia, che si può assumere a messaggio di speranza, di umana solidarietà fondata sulla certezza che dopo la morte raggiungeremo il paese dov’è gioia e quiete.

Speranza e certezza, si badi bene, che non escludono o condizionano l’amore alle cose terrene e ai viventi, ma che, anzi, lo esaltano, lo perpetuano anche oltre la morte, che così sarà accettata come fatto ineluttabile ma non tremendo.

Sergej Esénin, nato a Kostantinovo, nel governatorato russo di Rjazan, nel 1895 da famiglia contadina, crebbe tra i campi e le steppe. Da ciò derivò uno dei motivi essenziali della sua poesia, che spesso è canto della natura e della terra russa, delle sue tradizioni e delle sue leggende.

Ebbe vita travagliata ed irrequieta, anche a causa della sua incapacità di accettare la rivoluzione del 1917 perché in essa sentiva la fine della vecchia Russia patriarcale.

Esénin morì suicida nel 1925, a Leningrado. Delle sue opere ricordiamo le raccolte di poesie Radunica, La confessione di un teppista, Mosca delle bettole, Azzurrità, Il paese sovietico, e il dramma teatrale Pugaacev.

L’angolo della Poesia

Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco

Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco

verso il paese dov’è gioia e quiete.

Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere

le mie spoglie mortali per il viaggio.

Care foreste di betulle!

Tu, terra! E voi, sabbie delle pianure!

Dinanzi a questa folla di partenti

Non ho forza di nascondere la mia malinconia. (1)

Ho amato troppo in questo mondo

tutto ciò che veste l’anima di carne.

Pace alle trèmule che, allargando i rami,

si sono specchiate nell’acqua rosea. (2)

Molti pensieri in silenzio ho meditato,

molte canzoni entro di me ho composto.

Felice io sono sulla cupa terra

di ciò che ho respirato e che ho vissuto.

Felice di aver baciato le donne,

pestato i fiori, ruzzolato nell’erba

di non aver mai battuto sul capo

le bestie, nostri fratelli minori. (3)

So che là (4) non fioriscono boscaglie,

non stormisce la ségala dal collo di cigno.

Perciò dinanzi a una folla di partenti

provo sempre un brivido.

So che in quel paese non saranno

queste campagne biondeggianti nella nebbia.

Anche perciò mi sono cari gli uomini

che vivono con me su questa terra.

Sergej Esénin – da Poesia russa del Novecento

  1. La gioia e la quiete dell’aldilà non cancellano la malinconia dell’addio alle cose care che si lasciano e per le quali siamo vissuti. Le care foreste di betulle evocano il paesaggio tipicamente russo tanto caro a Esénin.
  2. L’amore è rivolto a tutto ciò che è terreno, non solo però ad uomini ed animali (di carne), ma anche a tutto quanto riguarda uomini ed animali, e le tremule foglie delle betulle, e l’acqua del colore della rosa nella quale si specchiano, sono carezzate dallo stesso sguardo malinconico di addio del poeta.
  3. Il poeta è felice nella cupa terra: ecco il contrasto tra la fatica del vivere e la felicità che la vita stessa concede a chi ha respirato, vissuto, baciato le donne, pestato i fiori, amato anche le bestie, nostri fratelli minori; ma tutto diventa motivo di rimpianto per chi si accinge a lasciare la terra.
  4. Là: nel paese dov’è gioia e quiete.