Salute e Benessere

Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Mais da insilato
Raccolta dell’intera pianta con una macchina falcia-trincia-caricatrice (dotata possibilmente di apparato rompigranella per rendere l’amido più disponibile sia alle fermentazioni microbiche ai fini della conservazione sia alle fermentazioni microbiche ruminali o dei digestori degli impianti di biogas), a varie altezze dal suolo in funzione del titolo di amido che si vuole ottenere nell’insilato integrale. Questo prodotto, dopo un adeguato tempo di “stagionatura” dovuto alla fermentazione della massa in opportuni silos orizzontali (una volta anche verticali) e al raffreddamento della stessa, viene usato per alimentare i ruminanti (bovini, bufalini) o gli impianti di biogas. Questa raccolta viene eseguita allo stadio vegetativo di maturazione cerosa, con un’umidità della spiga tra il 32 e il 35%.

Avversità e parassiti

Limitazioni alla produzione del mais possono essere provocate da parassiti animali o vegetali e da avversità meteoriche.
In genere nella maiscoltura italiana i soli trattamenti che si fanno ordinariamente sono la concia della semente e la geodisinfestazione alla semina. Eccezionali sono trattamenti sulla coltura contro la piralide, oggi fattibili con bioinsetticidi a basso impatto ambientale a base di Bacillus thuringensis.

Avversità meteoriche.

I ritorni di freddo e le precipitazioni prolungate dopo le nascite sono sfavorevoli allo sviluppo del mais che cresce debole ed eziolato.
Il vento impetuoso può provocare lo stroncamento delle piante indebolite da precedenti attacchi parassitari (piralide, marciumi).

Parassiti animali.

I parassiti animali che danneggiano il mais possono essere ipogei o terricoli ed epigei; i primi attaccano la parte sotterranea, i secondi la parte aerea. Tra i parassiti ipogei vanno ricordati:
– le agrotidi (gen. Scotia) le cui larve brunastre di notte escono dal terreno e rodono le piante al colletto;
– gli elateridi (gen. Agriotes), le cui larve attaccano i semi in germinazione, le radici ed il colletto delle piantine;
– gli afidi radicali che formano colonie verde bluastro sulle radici determinando un forte ritardo nello sviluppo e un marcato ingiallimento e arrossamento delle foglie;
– le grillotalpe (Gryllotalpa gryllotalpa), che nei terreni umidi e ricchi di humus rosicchiano i semi in germinazione e recidono numerose radici;
– le larve dei maggiolini (Melolontha melolontha), che si nutrono a spese del l’apparato radicale.
Tra gli insetti epigei vanno ricordati la piralide (Pyrausta o Ostrinia nubilalis) e la sesamia (Sesamia cretica) i cui danni si confondono e si cumulano. Vengono danneggiate le foglie e, più gravemente, le spighe e gli stocchi che spesso si rompono sotto la spiga che quindi cade e sfugge alle macchine raccoglitrici.
– Recentemente è comparsa in Italia e sta prendendo piede in varie aree maidicole la Diabrotica virgifera virgifera, un coleottero che allo stadio di larva rode il colletto e le radici avventizie del mais e alla minima brezza interi ettari ed ettari si allettano senza apparente motivo.

Parassiti vegetali.

Le colture di mais possono essere danneggiate da:
– marciume dello stocco (Gibberella zeae, Fusarium moniliforme) che si rivela con un precoce imbrunimento dei primi internodi basali. La malattia è grave perché col vento le piante si piegano alla base, cosicché le spighe cadono a terra e non vengono raccolte dalla macchina raccoglitrice;
– elmintosporiosi (Helminthosporium turcicum e H. maydis) che si manifesta con la formazione sulle foglie di striature necrotiche confluenti, che possono portare al totale disseccamento della lamina;
– carbone (Ustilago zeae) che attacca tutti gli organi della pianta provocando tumori di varie grandezza che contengono una polvere nerastra costituita da spore. Le infezioni più appariscenti (ma sempre di scarsa gravità) sono quelle che colpiscono le infiorescenze;
– marciume del seme e della plantula: diverse crittogame (soprattutto Pythium) presenti nel terreno o nel seme possono colpire il mais in germinazione provocando avvizzimento e/o marciume basale del fusticino. I patogeni sono favoriti da terreno umido e freddo e da semina troppo profonda.

– Le varietà di mais transgenico autorizzate per la semina in Europa sono quelle selezionate in seguito all’introduzione di un complesso genico di resistenza alla Piralide (cioè nei tessuti vegetali viene prodotta anche una proteina simile a quella prodotta da un “anti-piralide” naturale, il Bacillus thuringiensis; appena la larva ingerisce una quantità adeguata di materiale vegetale, e di proteina, nel suo apparato digerente si sviluppa la sostanza attiva e la larva muore). Nel continente americano esistono gia da tempo in commercio sia varietà mono-carattere (esempio resistenza alla piralide, alla diabrotica, al gliphosate ecc.) sia varietà pluri-carattere (con più resistenze in contemporanea).

Salute e Benessere

Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Raccolta, produzione e utilizzazione

Mais da granella
Il mais da granella può essere raccolto dalla maturazione fisiologica in poi, sempre, comunque, con un’umidità troppo alta che rende necessaria l’essiccazione.
La raccolta può essere fatta in spiga o in granella.
Il primo sistema è quello tradizionalmente seguito quando si raccoglie a mano: le spighe vengono staccate dalla pianta, “scartocciate” (eliminando le brattee che le avvolgono), lasciate essiccare, per poi essere sgranate con macchina sgranatrice.
Il sistema più rapido e più universalmente diffuso di raccolta del mais è quello con macchina combinata, che esegue contemporaneamente la raccolta e la sgranatura.
Le mietitrebbiatrici da mais sono normali mietitrebbiatrici che per operare sul mais vengono munite di apposita testata spannocchiatrice.
Il momento ottimale per la mietitrebbiatura del mais è quando la granella ha un contenuto d’acqua del 24-26%. Granella più secca si sgrana con facilità sotto l’azione degli organi spannocchiatori e così va incontro a perdite. Granella più umida si distacca dal tutolo con difficoltà e si spacca facilmente (un prodotto di buona qualità non deve presentare più del 10% di semi rotti).
La più usuale stagione di raccolta del mais da granella va dalla seconda metà di settembre alla fine di ottobre (e oltre, se la varietà è resi­stente ai marciumi del fusto).

Essiccazione e conservazione.
Se la granella di mais viene adoperata in azienda per l’alimentazione del bestiame può essere conservata umida, insilata. Tre modalità possono essere seguite:
– conservazione di farina umida in silo a trincea;
– conservazione della granella intera entro silos metallici asfittici;
– conservazione della granella intera in comuni sili a trincea previo tratta­mento con acido propionico, che è un potente fungistatico; si considera che l’1% di acido propionico assicura la conservazione per un anno di granella con il 30% d’acqua.

Il caso più usuale è quello di granella da commerciare secca; essa deve avere non più del 13% d’acqua per poter essere immagazzinata senza autoriscaldamento e ammuffimento, anche se l’umidità standard commerciale è convenzionalmente 15,5%.
Quasi mai il mais è raccolto abbastanza secco, ma c’è quasi sempre bisogno di essiccarlo artificialmente in essiccatoi ad aria calda, aziendali o consortili. Si considera che un impianto aziendale sia economicamente giustificato solo se lavora almeno 400 t di mais secco all’anno.

Ammuffimento.
La granella del mais se conservata impropriamente, non abbastanza secca, è esposta ad un inconveniente, l’ammuffimento, che è comune a tutte le grana­glie ma che nel mais assume una gravità tutta particolare perché l’agente è un fungo (Aspergillus) che produce una micotossina (aflatossina) di straordinaria tossicità.

Produzioni.
La resa «record» di granella secca di mais è di oltre 20 t/ha in Italia. La resa media italiana è tra le più alte del mondo superando alla data attuale oltre 9 t/ha. Tuttavia molte sono le aziende maidicole che realizzano ordinariamente su scala aziendale 10-12 t/ha e oltre.
In mancanza di irrigazione le rese sono molto più basse e soprattutto estremamente variabili da anno ad anno. Anche nel caso di semina ritardata la produzione è più bassa, tanto più bassa quanto più tardiva è la semina: nel caso di mais dopo frumento, quindi con semine ai primi di luglio, non si può contare che su rese dell’ordine di 4-5 t/ha di granella.

Sottoprodotti.
Oltre alla granella, la coltura del mais produce grandi quantità di sostanza secca (circa 12 t/ha per 10 t/ha di granella) sotto forma di steli, foglie, cartocci e tutoli che restano sul terreno dopo aver raccolto la granella. La destinazione di questi residui può essere l’interramento, previa trinciatura con trincia­stocchi, o la raccolta con raccogliimballatrici per utilizzarli come foraggio (secco o insilato), lettiera o combustibile.
Utilizzazione. La granella di mais può essere utilizzata in varie forme e per vari usi e in ogni caso va sottoposta a qualche processo di lavorazione industriale.
La maggior parte del mais utilizzato per la mangimistica e per l’alimentazione umana viene trasformato per macinazione a secco. Con questa lavorazione si ottiene la separazione dell’embrione («germe»), della crusca dai tegu­menti della cariosside e di sfarinati di diversa granulometria dall’endosperma.
Gli sfarinati derivanti da questo processo sono i seguenti:
– spezzature grosse (da 1/2 a 1/3 di chicco) o hominy, da sottoporre successivamente alla laminazione in fiocchi (corn flakes) per alimentazione umana o per mangimistica;
– spezzature fini o grits, per l’industria della birra in parziale sostituzione del malto d’orzo; per mangimi zootecnici;
– farine, per prodotti da forno.
Il germe è destinato all’estrazione dell’olio da cui si ottiene come sotto­prodotto un panello proteico. La crusca ha destinazione zootecnica. Un altro tipo di lavorazione del mais è la macinazione ad umido con cui vengono macinate cariossidi macerate in acqua e si realizza la separazione dei seguenti prodotti e sottoprodotti: amido, glutine, acque di macerazione. germe, crusca.
L’amido è il prodotto più abbondante e importante; esso può essere utilizzato tal quale dopo essiccamento (amido nativo) o modificato mediante trattamenti chimici, fisici o enzimatici.
Per idrolisi acida e/o enzimatica si ottengono sciroppi di glucosio, destrosio, fruttosio (o isoglucosio) impiegati come dolcificanti, ingredienti nutri­tivi, fonte di zuccheri fermentescibili, ecc. nell’industria alimentare e farmaceutica.
Per trattamento a caldo in acqua e successiva essiccazione si ottiene amido pregelificato, che trova impiego nel settore alimentare (per dare consi­stenza e viscosità ai preparati «istantanei»: budini, salse, minestre) e nel campo industriale come collante e legante per la fabbricazione della carta, come appretto per tessuti, per la preparazione di forme a perdere in fonderia, per i fanghi da trivellazione.
Per il riscaldamento a secco dell’amido si ottengono pirodestrine, prodotti solubili in acqua che formano paste adesive, utilizzate come collanti nell’industria della carta e alimentare.
Per trattamenti chimici di vario tipo si ottengono amidi modificati, nei quali sono migliorate certe caratteristiche utili (miglior struttura dei granuli di amido, aumento della viscosità, minore opacità, ecc.) richieste dalle industrie alimentare, cartaria, tessile, metallurgica.
Il glutine di mais è un ingrediente per mangimi zootecnici, ad alto tenore proteico (60%).
Il concentrato delle acque di macerazione (corn steep liquor) contiene le sostanze solubili (azotate, glucidiche e saline) rilasciate dalle cariossidi durante la fase di macerazione; è usato nel settore mangimistico, in miscela con altri composti (crusca, ecc.), e nell’industria farmaceutica come substrato di fermentazione.
Il germe, una volta essiccato, viene sottoposto all’estrazione dell’olio.
La crusca va all’industria mangimistica come tale o arricchita con le acque di macerazione.

Produzione di “pastone integrale” o di “pastone di granella”: nel primo caso si raccoglie l’intera spiga con una trincia-caricatrice dotata di barra spannocchiatrice, mentre una normale mietitrebbiatrice con opportune regolazioni dell’apparato di battitura/separazione può dare sia il primo sia il secondo prodotto. La differenza tra i due prodotti finali è la macinazione della granella prima di stivarla ai fini dell’insilamento: il materiale raccolto con la trincia-caricatrice di solito passa attraverso il rompi-granella, non viene macinato prima dell’insilamento ma viene sminuzzato finemente al momento dell’utilizzazione per alimentare il bestiame. Le spighe trebbiate presentano, invece, quantitativi variabili a piacimento di tutolo all’interno della massa, e per un miglior compattamento in trincea si preferisce macinarla prima del calpestamento. Al momento dell’utilizzazione, i due prodotti hanno proprietà alimentari diverse e hanno anche campi d’impiego diversi. Il pastone integrale è preferito nell’allevamento di bovini da ristallo, mentre il pastone di granella è preferito
nell’allevamento dei ruminanti da latte. Se il contenuto di tutolo in % sul totale è basso, è possibile trovare il pastone di granella anche nella dieta dei suini.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Diserbo post-emergenza. Il diserbo post-emergenza generalmente si confi­gura come complemento, integrazione o rimedio al diserbo fatto pre-emer­genza, tenuto conto che l’efficacia di questo non è mai pari al 100% e che vi sono specie non controllate perché nate tardi o perché resistenti. I diserbanti di post-emergenza hanno azione fogliare e spesso vedono aumentata la loro efficacia erbicida dall’aggiunta di coadiuvanti, additivi o bagnanti.
Una recente famiglia di diserbanti ha allargato moltissimo le possibilità del diserbo post-emergenza dando soluzione a quello che era stato il difficile problema di controllare nel mais le infestanti graminacee annuali e soprattutto perenni: questa innovazione è costituita dalle solfoniluree (Rimsulfuron, Nico­sulfuron, Primisulfuron).
Diserbo post-emergenza.
Dicotiledoni. In presenza di infestazioni di dicotiledoni annuali e perenni «facili» le solu­zioni tecniche più rispondenti sono i diserbanti ormonici (l2,4D+MCPA) con mais allo stadio di 3-7 foglie; l’associazione a dicamba o altri principi attivi permette di controllare: convolvolo, stoppione, equiseto, e le nuove malerbe in via di diffusione stramonio e fito­lacca.
Graminacee. Su graminacee annuali e sorghetta da seme è rispondente un trattamento con una solfonilurea; con sorghetta da rizoma possono essere necessari 2 trattamenti a distanza di 15 giorni.
Dicotiledoni e graminacee. Rimsulfuron e nicosulfuron controllano, oltre che le graminacee, anche la maggior parte delle infestanti a foglia larga, ma per allargare lo spettro d’azione verso queste ultime utile è l’associazione con dicamba o sulcotrione o terbutilazina o bro­moxinil. In questo modo si può controllare la presenza anche delle dicotiledoni «difficili» già citate.
Mezzi agronomici per ridurre il problema delle infestanti.
Avvicendamento. Con l’avvicendamento colturale le infestazioni di malerbe del mais si attenuano o sono più facili da controllare. Ad esempio il rinettamento di un terreno fortemente infestato da rizomi di sorghetta può essere fatto interrompendo la monosuccessione di mais con un cereale vernino (fru­mento); questo, liberando il terreno presto in estate consente, con un’aratura profonda, di lasciare esposti a disseccarsi per tutta l’estate i rizomi della sorghetta; in caso di estate piovosa in cui la sorghetta avesse rivegetato, con un trattamento a base di Glifosate (o simili) possono essere devitalizzati anche i rizomi. Altro mezzo semplice per ottenere lo stesso risultato è di avvicendare periodicamente la soia al mais: nell’anno di coltivazione della soia il rinettamento del terreno dalla sorghetta potrà essere fatto agevolmente impiegando uno dei diserbanti graminicidi oggi disponibili.

Mais transgenici.

Con varietà di mais transgenico, reso resistente a un diserbante totale, il con­trollo delle infestanti è piuttosto semplice: si tratta di aspettare che queste nascano e fare un trattamento a base di Glifosate o suoi derivati che devitaliz­zerà tutto salvo il mais.

Cure colturali.

– Diradamento.
È l’operazione con la quale in passato si dava alla coltura la giusta fittezza. Il diradamento va cominciato non troppo tardi, quando sono trascorse 3-4 setti­mane dalla nascita e le piantine hanno 3-4 foglie. Esso deve essere fatto a mano e pertanto risulta onerosissimo: 40-60 ore-uomo per ettaro.
Nella moderna maiscoltura intensiva il diradamento è reso superfluo dalla semina di precisione.
– Sarchiatura.
Un problema non ancora convenientemente definito è quello se si debba sar­chiare nel caso che il diserbo abbia sortito piena efficacia nel controllare le malerbe.
Si ricordi che la sarchiatura consente di conseguire altri benefici effetti oltre al controllo delle erbacce, quali la riduzione dell’evaporazione e l’arieggiamento della rizosfera. Nelle terre leggere e nelle colture irrigue dove la mai­scoltura è oggi prevalentemente concentrata, questi vantaggi sono poco importanti, per cui la sarchiatura tende a non essere più praticata essendo
stata sostituita dal diserbo quale mezzo di controllo delle erbe infestoti,
Con le già segnalate limitazioni all’uso di diserbanti efficaci è prevedibile che la sarchiatura del mais dovrà essere ripresa in considerazione come intervento ordinario, in sostituzione o a completamento del diserbo chimico.
Si tenga presente che i campi di mais sono agibili per le macchine finché le piante non superano i 0,6-0,7 m di altezza. Data l’alta velocità di crescita del mais in questo periodo, capita spesso di non riuscire a entrare in tempo nei campi.
– Rincalzatura.
È questa un’operazione consistente nell’addossare terra al piede delle piante di mais per favorirne la radicazione e, soprattutto, per rendere possibile l’irri­gazione col sistema per infiltrazione laterale da solchi.
La rincalzatura, molto diffusa in passato, ha perso molta della sua importanza nella maiscoltura moderna. Infatti i suoi vantaggi sono discussi e. comunque, poco rilevanti, mentre essa porta a diversi inconvenienti, come quello di ostacolare la trinciatura degli stocchi.
Nel caso di sarchiatura meccanica, spesso risulta molto utile per con­trollare meglio le erbacce abbinare la rincalzatura alla sarchiatura (sarchia-rin­calzatura), montando un organo rincalzatore dietro ogni organo sarchiatore; in questo modo si riesce a controllare, sotterrandole, le erbe infestanti presenti lungo la fila, nella striscia di terreno non smosso dai sarchiatori.

Irrigazione.

Il mais ha consumi idrici unitari non molto elevati, ma per sostenere la sua altissima produttività potenziale (20 e oltre t/ha di sostanza secca) sono richieste disponibilità d’acqua che solo in poche zone sono assicurate dalle riserve d’acqua del terreno e dalle piogge del periodo di crescita.
Si consideri che il mais svolge il suo ciclo nel periodo dell’anno in cui la piovosità è al suo minimo e la domanda evapotraspirativa è al suo massimo. Per questo la maiscoltura in Italia per essere veramente intensiva (com’è: le rese in Italia sono le più alte del mondo) non può prescindere dall’ausilio dell’irrigazione.
L’insufficienza d’acqua provoca sempre danni al mais che diventano di gravità eccezionale quando lo stress idrico capita nel momento estremamente critico della fioritura (corrispondente al mese di luglio, indicativamente) in questa fase l’appassimento anche temporaneo delle piante ha come effetto il fallimento dei processi fecondativi (mancata fecondazione o aborto degli ovuli) che si traduce nella riduzione talora anche totale del numero di carios­sidi per spiga.
Il mais in coltura asciutta è quasi scomparso proprio per la aleatorietà delle sue produzioni legate alla aleatorietà delle piogge estive, in particolare nel momento della fioritura.
– Stagione di adacquamento. Un programma d’irrigazione che voglia coprire al meglio le esigenze di una coltura di mais deve prevedere che l’acqua non difetti nel periodo che va dalla emissione del pennacchio (circa due settimane prima della fioritura) fino almeno alla maturazione latteo-cerosa (circa 5-6 settimane dopo la fioritura) per una stagione irrigua di 50-60 giorni al massimo, situata nei mesi centrali dell’estate: luglio e agosto. In questo arco di tempo c’è una fase, quella di fioritura, che è caratterizzata da straordinaria sensibilità alla deficienza idrica e da gravissime conse­guenze di questa sulla produzione. Questa fase, che in un campo di mais dura circa una settimana, è imperativo che si svolga in perfette condizioni idriche perché uno stress che in questo momento provocasse anche un lieve e momentaneo appassimento avrebbe come conseguenza l’infertilità di una quota altissima di ovuli della spiga, con proporzionale, irrecuperabile perdita di produzione.
Prima e dopo la fioritura la deficienza idrica riduce la capacità di assimila­zione della coltura, ma non ha conseguenze così drammatiche come alla fio­ritura.
– Limitato sussidio irriguo. Se un’azienda avesse ridotte disponibilità d’ac­qua potrebbe limitarne il consumo abbreviando la lunghezza della stagione irrigua, riducendo il numero (non il volume!) degli adacquamenti, fino al limite di riservare un’unica irrigazione alla ricarica idrica del terreno all’i­nizio della fase di fioritura.
Un sussidio irriguo limitato nel senso ora indicato può considerarsi una interessante alternativa economica all’irrigazione totalitaria, che punta alle massime espressioni di produttività del mais, ma è molto onerosa. La diminuzione della produzione in termini economici può essere compensata dal risparmio d’acqua, d’energia e di lavoro per l’irrigazione, dal risparmio nella concimazione e nell’essiccazione, visto che con questo tipo di gestione le varietà consigliabili sono più precoci, più sobrie e di miglior qualità (esempio: mais vitrei).
– Volume di adacquamento. Ogni adacquata va fatta con il massimo di razionalità per evitare sprechi, insufficienze e inefficienze, sulla base di elementi tecnici precisi attinenti al terreno e alla coltura, dai quali dedurre il volume di adacquamento.
L’irrigazione deve essere fatta per tempo, prima che la coltura manifesti il benché minimo segno di sofferenza, quindi molto prima del punto di appassimento.
Il volume di adacquamento deve essere stabilito in modo da bagnare lo strato superficiale di suolo di 0,70 m circa di spessore.
– Turno. Il turno è l’intervallo di tempo che passa tra un’adacquata e l’altra. Una volta stabilito come si è visto il volume d’adacquamento, il turno sarà più o meno breve in funzione della evapotraspirazione della coltura nei giorni successivi all’adacquata. Così negli esempi fatti, il volume di 49 mm e 21 mm nei due terreni basteranno per 7 e 3 giorni, rispettivamente, ipotizzando una ETP di 7 mm al giorno.
L’irrigazione del mais è generalmente eseguita col sistema per aspersione (o a pioggia) o per infiltrazione laterale, da solchi.
L’irrigazione alla semina è necessaria nel caso di coltura intercalare per assicurare le nascite.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Fittezza di allevamento del mais in diverse condizioni di coltura
– In coltura principale irrigua per granella: da 6 a 8 piante a m2 (6 per varietà tardive, 7 per varietà medio-precoci, 8 per varietà precoci).
– In coltura principale asciutta per granella: da 2,5 a 4 piante o m2, secondo il clima e la freschezza del terreno.
– In coltura intercalare per granella: da 7 a 10 piante/m2 (la fittezza minore per le semine anticipate, la maggiore per quelle più tardive, ad es. dopo frumento.
– In coltura principale da foraggio a maturazione cerosa: 1 pianta in più della corrispon­dente fittezza per granella.
– In coltura intercalare da foraggio per raccolta alla fioritura («granturchino»): da 30 a 50 piante per m2.
Per avere l’investimento desiderato in passato si seminava fitto sulla fila eliminando poi con il diradamento manuale le piante nate in eccesso; oggi per evitare il diradamento si fa la semina adoperando la seminatrice di preci­sione, che deposita sulla fila un seme alla volta a distanza regolare prefissata.
Con la semina di precisione bisogna stimare al momento della semina quanti semi affidare al terreno per avere il desiderato numero di piante, bisogna cioè valutare le probabilità che un seme ha di dare una pianta viva e vitale. Tale probabilità varia con la germinabilità del seme, le condizioni fisiche del letto di semina, la temperatura e l’umidità del terreno, ecc.: in buone condizioni si può stimare necessario per il mais seminare un numero di semi del 10% superiore al numero desiderato di piante. Fallanze di maggiore entità vanno previste in caso di semina con temperature basse, su terreno secco o mal preparato.
Il numero di semi da seminare si calcola dividendo il numero di piante desiderato per il com­plemento a 100 della quota di fallanze stimata. Ad esempio, volendo 7 piante a m2 e pre­vedendo il 15% (o 0,15) di fallanze si avrà: 7/(1-0,15) = 7/0,85 = 8,2 semi a m2.
La distribuzione delle piante di mais sul terreno è fatta a file, distanti l’una dall’altra tanto da rendere possibile l’uso di tutte le macchine necessarie alla maiscoltura meccanizzata. In particolare l’impiego delle grandi macchine per la raccolta (spannocchia-sgranatricí) impone di lasciare tra le file 0,7-0,8 m (più comunemente 0,75).
Una volta stabilito il numero di semi da seminare per ogni m’ e fissata la distanza tra le file, è facile determinare la distanza alla quale i semi dovranno essere deposti nel terreno. Ad esempio per avere 8 semi a m2 con file a 0,75 m la distanza di semina sulla fila sarà: cm2 10.000/8 = 1.250 cm2; cm2 1.250/75 = 0,167 m.
La quantità di seme necessaria per investire un ettaro di coltura dipende dalla fittezza di semina e dal peso medio di un seme; può variare da 15 a 24 kg ha-‘, anche se tale dato ha solo carattere indicativo in quanto i semi di mais si vendono a numero.
La profondità di semina deve essere uniforme ed oculatamente scelta: né eccessiva, sì da rendere difficile l’emergenza delle plantule, né troppo superficiale, da esporre i semi in germinazione al rischio di disseccamento. In media si consigliano 40-60 mm di profondità: 40 con terreno freddo e umido, 60 con terreno asciutto.
È opportuno che il seme sia trattato con prodotti fungicidi; i mais ibridi sono messi in commercio già «conciati».
Buona regola di prudenza è disinfestare il terreno dagli insetti terricoli. Insetticidi formulati in microgranuli possono essere localizzati nelle vicinanze dei semi (dalla seminatrice stessa) assicurando un’ottima protezione con minime quantità di insetticida.

Scelta della varietà

La scelta della varietà è una delle più importanti condizioni dalle quali dipende il successo della maiscoltura.
Il carattere più importante che va preso in considerazione nella scelta dell’ibrido, in quanto determinante del suo adattamento ad un dato ambiente, è la precocità.
Nel caso di coltura a semina primaverile asciutta vanno scelti ibridi precocissimi (classi 200 e 300).
Nel caso di coltura irrigua e di semina normale l’ibrido dovrà essere scelto di ciclo di durata tale da sfruttare appieno la stagione favorevole, rag­giungendo la maturazione fisiologica quando le condizioni di temperatura non consentono più una crescita apprezzabile. Nelle regioni italiane climaticamente molto favorevoli al mais, i tipi migliori sono gli ibridi delle classi 600 e finanche 700. Nelle regioni del Centro i risultati migliori si ottengono con ibridi medio­precoci (classi 4-500).
Nel caso di coltura intercalare vanno usati ibridi tanto più precoci quanto più ritardata è la semina (da 400 a 200).
Per le colture di mais da foraggio, nelle quali interessa l’intera massa della pianta e non solo la granella, e che vengono raccolte prima della matura­zione fisiologica (alla maturazione cerosa o alla fioritura) si possono seminare ibridi decisamente più tardivi di quelli da granella.

Lotta alle erbe infestanti

La lotta alle erbe infestanti, la cui presenza causa gravi decurtazioni di prodotto tanto in coltura irrigua quanto asciutta, in passato era affidata alle sar­chiature e alle scerbature, generalmente eseguite a mano e oggi non più proponibili.
Le sarchiature meccaniche non bastano a risolvere soddisfacentemente il problema delle erbe infestanti, infatti gli organi lavoranti della mac­china sarchiatrice operano solo nell’interfila. Inoltre non sempre si riesce a entrare nei campi per sarchiare prima che il mais sia troppo cresciuto in altezza.
Ciò ha stimolato la ricerca di prodotti chimici dotati di potere erbicida che permettessero il controllo della vegetazione infestante il mais.

Diserbo

La coltivazione del mais ha avuto un’evoluzione rapida e profonda con il passare da ordinamenti colturali compositi e variati alla frequente successione a se stesso o addirittura alla monosuccessione. Ciò ha cambiato sia la composizione della flora infestante sia il modo di controllarla.
La flora infestante attuale è composta da poche specie dominanti perché si avvantaggiano della ripetizione del mais su se stesso per i loro meccanismi di sopravvivenza (ad esempio la sorghetta con i suoi rizomi) o perché resistenti ai principali erbicidi.
Il diserbo del mais è stato una pratica che ha incontrato tanto rapida­mente e diffusamente il favore degli agricoltori da costituire un caso piuttosto raro nella storia dell’agricoltura.
Questo risultato è dovuto a un prodotto con eccezionali doti di effi­cacia erbicida e di selettività per il mais: l’Atrazina, che fu e rimase a lungo il diserbante più impiegato dai maiscoltori finché per ragioni di inquinamento delle falde acquifere non ne fu proibito l’uso.
Dopo la messa al bando dell’Atrazina, la ricerca chimica ha trovato numerosi principi attivi sostitutivi il cui limite è che nessuno ha uno spettro d’azione completo, per cui è necessario intervenire con principi attivi diversi o con trattamenti in epoche diverse o in miscele, sia estemporanee sia in formu­lazioni precostituite.
Diserbo pre-emergenza. Il diserbo pre-emergenza è stato quello predomi­nante fin dall’inizio di questa tecnica ed è tuttora molto diffuso come inter­vento di base. Si fa al momento della semina, contemporaneamente a questa nel caso di diserbo localizzato sulla fila, o subito dopo la semina, comunque prima che il mais nasca.
I diserbanti da pre-emergenza sono ad azione antigerminello e residuali agendo per assorbimento radicale; essi si distinguono a seconda del loro spettro d’azione:
– efficaci su sole dicotiledoni;
– efficaci su dicotiledoni più monocotiledoni annuali.
Un modo per risparmiare e ridurre la quantità di diserbante è la localizzazione della soluzione erbicida alla semina su una striscia di 0,25-0,30 m lungo la fila, lasciando alle sarchiature il controllo della striscia interfilare non trattata.
Il diserbo pre-emergenza va escluso nei terreni umiferi, con oltre il 10% di sostanza organica, dove i principi attivi verrebbero disattivati per adsorbi­mento da parte della sostanza organica o per degradazione microbica.

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Salute e Benessere

Medicina

Pillole & Pasticche

Pillole – piccole sferiche, un tempo erano confezionate dai farmacisti.

Compresse – di aspetto rugoso, sono formate compattando principi attivi in polvere. Se hanno un rivestimento in zucchero si chiamano confetti.

Pastiglie – sono quelle che si sciolgono in bocca. Un sinonimo, talora usato per le droghe, è pasticche.

Capsule – L’involucro esterno è di gelatina, rigida o molle, a elevata disgregabilità per un’azione più rapida.

Soltanto in Italia si vendono ogni anno 1,5 miliardi di confezioni medicinali, che contengono circa 20 miliardi di pillole, 600 al secondo. Nel mondo, il record assoluto va a una decina di nomi (per esempio alcuni farmaci contro l’ulcera o anticolesterolo) di ciascuno dei quali si producono, ogni anno, circa 4,5 miliardi di pezzi. E non è finita, perché sotto forma di pillole non si vendono soltanto molti medicinali, ma anche droghe come l’ecstasy, integratori alimentari, vitamine, specialità dimagranti e così via.

Ma che cosa succede quando inghiottiamo una pillola, indipendentemente dal suo contenuto?

Proviamo a rispondere seguendone il cammino passo passo.

Farmaco a orologeria

Immediatamente dopo averla ingerita, la compressa (o la capsula) viene sospinta, attraverso i movimenti ritmici dell’esofago nello stomaco. Se l’assunzione avviene con un po’ d’acqua, e se l’esofago non ha problemi di adesione, la compressa raggiunge lo stomaco nell’arco di 5-10 secondi. Unica eccezione, le pastiglie che si sciolgono in bocca, come i disinfettanti del cavo orale o come alcuni anti-infarto che si fanno sciogliere sotto la lingua: il caso più noto è quello della nitroglicerina. Una curiosità: le pastiglie sublinguali sono le uniche confezionate in forme strane – per esempio a triangolo – proprio per evitare che vengano inghiottite accidentalmente. Se lo stomaco è vuoto e la compressa facile da disgregare (come le capsule), il principio attivo è pronto ad agire in un tempo variabile da 2 a 10 minuti. E nel caso di sostanze facili da assorbire in ambiente acido, come gli analgesici, comincia ad essere assorbito già a livello dello stomaco. Sono passati circa 20 minuti. Per accelerare questa fase, oggi vengono prodotti anche farmaci che contengono il principio attivo già sotto forma di una goccia di liquido.

Se il principio attivo viene assorbito meglio in ambiente alcalino (il contrario di acido), bisogna attendere il passaggio della compressa, ormai disgregata, nel duodeno e nell’intestino tenue. Qui agisce la gran parte dei medicinali: dagli psicofarmaci agli antibiotici. Il tempo di passaggio dipende dal contenuto dello stomaco: si va dai 15 minuti alle 6 ore.

Il principio attivo attraversa quindi la mucosa gastrica, o quella intestinale, e raggiunge il fegato (nel migliore dei casi, sono passati da 20 a 40 minuti. Da parte sua il fegato svolge il consueto lavoro di demolizione e disattiva il principio attivo… ma non del tutto: dal 20% al 95% della sostanza supera la barriera e si riversa nel sangue. Sono passati nella maggioranza dei casi, 30-45 minuti. Il farmaco continua a svolgere la sua azione nel corpo finché gli enzimi del fegato non lo disattivano del tutto, e proprio questa azione di demolizione produce uno dei più classici effetti collaterali di quasi tutte le pastiglie medicinali: un cambiamento nel colore dell’urina. Il fegato, infatti, incolla alla sostanza da eliminare un veicolante (come l’acido glucuronico) che la aiuterà a viaggiare verso i reni sono passati 60-180 minuti. Ed è proprio questo veicolante a rendere la pipì giallo brillante o addirittura bruna. Continua.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Concimazione

Il mais essendo coltura che svolge il suo ciclo nel periodo primaverile-estivo si avvantaggia grandemente della concimazione organica, in quanto la mineraliz­zazione della sostanza organica procede di pari passo con le esigenze nutritive del mais (diversamente in ciò dal frumento). La letamazione è stata perciò la concimazione più classica del mais in passato.
Al giorno d’oggi sono la norma le aziende che coltivano con successo il mais senza disporre di letame o di altri concimi organici, solo facendo ricorso a razionali concimazioni minerali e a eventuali concimi organici non tradizionali come i liquami, i composti di RSU, ecc.

Prelevamenti

Base per la definizione della concimazione del mais, come di ogni altra coltura, è la conoscenza dei prelevamenti di nutrienti che una coltura fa in ordinarie, ma buone, condizioni di crescita.
Per produrre 100 kg di granella secca si stima che la coltura prelevi, tra la granella e le parti vegetative, le seguenti quantità di macroelementi:
azoto: 2,5 kg di cui 1/3 nei residui;
P205: 1,2 kg di cui 1/3 nei residui;
K20: 2,0 kg di cui 3/4 nei residui.

Per una produzione, buona ma realistica in coltura irrigata, di 12 tonnellate per ettaro di granella secca il mais deve quindi prelevare 300 kg/ha di azoto, 144 kg di anidride fosforica, 240 kg di potassio. Queste quantità non sono mai disponibili nel terreno, per cui le insufficienze devono essere colmate con la concimazione, se si vuole sfruttare appieno l’altissimo potenziale di produ­zione che il mais ha.
In terreni di buona fertilità, non letamati, le concimazioni che vanno previste sono dei seguenti ordini di grandezza:
– azoto: 250-300 kg /ha;
– P2O5: 80-120 kg /ha;
– K2O: 50-100 kg /ha.

Dopo prato di leguminose l’azoto può essere ridotto a 150-200 unità.
Nel caso di coltura non irrigata è inutile o addirittura dannoso forzare la concimazione minerale, per cui una formula di concimazione potrebbe essere la seguente: N: 60-80; P2O5: 40-60 kg/ ha.
Si può presumere che nei terreni necessariamente argillosi dove si può pensare di fare mais in coltura asciutta la concimazione potassica non sia necessaria.

Modalità della concimazione

La letamazione e la concimazione minerale con concimi fosfo-potassici vanno fatte in modo da interrarli bene, prima dell’aratura, o quanto meno prima dell’erpicatura.
La concimazione azotata, che in passato veniva fatta in parte alla semina e in gran parte in copertura, oggi più praticamente può essere fatta tutta al momento della semina con concimi azotati non direttamente dilavabili (urea principalmente).
La concimazione azotata in copertura sarebbe razionale farla con con­cimi a pronto effetto (nitrato ammonico o anche urea) al momento della levata: tuttavia è di esecuzione difficile in quanto va eseguita con accorgimenti parti­colari («sotto chioma») per evitare che i granuli di concime, cadendo entro l’imbuto formato dalle foglie del mais, vi determinino ustioni. Inoltre è di ese­cuzione precaria poiché la rapidissima crescita in altezza del mais durante la levata potrebbe rendere impossibile l’entrata delle macchine spandiconcime nei campi. Per non correre il rischio di lasciare la coltura senza azoto si prefe­risce anticipare tutta la concimazione alla semina.

Semina

In generale le semine primaverili è bene siano fatte prima possibile.
Nel caso del mais per avere nascite non troppo protratte e irregolari bisogna aspettare che la temperatura del terreno si sia stabilmente attestata su almeno 12 °C. Questo livello termico è raggiunto mediamente in aprile: questa è, pertanto, l’epoca usuale di semina nel caso di mais in prima coltura. In questo caso il mais impiega circa 15 giorni a nascere.
In altri casi il mais segue una coltura a raccolta precoce, assumendo il ruolo di coltura intercalare: dopo il taglio di un erbaio (semina a fine maggio); dopo orzo da insilamento, o pisello (la decade di giugno), oppure dopo frumento (ai primi di luglio). In questi casi la temperatura è alta e le nascite avvengono dopo 8-10 giorni o anche meno.

Densità Condizione importantissima ai fini di una buona produzione è che la fittezza sia giusta e regolare. Si tenga presente che il mais non corregge un basso inve­stimento di piante a m2, come altre piante, con l’accestimento, la ramificazione, ecc. e che quindi la fittezza ottimale va perseguita in partenza con il giusto numero di piante a m2.
Con un numero di piante a m2 inferiore all’ottimale la vegetazione non sviluppa un LAI sufficiente (almeno 5) a intercettare appieno la radiazione luminosa disponibile e quindi assimila meno di quello che potrebbe; inoltre il corrispondente basso numero di spighe a m2 (si ricordi che i mais attualmente coltivati sono monospiga) limita la capacità di «magazzino» (o «sink») delle piante.
Una fittezza eccessiva ha per effetto di ridurre la fertilità delle spighe fino alla totale sterilità, a causa dell’eccessivo ombreggiamento che subiscono le spighe situate, come sono, a circa metà altezza della pianta.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Tecnica colturale

Il processo produttivo

Il ciclo del mais inizia con cariossidi che pesano circa 0,3 grammi e si conclude con piante che, in buone condizioni di crescita, raggiungono un peso secco di alcune centinaia (400-500) di grammi, circa metà dei quali sotto forma di una spiga ricca di molte centinaia di cariossidi.
Una buona produzione di mais può essere considerata di 20-25 t ha-‘ di sostanza secca nelle parti epigee, di cui poco meno di metà, cioè 10-12 t ha-‘, come granella.
Il mais è una «macchina vegetale» di singolare efficienza, dotata di un altissimo potenziale di produttività specialmente dove e/o quando le condizioni in cui avviene la crescita sono caratterizzate da forte radiazione e alta temperatura: cioè a latitudini tropicali e subtropicali oppure a media latitudine durante la stagione calda.
Il periodo di massima intensità assimilatoria nel mais inizia con l’emis­sione del pennacchio, quando anche l’ultima foglia si è completamente dispie­gata, e abbraccia tutto il periodo della fioritura e dell’inizio della granigione. L’assimilazione netta giornaliera che si rileva in buone condizioni di pieno campo in questo periodo è dell’ordine di 250-350 kg ha-‘ al giorno, con punte massime di oltre 400 kg ha-‘ di sostanza secca.
Le condizioni perché la capacità assimilatoria della copertura vegetale sia la più grande possibile, sono diverse e possono essere indicate nelle seguenti.

– Apparato radicale funzionale e ben sviluppato. Le lavorazioni profonde e tempestive, le sistemazioni idraulico-agrarie e gli ammendamenti, specialmente quelli organici, migliorano lo stato fisico del suolo (struttura migliore e più stabile, minor crepacciabilità, maggior capacità di ritenzione idrica, ecc.) favoriscono l’espansione e l’attività delle radici del mais che pertanto esplicano nel migliore dei modi le loro funzioni di sostegno meccanico e di assorbimento d’acqua e di elementi nutritivi.

– Apparato assimilatore ampio. L’apparato fogliare deve essere di appropriata ampiezza: l’esperienza ha dimostrato che con i tipi più comuni di mais la migliore copertura del terreno è quella costituita da un LAI di almeno 4-5. Questa copertura va assicurata con un appropriato numero di piante a metro quadrato, curando che esse siano ben distribuite nello spazio, cioè senza fallanze e senza affollamenti sulla fila e con file ravvicinate al massimo consentito dalle macchine per la raccolta.
Un’interessante possibilità di aumentare utilmente la superficie assimilante è offerta da tipi di mais con foglie a portamento eretto formanti con lo stelo un angolo stretto e che quindi danno luogo a una minore competizione tra piante e tra foglie nei riguardi della luce.

– Apparato assimilatore efficiente e longevo. All’apparato produttivo va assicurato il massimo di efficienza e di durata funzionale: ciò con le concimazioni, l’irrigazione e l’eliminazione delle interferenze negative di parassiti o di erbe infestanti.
Predisposizione di capaci -magazzini-. Un apparato assimilatore, pur se ben sviluppato e funzionale, sarebbe messo in condizione di assimilare molto al di sotto delle sue possibilità se mancassero adeguati «magazzini» nei quali i prodotti giornalieri della fotosintesi possano traslocarsi: i magazzini sono le cariossidi in formazione.

– La lunghezza del ciclo vegetativo come fattore di adattamento. La produzione di granella si fa con quello che la sintesi clorofilliana produce dopo la fiori­tura; ridotta infatti è la quantità di sostanze di riserva sintetizzate prima della fioritura e successivamente migrate nei semi.

Ciò premesso è evidente che la produzione di granella di mais è diret­tamente dipendente dall’intensità e dalla durata del funzionamento dell’appa­rato assimilatore dopo la fioritura.
Questo inquadramento del fenomeno produttivo rende chiaro che la scelta della precocità dell’ibrido è di fondamentale importanza: esso dovrebbe avere un ciclo inserendosi nel migliore dei modi nel periodo favorevole, non essendo né troppo precoce né troppo tardivo.
Mais molto precoci utilizzano incompletamente il tempo disponibile, maturando troppo presto; essi vanno bene per la coltura asciutta o intercalare, ma in coltura primaverile irrigata mostrano una decisa limitazione produttiva. D’altra parte mais troppo tardivi impiegano troppo tempo per giungere alla fio­ritura, per cui la fase di granigione risulta di breve durata e per di più ritardata, così da svolgersi quando già le condizioni ambientali sono diventate sub-otti­mali per l’assimilazione.
Altri vantaggi che derivano dall’adozione di mais non eccessivamente tardivi sono il più lungo tempo disponibile per la preparazione del terreno per la coltura successiva e il minor contenuto d’umidità della granella al momento della raccolta.

Avvicendamento

In passato il mais entrava in rotazioni complesse dove svolgeva il ruolo di col­tura miglioratrice da rinnovo per la lavorazione profonda e la letamazione che gli venivano riservate.
Attualmente la tendenza è a coltivare mais solo dove le condizioni gli sono favorevoli: clima a estate piovosa o aziende irrigue, e spesso a coltivarlo in monosuccessione. In genere non si notano fenomeni di «stanchezza», tuttavia infestazioni di malerbe resistenti ai diserbanti (ad esempio il sorgo d’Aleppo) possono intensificarsi fino al punto di costringere ad interrompere la monosuccessione.
La soia, recentemente diffusasi in coltura in Italia, si è rivelata un’ottima pianta da alternare al mais in quanto gli è molto affine per esigenze ambientali e agrotecniche. Una rotazione assai diffusa in molte plaghe maidicole è quella che prevede tre anni di mais e uno di soia.

Mais in seconda coltura

Negli ambienti irrigui ed a clima molto favorevole per il mais (ad es. Val Padana), di notevole interesse economico è il mais in seconda coltura dopo il primo taglio di un prato, dopo erbaio, dopo colture a raccolta precoce come pisello da industria o orzo da insilamento. Queste successioni sono rese facili dalla disponibilità di mezzi rapidi per la raccolta e per la preparazione del terreno, ma è evidente che si rende necessario l’impiego di varietà di mais ade­guatamente precoci.

Consociazione

Nella piccola coltura di tipo familiare, diffusa in passato in Italia e tuttora nei Paesi in via di sviluppo, è molto frequente la consociazione, facilitata dal sistema di semina del mais a righe distanziate e dalla rusticità del mais stesso. Le piante che più spesso si trovano consociate al mais sono leguminose da granella (fagiolo, arachide, fagiolo dall’occhio, soia) o piante ortensi (zucche).

Preparazione del terreno

Nella tradizione maidicola la preparazione del terreno per la semina del mais si basava su un lavoro profondo (0,40-0,45 m), da rinnovo, utile soprattutto nel caso di terreni argillosi e di coltura non irrigata per assicurare la costituzione di riserve idriche nel terreno e per consentire un profondo sviluppo dell’appa­rato radicale.
La lavorazione profonda viene generalmente fatta con aratro rovescia­tore, ma potrebbe meglio essere fatta con il sistema «a due strati»: scarificatura profonda e aratura leggera o ara-ripuntatura.
All’aratura estiva o autunnale seguono lavori complementari di affina­mento delle zolle e di controllo delle erbacce nate (erpicature energiche, estir­pature). È consigliabile procedere per tempo a questo affinamento e sospen­dere qualche tempo prima della semina: si dovrà insomma evitare di interve­nire con operazioni troppo energiche al momento della semina (ad es. con estirpatori od erpici pesanti), perché si distruggerebbe in pochi minuti quella perfetta e irriproducibile struttura che mesi di azioni naturali avevano creato e che è la prima e più sicura garanzia di nascite pronte e regolari.
Il mais non abbisogna di un letto di semina particolarmente affinato: poiché il seme è grosso e quindi va posto alquanto profondo, non vi sono quei problemi di finezza delle zollette e di freschezza del suolo vicino alla superficie che rendono tanto difficile la buona riuscita delle semine e delle nascite delle specie a seme piccolo. Ciò non toglie che su terreno ben preparato le nascite siano più pronte e regolari.
Nel caso di mais in seconda coltura, risparmio di lavoro, guadagno in tempestività e ottima produzione si ottengono con la «semina diretta», senza nessuna lavorazione, adoperando una seminatrice specialmente attrezzata con piccoli coltri per tagliare il terreno.
La geodisinfestazione contro gli insetti terricoli va prevista alla semina con formulati microgranulari distribuiti sulla fila dalla stessa seminatrice.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
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Sotto famiglia: Andropogonoideae
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Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Raccolta e lavorazione.
La raccolta del seme ibrido nei campi di produzione va fatta con la massima cura, limitatamente alle piante portaseme e spiga per spiga, quindi o a mano o con macchine raccogli-sfogliatrici («corn-picker» ).
Le spighe raccolte (con non oltre il 35% di umidità) vengono finite di scartocciare a mano e inviate allo stabilimento sementiero per la lavorazione.
Lavorazione del seme ibrido di mais.
Cernita delle spighe. A mano, su nastro trasportatore per eliminare spighe fuori tipo, pre­germinate, danneggiate da parassiti.
Essiccazione delle spighe. In celle ventilate riscaldate a non oltre 40-45 °C per non com­promettere la germinabilità.
Sgranatura e prepulitura Le spighe vengono sgranate e la granello fatta passare attraverso vagli e ventilatori per eliminare le impurità.
Calibratura. Passaggio della granello a macchine calibratrici che assortiscono le cariossidi variamente: in base alla forma (ad esempio: «tondo» e«piatto») e alla dimensione (esempio: «lungo», «grosso», «medio») in un’ampia gamma di calibri (fino a 21). La cali­brazione ha lo scopo di uniformare i semi per poter adoperare con efficacia e regolarità la seminatrice di precisione.
Concia. Un fungicida in forma di poltiglia («slurry») viene applicato sui semi in modo che ne siano completamente coperti.
Confezionamento. Insaccamento in sacchi di carta o a peso (confezioni da 5, 10 o 25 kg) o, più comunemente oggi, a numero (confezioni da 25.000, 50.000 o 75.000 semi).

Classificazione degli ibridi commerciali.
Parecchi anni fa una classifica degli ibridi di mais in base alla precocità fu adot­tata dalla FAO. In base a questa classifica gli ibridi vengono suddi­visi in 9 classi di precocità, contrassegnate con i numeri da 100 a 900 per ordine di precocità decrescente. L’attribuzione alle varie classi va fatta con riferimento ad ibridi standard, uno per classe, scelti opportunamente per la diversa lunghezza del loro ciclo vegetativo.
È da tener presente che la durata del ciclo in giorni ha un valore pura­mente convenzionale e comparativo.
Prima della comparsa dei mais ibridi, le varietà-popolazioni di mais italiane venivano classificate nelle seguenti cinque categorie di precocità cre­scenti: maggenghi, agostani, agostanelli, cinquantini e quarantini.

Classificazione delle sottospecie di Zea mays (sec. Sturtevant e Kuleshov).
– Zea mays sub-sp. everta: mais da far scoppiare (pop-corn).
Raggruppa tipi primitivi, con piante prolifiche e accestite, portanti spighe piccole e nume­rose. Le cariossidi sono molto piccole (1.000 pesano 100 grammi e meno), hanno endo­sperma completamente vitreo, traslucido, molto proteico e se riscaldate «scoppiano» aumen­tando assai di volume e formando una massa bianca e porosa (pop-corn).

– Zea mays sub-sp. indurata: mais vitreo o plata («flint corn»).
Cariossidi tondeggianti, con endosperma farinoso all’interno e corneo tutt’intorno. Moltissimi mais europei di antica introduzione appartengono a questo tipo. Questo mais è preferito nel­l’alimentazione umana e in avicoltura («Plata»).

– Zea mays sub-sp. indentata: mais a dente di cavallo («dent corn»).
Granello ad endosperma corneo soltanto ai lati e per il resto farinoso fino alla corona per cui con l’avanzare della maturazione la parte farinosa diminuisce di volume e la corona viene a presentare un’infossatura simile a quella di un dente di cavallo. Questa forma di mais è ormai la più diffusa perché la più produttiva per la grande capacità di «magazzino» delle spighe.

– Zea mays sub-sp. amylacea: mais amilosico («soft corn»).
Deriva da mutazioni che inducono modificazioni nella costituzione dell’amido (prevalenza di amilosio rispetto all’amilopectina).

– Zea mays sub-sp. saccharata: mais zuccherino («sweet corn»).
L’endosperma contiene poco amido e molti carboidrati solubili. Le spighe raccolte alla matu­razione latteo-cerosa, costituiscono un ortaggio apprezzato da consumare fresco o inscatolato. A maturità la granello divento grinzosa.

– Zea mays sub-sp. ceratina: mais cereo («waxy corn»).
Comprende forme caratterizzate dalla mutazione «waxy» (wx), che induce formazione di amido composto esclusivamente di amilopectina e per questo fatto apprezzato dall’industria dell’amido.

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Mais o Granoturco – Zea mays L.
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Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Obiettivi del miglioramento genetico

Produttività.
La produttività di granella è stato ed è l’obiettivo principale di ogni programma di miglioramento genetico. Tale carattere, però, dipende da tanti altri caratteri morfologici, fisiologici e di adattamento.
Per la produzione di granella è importante sia la potenzialità di assimilazione («source») sia quella di immagazzinamento («sink»).
In passato si è potenziata con successo questa seconda funzione, sele­zionando soprattutto per caratteri morfologici come la lunghezza e il numero delle file della spiga e la lunghezza («profondità») delle cariossidi. Ulteriori pro­gressi potrebbero forse essere ottenuti anche con piante potenzialmente «poli­spiga», anziché monospiga come le attuali.
Oggi c’è l’orientamento a rimuovere verso l’alto il limite della pro­duttività cercando di selezionare altri caratteri legati all’attività di assimila­zione.
Il portamento eretto delle lamine fogliari, ad esempio, riduce la compe­tizione per la luce perché le foglie superiori ombreggiano quelle inferiori meno rispetto alle foglie con portamento reclinato. In questo modo si può aumentare utilmente l’estensione dell’apparato fogliare mediante l’aumento della fittezza di allevamento.
Altre caratteristiche di adattamento importantissime ai fini della pro­duttività sono le seguenti.
Giusta precocità. Come si è visto in precedenza, determinante della produtti­vità di un mais è la lunghezza del suo ciclo, e in particolare dei sottoperiodi nei quali il ciclo può essere diviso. Sembra conveniente che il mais sia piut­tosto precoce nella fioritura, abbia lunga la fase di «riempimento» della gra­nella, ma rapida l’essiccazione di questa dopo la maturazione fisiologica. I nuovi ibridi a rapida maturazione («fast dry down») soddisfano quest’ultima condizione.
Resistenza al freddo. Ibridi capaci di germinare o di resistere senza danno a temperature relativamente basse sarebbero utilissimi nelle zone marginali, in quanto consentirebbero di anticipare di qualche giorno la semina e quindi di allungare la stagione di crescita.
Resistenza alle malattie fogliari. La più temibile tra queste è in Italia l’elmin­tosporiosi (Helminthosporium turcicum), per la quale peraltro già si conoscono geni di resistenza.
Resistenza ai marciumi. È importante che il mais possegga spiccati caratteri di resistenza gli agenti dei marciumi e, in genere, alla caduta delle spighe perché se ne possa ritardare la raccolta senza temere perdite di prodotto. Il miglioramento genetico per la resistenza a questi agenti è un mezzo effi­cace e già praticato.
Miglioramento della qualità.
Il miglioramento genetico punta a migliorare la qualità delle proteine endo­spermiche (zeina), modificandone la composizione aminoacidica. Questa pro­teina contiene poca lisina, e ciò ne rende infimo il valore biologico per gli ani­mali monogastrici. Orbene, sono stati scoperti geni capaci di modificare in senso favorevole la sintesi proteica nell’endosperma, inducendo una molto maggior quota di lisina. Il mutante più considerato è stato l’opaque-2 (02). Pur­troppo ci sono ostacoli alla diffusione dei mais opaque: bassa produttività, gra­nella farinosissima comportante cattivi caratteri organolettici, elevata umidità alla raccolta, suscettibilità della spiga alle malattie e delle cariossidi a essere lesionate durante la raccolta.
Dell’uso dei mutanti che modificano l’accumulo di carboidrati nella granella si è già detto parlando delle sottospecie del mais (m. amilosico. m. cereo, m. zuccherino).
La ricchezza della granella di mais in xantofilla è molto apprezzata per l’alimentazione del pollame le cui uova devono avere un colore giallo: i più ricchi in xantofilla sono i mais a granella vitrea e di colore giallo intenso.
Il colore bianco della granella è, invece, apprezzato per motivi di tradi­zione alimentare in certi paesi o regioni, e per certi usi industriali.
Mais transgenici.
Il mais è stato recentemente oggetto di un intenso lavoro di miglioramento con le tecniche dell’ingegneria genetica che si è tradotto nella realizzazione di ibridi di «mais transgenico». Attualmente due sono i caratteri ingegnerizzati: la resistenza alla piralide e la resistenza al Glifosate.
Nel primo caso la resistenza del mais al fitofago è stata realizzata intro­ducendo nel genoma del mais un gene (Bt) del Bacillus thuringensis, parassita delle larve di piralide; con questo inserimento il mais transgenico produce esso stesso nei suoi tessuti la tossina batterica che ucciderà le larve che lo attaccassero.
Nel secondo caso l’ingegneria genetica ha inserito nel patrimonio genetico del mais un gene che detossifica un diserbante totale, il Glifosate. Si è così ottenuto un mais transgenico sul quale questo diserbante è assoluta­mente innocuo, mentre è letale per qualsiasi altra pianta infestante. È evidente la semplificazione che questa innovazione porterebbe al controllo della flora infestante, finora basata su diserbanti selettivi.
L’Europa guarda con sospetto e preoccupazione questi tipi di OGM: possibile tossicità per l’uomo del mais Bt; possibile trasferimento della resi­stenza a specie infestanti che così diventerebbero incontrollabili (peraltro nel caso del mais quest’ultimo problema è trascurabile in quanto non ci sono specie interfertili con il mais).
Gli ibridi di mais.
Il mais è, come si è detto, pianta a fecondazione quasi esclusivamente incro­ciata. Pertanto le popolazioni naturali di mais hanno una struttura genetica completamente eterozigote e quindi loro caratteristica è di essere eterogenee, con individui tutti diversi l’uno dall’altro.
I primi tentativi di selezione sono stati quelli basati sulla selezione massale, da sempre praticata scegliendo le spighe migliori per la semina. L’in­successo di questi tentativi deriva dalla citata natura eterozigote del mais per cui le progenie di buone piante non sono necessariamente buone, dato che il genitore maschile è sconosciuto.
Uno spettacolare salto di qualità nel miglioramento genetico del mais fu realizzato con l’introduzione del concetto di ibrido di la generazione.
L’era dei mais ibridi è cominciata nel 1909 con la contemporanea e indipendente pubblicazione dei lavori di Shull e East, genetisti americani che dettarono i principi generali della costituzione degli ibridi di mais che qui di seguito sono esposti.
1.Le piante di una popolazione naturale di mais sono ibridi complessi di genealogia ignota: nulla è possibile dedurre sul loro genotipo in base al fenotipo.
2. Queste piante sottoposte forzatamente ad autofecondazione ripetuta ten­dono allo stato omozigote, per cui durante questo processo, detto di «inbreeding», caratteri recessivi prima nascosti compaiono e possono essere eliminati con la selezione.
3. Durante il processo di «inbreeding» le discendenze perdono progressiva­mente vigore e produttività, ma tendono ad uniformizzarsi costituendo «linee inbred» (impropriamente dette anche «linee pure»), praticamente omozigoti.
4. L’incrocio di due «inbreds» opportunamente scelte dà luogo a spettacolari manifestazioni del fenomeno dell’eterosi: la generazione ibrida (FI) è costi­tuita da individui eterozigoti, vigorosissimi e tutti uguali.
Un mais ibrido quindi è la prima generazione di un incrocio tra linee «inbred». È evidente che ad ogni generazione la combinazione genetica dell’i­brido va ricostituita e che il seme va rinnovato ogni anno.
Gli ibridi semplici o a due vie la cui produzione abbiamo ora descritta risultano costosi per i seguenti motivi:
a. rapporto (1:1) tra piante impollinanti e piante portaseme che porta a racco­gliere seme ibrido solo sulla metà della superficie coltivata;
b. bassissima produttività delle piante portaseme, che essendo «inbreds» sono
estremamente deboli.
Questo alto costo di produzione degli ibridi semplici ne ha limitato l’impiego, anche se oggi si è riusciti ad abbassarne sensibilmente il prezzo ricorrendo a speciali tecniche (incrocio di linee sorelle o «sister lines»).
Per abbassare il costo della semente, senza per ciò rinunciare ai van­taggi degli ibridi, si è ricorsi agli ibridi doppi o a quattro vie, i quali risultano dalla ibridazione di due diversi incroci semplici.
Si deve cioè disporre di 4 linee «inbred» (es. A, B, C e D) che abbiano tra loro una buona attitudine alla combinazione. Esse vengono combinate a 2 a 2, a costituire due ibridi semplici (AxB) e (CxD), seguendo le modalità indicate in precedenza.
La produzione dell’ibrido doppio si fa in un campo isolato seminando alternativamente l’ibrido impollinante e quello portaseme in un rapporto che in questo caso è di 1:3, dato che le piante impollinanti sono ibride e hanno un’abbondante produttività di polline.
Il costo di produzione degli ibridi doppi è molto inferiore a quello degli ibridi semplici perché il seme ibrido viene raccolto sui 3/4 della superficie col­tivata e per di più su piante portaseme che, essendo ibride, danno un’alta pro­duzione di granella.
Gli ibridi doppi sono un po’ meno uniformi e vigorosi di quelli sem­plici, ma avendo una più larga base genetica dimostrano una maggiore capacità di adattarsi alle mutevoli condizioni di ambiente.
Una via di mezzo tra gli ibridi semplici e quelli doppi è rappresentata dagli ibridi a 3 vie: [(AxB)xC].
Le caratteristiche di elasticità adattativa e il costo degli ibridi a 3 vie sono intermedi tra quelli degli ibridi a 2 e a 4 vie.
Per la potenzialità produttiva si considera pari a 100 quella degli ibridi a due vie, 90 quella degli ibridi a tre vie, 80 quella degli ibridi a 4 vie.
In ambienti molto sfavorevoli dal punto di vista ambientale, dove non esista un’efficiente industria sementiera c/o dove le condizioni socio-economiche non consentono l’acquisto di seme tutti gli anni (come è necessario fare con gli ibridi), una soluzione realistica del problema del miglioramento gene­tico del mais è la costituzione di varietà sintetiche: si tratta di poliibridi risul­tanti dall’incrocio di numerose (8-16) linee inbred. Queste sintetiche hanno una base genetica molto larga e quindi una notevole capacità di adattamento ai variabili andamenti stagionali, inoltre possono essere riseminate per più anni di seguito conservando molti dei loro caratteri positivi.
Viceversa, in condizioni ambientali e agrotecniche molto vicine all’op­timum non v’è dubbio che si ottengano i risultati migliori dagli ibridi semplici.

Salute e Benessere

Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Durata delle fasi vegetativeLa velocità con cui il mais compie le fasi del suo sviluppo varia molto con la costituzione genetica e con le condizioni climatiche.
La fase compresa tra la semina e l’emer­genza ha una durata variabile secondo la temperatura: con 12 °C (minimo): 18-20 giorni; con 17 °C: 8-10 giorni; con 21 °C: 5-6 giorni.
La fase che va dall’emergenza all’antesi varia moltissimo con la varietà in intera­zione con la temperatura e soprattutto col fotoperiodo. In Italia i tipi più precoci fioriscono dopo 45-50 giorni dall’emer­genza, mentre i più tardivi fioriscono dopo 70-75 giorni, cioè a fine luglio, primi di agosto. Varietà tropicali, brevi­diurne, nei lunghi giorni estivi delle regioni temperate salirebbero a fiore solo al sopraggiungere dell’autunno.
La fase compresa tra l’antesi e la matura­zione fisiologica dipende strettamente dalle caratteristiche genetiche della cul­tivar e dalla temperatura e umidità dell’ambiente. Gli ibridi più precoci matu­rano dopo 45-55 giorni dalla fioritura, mentre tipi molto tardivi dopo 70 giorni possono non aver ancora raggiunto la maturazione fisiologica.
Pertanto il ciclo complessivo «emergenza-maturazione fisiologica» dei mais coltivati in Italia varia da un minimo di 90 giorni a un massimo non supe­rabile di 145 giorni

Mais o Granoturco – Zea mays L. (foto CREA)

Esigenze ambientali

Il mais è pianta di origine tropicale ed è quindi tipicamente macroterma e, almeno originariamente, brevidiurna.
Grazie alla forte variabilità esistente all’interno della specie e alla struttura genetica eterozigote delle popolazioni naturali, il mais ha allargato moltissimo la sua area di distribuzione, per autoadattamento e per selezione antropica, fino al 50° di latitudine Nord.
Per quanto riguarda la reazione fotoperiodica, da tipi strettamente brevidiurni si è passati a tipi adattatisi alle latitudini medio-alte e quindi divenuti fotoindifferenti.
In ambiente avverso per brevità del periodo favorevole si sono formati ecotipi caratterizzati da estrema precocità di fioritura e di maturazione.

Temperatura

Il mais esige temperature elevate per tutto il suo ciclo vitale, durante il quale manifesta esigenze via via crescenti.
Il mais non germina e non si sviluppa (zero di vegetazione) se le tem­perature sono inferiori a 10 °C; in pratica per avere nascite non troppo lente e aleatorie si consiglia di iniziare a seminare quando la temperatura del terreno ha raggiunto stabilmente i 12 °C.
Abbassamenti di temperatura anche solo vicini a 0°C (4-5 °C) ucci­dono le piante o le lasciano irrimediabilmente stressate.
La temperatura ottimale per l’accrescimento è di 22-24 °C; per la fiori­tura di 26 °C.
Il mais in fase di granigione cessa di crescere sotto i 17 °C: è questa la soglia termica che segna il termine della stagione vegetativa del mais (II e III decade di settembre, in Italia).
Anche eccessi termici, tuttavia, possono rivelarsi dannosi per la pro­duttività del mais.
Forti calori sono particolarmente dannosi durante la fioritura: tempe­rature superiori a 32-33 °C accompagnate da bassa umidità relativa dell’aria e, conseguentemente, anche da stress idrici per sbilancio evapotraspiratorio, possono provocare cattiva allegagione e gravi fallanze di cariossidi sulla spiga.
Le conseguenze sono frequentemente visibili come incompleta grani­gione delle spighe, specialmente nella parte apicale, che è l’ultima a fiorire.

Acqua

Le regioni più adatte al mais (le cosiddette «corn belts» o fasce da mais) sono quelle dove in estate le piogge sono frequenti e regolari.
In Italia solo le regioni nord-orientali hanno una pluviometria abbastanza favorevole che spesso rende l’irrigazione non necessaria; ma nel resto del paese il regime pluviometrico è di tipo mediterraneo (piogge estive scarse e irregolari o assenti) per cui il mais qui fornisce produzioni che, senza l’au­silio dell’irrigazione, sono basse e aleatorie. Peraltro con l’irrigazione sotto ogni clima si può supplire alla deficienza delle piogge, purché l’acqua neces­saria sia disponibile a costi contenuti e non abbia utilizzazione su colture più redditizie.

Terreno

Il mais è un ottimo esempio di adattabilità alle più varie condizioni di suolo.
Con clima favorevole e una buona tecnica colturale tutti i terreni possono diventare sede di un’eccellente maiscoltura: da quelli sabbiosi agli argil­losi, da quelli sub-acidi ai sub-alcalini (purché non si verifichino deficienze di microelementi), dalle terre grigie, alle brune, alle rosse, alle torbose.
Condizioni indispensabili perché il mais possa dare i migliori risultati sono: ampie disponibilità di elementi nutritivi assimilabili e buona aerazione della rizosfera. La maggiore insofferenza del mais è nei riguardi dei terreni asfittici e molto crepacciabili perché troppo compatti e mal strutturati.

Varietà

Il miglioramento genetico vegetale ha realizzato nel mais successi spettacolari, superiori che in qualsiasi altra pianta coltivata. Ciò grazie alla concomitanza di una serie di favorevoli condizioni: grande variabilità genetica della specie, rela­tiva facilità di studio sperimentale e, di conseguenza, enorme massa di ricerche di genetica pura e applicata.

Salute e Benessere

Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Mais

Caratteri botanici

Il mais appartiene alla famiglia delle Gramineae, tribù Maydeae.
La Zea mays è l’unica specie del genere Zea ed esiste solo allo stato coltivato.

Cariosside

La costituzione della cariosside è la seguente: embrione (12-14%), endosperma (75-80%), involucri (8-10%).
L’embrione presenta notevoli analogie con quello, già descritto, del frumento. È costituito:
– dalla piumetta, che è protetta dal coleoptile e sulla quale sono già differen­ziati gli abbozzi delle prime cinque foglie;
– dalla radichetta, protetta dalla coleoriza;
– dallo scudetto (o scutello), ricco di grassi.

L’endosperma è costituito da uno strato aleuronico esterno e da un parenchima amidaceo che è a sua volta formato da una parte cornea, ricca di sostanze azotate, e da una parte farinosa, quasi esclusivamente formata di amido e povera di sostanze proteiche.
Gli involucri comprendono pericarpo e perisperma.
Nella cariosside di mais si distinguono: la corona, cioè la parte che nella spiga è all’esterno ed opposta all’inserzione nel tutolo; due facce, di cui la superiore è volta verso l’apice della spiga e l’inferiore è volta verso la base; lo scudetto, con l’embrione, alla base del granello, sulla faccia superiore.
Il polimorfismo del granello di mais (colore, forma, peso) è assai accentuato. Il colore può essere bruno, violetto, rosso, giallo, bianco; la forma rotondeggiante, schiacciata, appuntita, ecc.; il peso di 1.000 cariossidi varia da meno di 100 grammi a oltre 1200 grammi; nei tipi più comunemente coltivati 1.000 cariossidi pesano 250-350 g.
Sturtevant e Kuleshov hanno classificato le numerosissime forme di mais in base ad alcune caratteristiche morfologiche e fisiologiche della gra­nella in diverse sottospecie.

La pianta e il ciclo vitale

In condizioni adatte di umidità, di temperatura e di arieggiamento, il seme assorbe acqua e s’inizia la mobilitazione delle sostanze di riserva. Anzitutto fuoriesce dagli involucri della cariosside la radichetta embrionale, cui segue il coleoptile, all’inizio più lento nel crescere di quanto non sia la prima.
In analogia a quanto avviene nel frumento, si sviluppano poi radici embrionali laterali, meno vigorose di quella primaria: tutte formano l’apparato radicale seminale che resta attivo per tutto il ciclo biologico della pianta, a sus­sidio dell’apparato radicale avventizio che si svilupperà in un secondo tempo.
La temperatura minima per avere germinazione e nascite accettabil­mente rapide e regolari è di 12 °C. Quindi la semina può essere fatta appena tale temperatura media si riscontra nel terreno alla profondità (50 mm circa) alla quale va deposto il seme.
Dal coleoptile che, allungandosi, spunta fuori terra si svolge la prima foglia, alla quale corrisponde nel terreno un primo nodo a profondità variabile secondo le circostanze, ma sempre prossimo alla superficie.
La seconda foglia e le successive sorgono alterne, da ognuno dei nodi soprastanti al primo; dagli stessi nodi basali spuntano le radici avventizie, che talora restano aeree.
L’apparato radicale giunge facilmente ad un metro ed oltre di profondità, ma il suo sviluppo avviene prevalentemente nei primi 0,4 m.
Dopo l’emissione della terza o quarta foglia, a un mese o un mese e mezzo dalla semina, incomincia, con la levata, lo sviluppo completo della pianta che, se le condizioni colturali sono favorevoli, è molto rapido.
Il mais delle varietà più coltivate non accestisce; l’unica ramificazione normale del fusto è rappresentata dal peduncolo più o meno allungato che porta l’infiorescenza femminile (in genere una per pianta, eccezionalmente due o più).
I nodi che compongono lo stelo sono pieni, a sezione circolare od ellit­tica, più grossi degli internodi, anch’essi pieni di «midollo», parenchima attra­versato da numerosi fasci fibrovascolari, che funziona come riserva d’acqua e sostanze nutritive.
Il numero degli internodi (da 12 a 24 nelle cultivar coltivate in Europa) è legato ai caratteri varietali e all’ambiente climatico, soprattutto alla lun­ghezza del giorno.
Le foglie, inserite ai nodi del culmo, hanno disposizione alterna, sono parallelinervie, relativamente larghe (fino a 80 mm) ed allungate fino a 0,70­0,80 m), acuminate, glabre nella pagina inferiore e spesso anche nella supe­riore, un po’ ondulate, con guaina amplessicaule, tomentosa, ligula ed espan­sioni falciformi alla base del lembo.
Il lembo, nella pagina superiore, presenta dei gruppi di cellule igrosco­piche che perdono il loro turgore e si raggrinziscono se la traspirazione è eccessiva, determinando il caratteristico arrotolamento della lamina in periodi di accentuata siccità.
Nel tempo di 50-70 giorni le piante raggiungono il loro massimo svi­luppo ed iniziano la fioritura.

Organi fiorali

Il mais è pianta monoica diclina: cioè i fiori maschili e femminili sono sulla stessa pianta portati da infiorescenze separate.
L’infiorescenza maschile (detta volgarmente pennacchio) è un panicolo terminale, costituito da numerose ramificazioni sulle quali si trovano le spi­ghette; ogni spighetta consta di due fiori con tre stami ciascuno.
L’infiorescenza femminile (comunemente, ma impropriamente, detta pannocchia) è una spiga ascellare, posta circa a metà altezza della pianta, in genere al 6-7° nodo sotto il pennacchio.
Le forme usualmente coltivate sono monospiga in ordinarie condizioni di fittezza, anche se esistono genotipi che in condizioni di moderata competizione manifestano una certa prolificità, portando avanti qualche altra spiga sotto quella principale che comunque mantiene la sua dominanza.
La spiga è portata da un peduncolo fatto di internodi brevi e nodi assai ravvicinati; ciascun nodo del peduncolo porta una foglia metamorfosata in brattea o spata; il complesso delle brattee, che avvolgono completamente la spiga, forma il cosiddetto cartoccio, avente funzione protettiva. La spiga è costituita da un asse ingrossato detto tutolo sul quale sono inserite le spighette.
Il tutolo può essere di colore bianco o rosso, più o meno ingrossato, di forma cilindrica o conica più o meno tozza.
Sul tutolo le spighette sono in genere disposte in file («ranghi») retti­linee regolari, talora spiralate e poco regolari.
Il numero di ranghi presenti sulla spiga varia moltissimo nelle innume­revoli forme locali di mais esistenti (da 8 a 24), ma le forme più diffuse nella maiscoltura intensiva ne presentano da 14 a 20.
La lunghezza della spiga può variare da meno di 0,1 a oltre 0,2 m e il numero di fiori e di potenziali cariossidi per rango andare da poche decine a 50. Da ciò deriva una elevatissima fecondità potenziale del mais: molte centinaia (fino a 1.000) potenziali cariossidi per spiga. Questo straordinario rapporto di moltiplicazione che caratterizza il mais impressionò molto i primi scopritori e influì sul successo della diffusione della specie in tante parti del mondo.

Fioritura e fecondazione

Il mais è specie «proterandra» ossia la fioritura inizia con la deiscenza del pol­line dei fiori maschili del pennacchio, seguita poi dopo 2-3 giorni dall’emis­sione degli stigmi nelle infiorescenze femminili. L’emissione dei pennacchi non è contemporanea in un campo, ma si protrae per più giorni; anche la deiscenza del polline in una infiorescenza dura qualche giorno.
Nelle spighe, gli stili (detti sete o barbe) spuntano dalle brattee non contemporaneamente, ma scalarmente nel corso di una settimana, dapprima quelli dei fiori di base ed ultimi quelli dell’apice, formando un folto ciuffo. Gli stigmi, appena compaiono, sono suscettibili di essere fecondati e restano recettivi per il polline per parecchio tempo. Però, dato che l’antesi delle antere precede la comparsa degli stigmi, può darsi che gli ovuli della punta della spiga, gli ultimi a maturare, non arrivino ad essere fecondati per mancanza di polline.
Nel mais la fecondazione incrociata è la regola: in condizioni normali si calcola che solo l’1% dei fiori si fecondino in autogamia.
Le antere deiscono per lo più al mattino ed il polline, abbondantis­simo, preso dai movimenti anche lievi dell’aria, va a finire su spighe di altri individui. La stessa disposizione delle foglie nella pianta non favorisce l’autofe­condazione.
Il polline pervenuto sugli stili germina ed emette un lungo tubo polli­nico. In circa 24 ore si ha la feconda­zione dell’ovulo. Anche se la allogamia è la norma, nel mais non esiste alcun meccanismo di autoincompatibilità che ostacoli l’autofe­condazione, che può essere controllata a scopo di miglioramento genetico.

Maturazione

Nei 10-12 giorni successivi alla feconda­zione si ha la rapida formazione dell’em­brione; successivamente inizia la fase di granigione, caratterizzata da accumulo di amido nell’endosperma delle carios­sidi in via di formazione. Le cariossidi dapprima lattiginose (maturazione lattea), dopo 40-50 giorni dalla fecondazione divengono consistenti, amidacee, pastose sotto le dita, e nei tipi dentati con la fossetta all’apice che comincia a formarsi, hanno un conte­nuto d’acqua del 40-45%, mentre le brattee più esterne e le foglie più basse cominciano ad ingiallire: è questa la fase di maturazione cerosa, che segna il momento ottimale per la raccolta del mais destinato all’insilamento. Procedendo ulteriormente la matura­zione, la pianta completa l’ingiallimento, mentre la granella diventa sempre più consistente e secca: quando contiene circa i130-35% d’acqua si trova alla matu­razione fisiologica, stadio al quale ha raggiunto il massimo peso secco. Data la stagione in cui il mais matura, è impensabile in Italia (salvo rare ecce­zioni di varietà precocissime e di sta­gione prolungatamente calda e asciutta) di raccogliere il mais con un contenuto di acqua che ne consenta l’immagazzina­mento (13% al massimo). Bisogna perciò prevedere sempre l’essiccazione della granella.

Continua

Salute e Benessere

Mais o Granoturco – Zea mays L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sotto famiglia: Andropogonoideae
Tribù: Maydeae
Specie: Zea mays L.
Altri nomi comuni: frumentone, grano d’India, melica, formentazzo

Francese: mais; Inglese: maize, Indian corn; Spagnolo: maiz; Tedesco: mais.

Origine e diffusione

Il mais (o granturco, granone, frumentone, ecc.) fu conosciuto dagli europei un mese dopo la scoperta dell’America all’interno di Cuba dove era chiamato maíz.
La prima, rapida diffusione del mais in Europa si ebbe nel 1600 nelle regioni Balcaniche, allora facenti parte dell’impero Ottomano, grazie alle condizioni climatiche favorevoli che assicuravano produzioni di granella più che doppie rispetto ai cereali tradizionali e, forse, anche al fatto che questo nuovo prodotto agricolo sfuggiva alla tassazione non essendo rubricato.
Qualche tempo dopo il mais iniziò a diffondersi in Italia, probabilmente con varietà provenienti dai vicini Balcani (da cui forse deriva il nome popolare di «granturco»). Le regioni padane, e in particolare quelle nord-orientali, grazie al clima favorevole furono quelle che introdussero il mais nei loro ordinamenti colturali con larghezza tuttora insuperata. Ma anche le regioni peninsulari centrali trovarono nel mais un valido contributo al precario sostentamento alimentare delle popolazioni agricole, tanto che questa coltura entrò a far parte degli ordinamenti policolturali del centro Italia pur se il clima di quest’area non fosse ideale.
Nella seconda metà del XX secolo la maiscoltura italiana si è profondamente modificata, nel senso che le produzioni si sono orientate verso il mercato anziché verso l’autoconsumo alimentare umano e che, in conseguenza, il mais è scomparso dalle aree marginali non irrigate, dove dà rese modeste e incostanti, e si è localizzato quasi esclusivamente nelle zone irrigate dove ha potuto vedere enormemente intensificate le sue produzioni grazie all’introduzione dei mais ibridi, altamente produttivi, ma molto esigenti quanto a tecnica colturale.
Le regioni italiane più intensamente maidicole sono Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli V .G.: da sole queste quattro regioni producono circa il 66% di tutto il mais prodotto in Italia. Il mais è pochissimo coltivato nell’Italia meridionale, e praticamente assente nelle Isole.

Mais o Granoturco – Zea mays L.

Salute e Benessere

La salute dalla A alla Zeta – Dizionario della salute – 10

Infezioni trasmesse dall’acqua

La leptospirosi è provocata dal contatto con acqua contaminata da urina di ratto; i più esposti al rischio di contrarre questa malattia sono gli individui che lavorano nelle fognature e nei canali.

Nei paesi tropicali, nuotare o andare sott’acqua nei fiumi, nel laghi e negli stagni è altamente sconsigliabile a causa del rischio di contrarre la schistosomiasi (detta anche bilharziosi), grave malattia provocata da un trematode che può scavare gallerie nella pelle del nuotatore. Il “prurito del nuotatore” è provocato da un tipo simile di trematode, che scava gallerie nella pelle e provoca un’eruzione cutanea pruriginosa. Talvolta si sono verificate epidemie di questa malattia.

Altri meccanismi di infezione attraverso l’acqua

I pesci, soprattutto i molluschi, che vivono in acque contaminate possono concentrare nel loro corpo microrganismi patogeni. Devono essere lavati e preparati con molta attenzione e poi cotti rapidamente e adeguatamente per prevenire la comparsa di epatite, stati di tipo coleroso, tossinfezione o infestazioni da vermi a nastro.

La malattia dei legionari è provocata da un batterio che può contaminare le condutture dell’acqua di grandi edifici. Apparentemente, questa malattia non viene contratta mediante l’ingestione di acqua contaminata; il meccanismo dell’infezione sembra essere l’inspirazione dalle docce o dai sistemi di condizionamento dell’aria.

Acqua, intossicazione da

Condizione provocata da una ritenzione eccessiva di acqua nell’encefalo. I principali sintomi sono cefalea, stordimento, nausea, confusione e, nei casi più gravi, convulsioni e perdita della coscienza.

Varie malattie possono alterare l’equilibrio idrico dell’organismo, provocando un accumulo di acqua in alcuni tessuti, tra cui l’encefalo. Queste malattie sono: insufficienza renale, cirrosi epatica, grave scompenso cardiaco, malattie delle ghiandole surrenali e alcuni tumori polmonari o ovarici che producono una sostanza dotata di un’azione simile a quella dell’ormone antidiuretico (ADH).

Inoltre, esiste un rischio di intossicazione da acqua nelle 48 ore successive a un intervento chirurgico perché lo stress dell’intervento causa un aumento della produzione di ADH. L’intossicazione da acqua può verificarsi anche durante l’induzione del parto con ossitocina.

Salute e Benessere

Lacrime di Giobbe – Coix lacryma-jobi L.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Sottofamiglia: Panicoideae
Genere: Coix
Specie: C. lacryma-jobi L.

Origine e diffusione

Lacrime di Giobbe (Coix lacryma-jobi) è una pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Graminacee. Originaria dell’Asia orientale e della penisola della Malaysia viene oggi coltivata anche altrove, ed in particolare nelle Americhe.

Lacrime di Giobbe – Coix lacryma-jobi L. (CC BY-SA 3.0,

Caratteri botanici

È una pianta alta circa un metro e cinquanta e le sue radici sono molto simili a quelle del grano. I suoi semi hanno una forma molto caratteristica ed ovale, di colori che variano dal verde, al viola, a sfumature di marrone, che ricordano delle gocce, donde il suo nome.

Tecnica colturale

Nelle zone di origine viene normalmente seminata nel mese di settembre e si raccoglie nel mese di gennaio dell’anno successivo. La pianta assomiglia a quella del mais e custodisce semi a forma di lacrima che variano dal verde brillante al marrone scuro a seconda del grado di maturità.

Lacrime di Giobbe – Coix lacryma-jobi L.

Raccolta e utilizzazione

Nyeli è laborioso da coltivare e viene raccolto a mano. Il tegumento marrone scuro è rimosso mediante battitura e il grano è color crema o giallo, a seconda della varietà. Ha un aroma, una consistenza e un sapore caratteristici. Il popolo Iban della zona coltiva il nyeli come secondo raccolto di cereali insieme al riso. Come variante, lo cucinano con il riso o la polenta. Viene anche messo a bollire per circa 30 minuti in acqua, con aggiunta di zucchero o miele selvatico, e consumato come bevanda nutriente per il sistema digestivo.

La coltivazione in India è molto diffusa, e la pianta viene trattata per ricavare una birra detta zhu. In Asia orientale, le Lacrime di Giobbe si possono trovare sotto forma di chicchi fatti seccare e poi cucinati. I chicchi sono generalmente sferici, di un colore bianco lucido, anche se in Giappone è presente una varietà dai chicchi marrone opaco. In Corea dalla polvere dei suoi semi viene ricavata una densa bevanda chiamata yulmu cha. Una bevanda simile, chiamata yì mí shǔi, è presente nella cucina cinese, ed è ottenuta attraverso la lenta bollitura della pianta e l’aggiunta di zucchero al liquido che ne risulta. Sia in Cina che in Corea dai chicchi vengono ricavati dei distillati come ad esempio il liquore Coreano chiamato okroju. L’impiego dei semi trova utilizzo anche nella medicina tradizionale cinese ed indiana.

Semi di Lacrime di Giobbe – Coix lacryma-jobi L.

Salute e Benessere

Grano saraceno – Fagopyrum esculentum Moench.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Dicotyledones
Famiglia: Polygonaceae
Specie: Fagopyrum esculentum Moench.
Sinonimo: Polygonum fagopyrum L.

Francese: Sarrasin; Inglese: Buckwheat; Spagnolo: Alforfòn; Tedesco: Buchweizen.

Origine e diffusione

Il Grano Saraceno, originario dell’Asia (Manciuria o Siberia), fu introdotto in Europa, attraverso la Russia, nel Medioevo. Oggi è ancora diffuso in Russia, mentre in Europa si limita ad alcune zone della Francia e della Germania. In Italia è presente nelle province di Bolzano e Sondrio.
Questa pianta è un cereale per la composizione della sua granella che, essendo ricca di amido, viene utilizzata per la produzione di farina panificabile.

Infiorescenza di Grano Saraceno - Fagopyrum esculentum Moench.Infiorescenza di Grano Saraceno – Fagopyrum esculentum Moench. (foto www.kuleuven-kortrijk.be)
Saraceno (foto http://www.agraria.org)

Caratteri botanici

Il Grano Saraceno è una pianta erbacea con radice fittonante poco sviluppata, fusto cilindrico, glabro, eretto, cavo, di colore rosso o verdognolo. Le foglie sono alterne, lanceolate, provviste alla base di una formazione stipolare caratteristica, detta ocrea. L’infiorescenza ascellare o terminale è costituita da racemi corimbiformi, ermafroditi, senza petali, con cinque sepali con fiori bianco-rosei o verdastri. I fiori presentano una eterostilia dimorfa: si possono riscontrare, infatti, fiori con lunghi pistilli e corti stami (tipo pin) e fiori con corti pistilli e lunghi stami (tipo thrum). L’impollinazione, incrociata, può essere sia anemofila che entomofila. Non tutti i fiori danno origine ai semi. Il frutto è un achenio di forma triangolare, al cui centro è posto l’embrione. Peso 1.000 semi pari a circa 20 grammi.

Grano Saraceno – Fagopyrum esculentum Moench.

Esigenze ambientali e tecnica colturale

Le varietà di grano saraceno si distinguono per la grandezza del frutto, per il suo colore e per la presenza o meno di rugosità
Il grano saraceno è caratterizzato da un accestimento rapido, per cui risulta altamente competitivo con qualsiasi altra pianta, e da una elevata sensibilità alle basse temperature e alla siccità prolungata.
Per tali motivi, nelle zone a clima continentale, la semina deve essere fatta a primavera inoltrata, su terreno ben concimato (con concime organico o minerale) e arato superficialmente, distribuendo da 50 a 100 kg/ha di seme in relazione al peso e alle modalità di semina (a spaglio o a righe). Circa i fabbisogni alimentari di questa pianta si può dire che essa è particolarmente esigente di potassio nel caso specifico in cui la coltura è destinata alla sola produzione di granella.
Durante il periodo di accrescimento la pianta non necessita di nessuna pratica colturale specifica.
E’ importante se si vuol ottenere un buon raccolto, avere sul campo alveari in ragione di due per ettaro.

Raccolta e utilizzazione

La raccolta non può avvenire a maturità completa dei semi, basta solo che la maggior parte dei frutti abbia preso un colore più o meno scuro: essa viene eseguita a mano con la falce o col falciuolo. I covoni si lasciano sul campo 15-20 giorni, affinché possa avvenire la maturazione completa dei semi; poi si esegue la trebbiatura. Per ettaro si ha una resa di 15-20 quintali di granella e 30 quintali di paglia.
La coltivazione da foraggio invece viene falciata poco dopo l’inizio della fioritura e si ha una produzione verde di 120-150 quintali ad ettaro. In terreni poco fertili può essere coltivata come pianta da sovescio.
I semi di grano saraceno sono molto ricchi di proteine, largamente rappresentate dalle gluteline, e pertanto sono un alimento molto ricco di lisina e povero di acido glutammico e di prolina. La farina trova impiego nell’alimentazione umana (pani, biscotti, polenta); un suo eccessivo consumo, però, determina un esantema della pelle nelle zone più esposte al sole (fagopirismo). Se impiegato in campo zootecnico, va preferibilmente miscelato con altri, perchè un suo largo consumo può provocare, anche sugli animali, il fagopirismo.
Fino a metà Novecento questa pianta veniva coltivata anche per uso farmacologico: da essa si estraeva la rutina, un flavone glucosidico utilizzato nel trattamento di disturbi dovuti ad anomala fragilità delle vene.

Salute e Benessere

Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Avversità e parassiti

Avversità meteoriche

Il ristagno prolungato dell’acqua determina sulle colture nascite irregolari, diradamenti, scarso accestimento, suscettibilità a malattie; si hanno poi: maggiori invasioni di erbe infestanti, le quali generalmente tollerano l’asfissia meglio delle piante coltivate, e dispersione di azoto minerale per denitrificazione e per lisciviazione.
Allettamento. Piogge violente accompagnate dal vento possono provocare l’allettamento, cioè il coricamento dei culmi che si piegano alla base prostandosi a terra. È evidente che l’allettamento può succedere solo dopo che la levata della coltura è avviata.
Il danno che l’allettamento provoca è di natura e gravità diversa a seconda di quando si verifica: in prossimità della raccolta, quando la fase di riempimento è conclusa, il danno consiste solo in qualche difficoltà nella raccolta; a levata iniziata da poco il danno è limitato poiché i culmi allettati si raddrizzano in quanto incurvano i loro internodi e riprendono l’assetto eretto; è quando l’allettamento si verifica verso la fine della levata, quando i culmi non hanno più la capacità di raddrizzarsi, che il danno è massimo. Infatti l’anomalo assetto della vegetazione pregiudica gravissimamente l’assimilazione della coltura: la piegatura dei culmi ostacola la salita della linfa greggia; le foglie anziché essere protese a ricevere la luce, vengono a trovarsi prostrate a terra in un ammasso dove la luce non entra, l’aria circola male, le malattie fogliari trovano condizioni favorevoli per attaccare. Il risultato è che il processo di assimilazione fotosintetica è compromesso nelle fasi cruciali di fioritura e/o granigione, sempre con produzione di granella scarsa e di pessima qualità.
L’allettamento si produce per una causa meccanica: la forza orizzontale del vento, e il suo verificarsi o meno dipende, a parità di forza del vento, dalle caratteristiche della copertura vegetale: altezza delle piante, robustezza, elasticità e sanità dei culmi.
Queste caratteristiche della vegetazione dipendono in parte da fattori varietali, geneticamente determinati, in parte da fattori ambientali. L’altezza dei culmi è una caratteristica prevalentemente varietale, ma sulla quale influisce anche il livello di concimazione. La robustezza dei culmi dipende prevalentemente dalle condizioni di concimazione. L’elasticità dei culmi dipende prevalentemente dalle condizioni di coltivazione: semine troppo fitte e squilibri o eccessi di concimazione azotata predispongono le colture ad allettarsi perché per la forte competizione reciproca i culmi durante la levata si significano poco e restano sottili e deboli, specialmente gli internodi più bassi, quelli meno illuminati e più sollecitati meccanicamente.
L’allettamento è anche la conseguenza dell’attacco di un fungo (mal del piede prodotto da Cercosporella) che rende fragile la paglia nella parte basale dei culmi di frumento.
L’allettamento è il principale fattore determinante il limite di produttività dei cereali “a paglia” (tipo frumento). Lo straordinario aumento del livello produttivo delle varietà ottenute negli ultimi cinquanta anni è il risultato dei progressi del miglioramento genetico combinati con i progressi della tecnica colturale. I genetisti hanno selezionato varietà più resistenti all’allettamento che hanno consentito di modificare la tecnica colturale, intensificando la concimazione azotata e di conseguenza le produzioni unitarie.
Grandine. La grandine arreca danni particolarmente sensibili se cade alla spigatura e alla maturazione.

Parassiti vegetali

Numerosi sono i funghi patogeni che possono attaccare il frumento nei suoi vari organi, dalle radici alla spiga, da soli o in associazione, in tempi diversi o contemporaneamente. Vi sono parassiti considerati secondari in passato che oggi, con l’intensificazione della coltivazione, stanno aumentando la loro pericolosità.
I più importanti e comuni sono i seguenti.
Mal del piede. Per mal del piede si intende un quadro patologico che si manifesta sulla parte basale del culmo del frumento e sulle radici e che è provocato da diversi possibili agenti patogeni.
I più noti sono:
– Ophiobolus graminis, molto frequente in Italia nelle zone di coltivazione del frumento tenero e solo eccezionalmente in quelle del frumento duro;
– Cercosporella herpotricoides i cui attacchi rendono fragile la paglia e quindi provocano allettamenti a tappeto; è molto frequente e temuta nelle zone cerealicole fresche e umide del centro-nord d’Europa, mentre in Italia si riscontra solo nelle annate eccezionalmente piovose;
– Funghi del gen. Fusarium (F. nivale, F. culmorum, F. graminearum), sono i più importanti e diffusi agenti del mal del piede sia nell’Italia centro-settentrionale sul frumento tenero sia in quella meridionale sul frumento duro.
Il sintomo più evidente è l’imbrunimento della parte basale dei culmi accompagnato da alterazioni delle radici. In conseguenza di ciò si ha arresto dello sviluppo dei culmi di accestimento, e quindi riduzione del numero di spighe a m2; se i culmi affetti arrivano a formare la spiga, si disseccano precocemente, sbiancandosi, e la spiga resta vuota di granelli o con granelli piccoli e striminziti.
Il mal del piede viene favorito dai seguenti fattori predisponesti:
– Ristagni d’acqua: infatti spesso si rileva con diversa intensità in punti diversi dallo stesso campo;
– Semine troppo anticipate;
– Cattivo stato nutrizionale: una buona concimazione azotata è un potente mezzo di prevenzione;
– Un cereale come coltura precedente: il più importante effetto negativo del ringrano, ossia della monosuccessione di frumento, è l’intensificazione degli attacchi di mal del piede;
– Presenza della paglia in superficie.
Contro il mal del piede non esistono cure efficaci o varietà resistenti. Di conseguenza questa malattia si può prevenire solo con mezzi agronomici che riducono le cause predisponenti: interramento della paglia del cereale precedente; sistemazione dei terreni che assicuri un adeguato sgrondo delle acque; concimazione azotata abbondante; avvicendamento con colture diverse dai cereali; semine ritardate nei terreni a rischio.
Ruggini. Il sintomo caratteristico di questa famiglia di malattie è costituito da pustole di diverso colore, a seconda del fungo responsabile.
Tre ruggini principalmente attaccano il frumento:
– La ruggine gialla (Puccinia glumarum o striiformis) che forma pustole piccole, arrotondate, gialle, allineate tra le nervature delle foglie e sulle spighe; essendo la meno termofila gli attacchi possono verificarsi anche assai presto in primavera, provocando danni molto seri in certe annate sulle varietà sensibili;
– La ruggine nera (Puccinia graminis varietà tritici): è la più termofila, che attacca tardivamente le guaine e i culmi del frumento formandovi pustole allungate, bruno-nerastre e provocando la “stretta” nelle varietà molto tardive (mentre le attuali varietà precoci le sfuggono);
– La ruggine bruna (Puccinia recondita o triticina) che provoca pustole giallo-rossastre sparse sulle due facce delle foglie, ha esigenze termiche intermedie tra le precedenti e provoca attacchi sporadici ma gravi.
La diffusione delle ruggini è favorita dal rigoglio vegetativo e dal decorso climatico caldo e umido; perciò le ruggini sono particolarmente temibili nei terreni vallivi, umidi, nei climi nebbiosi, sui frumenti tardivi o su quelli concimati con eccesso di azoto. I rimedi preventivi risultano quindi evidenti. La scelta di varietà tolleranti resta comunque il mezzo più efficace per evitare i danni da ruggine; per la ruggine bruna e nera un tipo di resistenza efficiente si è dimostrato la precocità che consente di sfuggire agli attacchi.
Oidio. L’oidio o mal bianco (Erisiphe graminis varietà tritici) colpisce foglie, steli e spighe formando una lanugine superficiale, prima bianca poi grigiastra disseminata di punti neri. Questa malattia si sviluppa in particolare in colture molto fitte e rigogliose e quando il cielo è coperto.
Forti attacchi riducono la capacità di assimilazione del fogliame; gravi in special modo gli attacchi sulla penultima e ultima foglia (foglia-bandiera).
Septoriosi. Le septoriosi sono provocate da septoria tritici e Septoria nodorum. La prima si sviluppa sulle foglie di frumento durante gli inverni miti, provocando macchie bruno chiare a forma di losanga che finiscono per confluire fino a disseccare le foglie.
La seconda attacca anche i nodi del culmo, che diventano molli, poi le spighe che diventano grigiastre per il disseccamento delle glume.
Le septoriosi, in caso di semente contaminata, provoca il marciume delle piantine in germinazione; a evitare questo pericolo serve la concia delle semente.
Carie. La varie (Tilletia tritici e Tilletia laevis) sono altri parassiti fungini che trasformano i chicchi del frumento in granelli ovoidali tozzi, grigio-bruni, pieni di una polvere scura dall’odore di pesce fradicio. Escludere dalla semina la granella proveniente da campi infetti ed effettuare la concia del seme sono rimedi pienamente efficaci.
Carbone. Assai meno pericoloso della carie è il carbone (Ustilago tritici), che appare alla spigatura. Le giovani spighe si presentano prive di spighette e ricoperte di una polvere bruno-scura.
La concia del seme con i fungicidi sistemici oggi disponibili è il rimedio migliore.
Segale cornuta (Claviceps purpurea). Anche se questa malattia è molto più diffusa e grave nella segale, in rari casi è rilevabile anche sul frumento, specialmente quello duro. Il parassita si sviluppa nell’ovario dei fiori che trasforma, con la maturazione, in un corpo duro, allungato, nero-violaceo, che è lo sclerozio del fungo. Questi sclerozi contengono diversi alcaloidi (ergatossina, ecc.) fortemente tossici per l’uomo. Il limite legale di tolleranza nei cereali è l’1‰ di sclerozi nella massa.
Difesa. Mentre la concia della semente è un irrinunciabile intervento preventivo, molto opinabile è la tendenza recente a fare trattamenti anticrittogamici per prevenire e/o combattere le sopra citate malattie fogliari.
Nei Paesi del Centro Europa questi trattamenti sono diventati ordinari, considerati necessari per realizzare le altissime produzioni ivi conseguibili grazie a un clima favorevole al cereale ma anche alle crittogame fogliari.
In Italia, dove le condizioni climatiche sono meno umide e quindi meno propizie agli attacchi fungini, in genere è sufficiente evitare di coltivare varietà suscettibili ma scegliere quelle geneticamente resistenti o tolleranti, perché questi trattamenti possano essere omessi: il che è un vantaggio economico non meno che ecologico.

Parassiti animali

I parassiti animali che attaccano la pianta di frumento non provocano, di solito, danni diffusi, e in genere non richiedono interventi appositi durante la vegetazione.
Il seme appena affidato al terreno può essere preda di topi, delle arvicole, dei passeri e di altri uccelli.
La base dei culmi può venire minata dalle larve degli elateridi (Agriotes lineatus, A. obscurus, A. pilosus).
Le larve della mosca del frumento (Clorops taeniopa, Oscinella frit) possono provocare danni sensibili scavando gallerie nello stelo.
Sulle spighe, all’epoca della fioritura, si possono trovare colonie di afidi (Sitobium avenae, S. granaria). Sempre sulle spighe, in talune zone cerealicole si possono verificare attacchi massicci di cimici delle piante (Aelia rostrata) che danneggiano il raccolto con le loro punture alle spighe e alle cariossidi. Solo dopo attenta valutazione della gravità degli attacchi e dell’entità del danno atteso (“soglie d’intervento”) si dovrà decidere se intervenire.
La granella immagazzinata è soggetta agli attacchi delle tignole e del punteruolo. La larva della tignola vera (Sitotroga cerealella) penetra nel chicco nutrendosi del suo contenuto amidaceo e può produrre danni ingenti. Invece la larva della falsa tignola (Tinea granella) riunisce con fili sericei più granelli e se ne ciba. Quando l’attacco è intenso, alla superficie dei mucchi si forma un feltro di cariossidi collegate tra loro. La femmina del punteruolo (Calandra spp.) depone un uovo per cariosside; la larva si nutre rodendo l’interno del chicco.

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Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Tecnica del diserbo.
Il diserbo del frumento può essere fatto:
– pre-semina,
– pre-emergenza,
– post-emergenza precoce,
– post-emergenza tardiva.

Diserbo pre-semina
Si fa solo nel caso di semina diretta senza lavorazione su terreno inerbito. I prodotti impiegabili sono disseccanti ad azione totale: dipiridilici (assai tossici) e i meno tossici glifosate e derivati:
– Diquat e Paraquat (per contatto)
– Glifosate (sistemico)
– Glifosate trimesio (sistemico)
– Glufosinate ammonio (per contatto).

Diserbo pre-emergenza
È quello fatto subito dopo la semina, prima che la coltura sia nata.
Il diserbo di pre-emergenza è, per definizione, un intervento preventivo fatto alla cieca senza sapere l’entità e la natura dell’infestazione che si verificherà.
Esso è consigliabile nei terreni i cui, per esperienza, si sa che ci si deve aspettare infestazioni costantemente pesanti e costituite da una flora mista di dicotiledoni e graminacee. I prodotti da usare dovranno quindi avere un’azione ad assorbimento radicale e antigerminello con lunga persistenza di azione ed uno spettro ampio, comprendente sia specie a foglia larga che graminacee.
Diserbo post-emergenza precoce.
È l’intervento più praticato e razionale perché viene deciso a ragion veduta dopo aver ispezionato con tempestività e diligenza le coltivazioni per:
– verificare se l’infestazione è di gravità tale da giustificare economicamente il trattamento diserbante,
– identificare allo stato di plantule le specie di erbe infestanti che sono nate o stanno nascendo.
È in questo modo razionale che si decide se o come diserbare.
I casi possono essere diversi:
– infestazione di sole dicotiledoni facili;
– infestazione di dicotiledoni difficili;
– infestazione mista di dicotiledoni e graminacee senza o con poca avena sel­vatica;
– infestazione mista di dicotiledoni e graminacee con molta avena;
– infestazione di graminacee con molta avena selvatica.

Il frumento è una caratteristica coltura asciutta delle nostre regioni e dei climi temperati ma già nel clima temperato-caldo e ancor più nei climi aridi la pianta trae vantaggio notevole dall’irrigazione. Per evitare stress idrici è necessario intervenire quando il 50-60% dell’acqua disponibile nel terreno è stato consumato. Il sistema di irrigazione più razionale è quello a pioggia. Il fabbisogno complessivo è di 450-650 mm di acqua.

Raccolta e utilizzazione

Raccolta

La granella del frumento cessa di svilupparsi e di aumentare il suo peso secco al termine della maturazione gialla, o maturazione fisiologica, quando dalla pianta è scomparsa del tutto la clorofilla (salvo che in corrispondenza dell’ultimo nodo) la cariosside è leggermente attaccabile dall’unghia ma si spezza sotto i denti, e il suo contenuto d’acqua è del 30% circa. E’ da questo momento in poi che è possibile iniziare la raccolta.
Mietitura – Consiste nel tagliare a mano o a macchina (mietitrice) gli steli del frumento. Al taglio segue la accovonatura ossia la legatura in fasci del frumento (covoni) ciò può essere fatto anche meccanicamente con la mietilegatrice che miete e lega i covoni.
Trebbiatura – E’ l’operazione che si esegue per la separazione delle cariossidi del cereale dagli involucri che le racchiudono dalla paglia e dai rachidi delle spighe.
In passato la trebbiatura veniva fatta a mano poi c’è stata l’introduzione delle trebbiatrici per poi lasciare spazio alle moderne mietitrebbiatrici che fanno tutti i lavori dalla mietitura alla trebbiatura insieme.

Mietritrebbiatura

Produzione

Il record mondiale di produzione del frumento tenero è di 14 t/ha di granella secca al 13% di acqua.
In Italia la Val padana dà le produzioni maggiori con 6-7 t/ha. In Italia centrale possono essere previste rese medie di 5-6 t/ha. Nell’Italia meridionale e insulare le rese medie sono parecchio più basse 3,5-4,5 t/ha e più irregolari da anno ad anno, in conseguenza del peggiore e più irregolare regime idrico.
Oltre alla granella che rappresenta il prodotto principale il frumento produce paglia e pula.
La quantità per ettaro di questi sottoprodotti varia con le condizioni colturali più o meno favorevoli e con le varietà.

Utilizzazione

L’utilizzazione assolutamente prevalente del frumento tenero è per la preparazione dei prodotti da forno e segnatamente del pane, definito dalla legge “il prodotto ottenuto dalla cottura di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune.”.
La prima destinazione della granella di frumento tenero è quindi la macinazione o molitura, operazione con la quale si provoca lo schiacciamento delle cariossidi e la separazioni di tre parti:
– Endosperma amilifero – da cui si ricava la farina.
– Embrione o germe – ricco di grasso e facile da irrancidirsi.
– Crusca – costituita dai tegumenti ricchi di fibra ai quali resta attaccato lo stato aleuronico, ricco di proteine e di sostanze minerali (ceneri).
Il germe, ricco di grasso, viene prima sottoposto a estrazione dell’olio e poi trova impiego nell’industria mangimistica.
La crusca e i suoi derivati (cruschello, tritello e farinaccio) sono usati prevalentemente nell’alimentazione zootecnica ma anche come prodotti dietetici ricchi di fibra.

Continua

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Grano o frumento tenero – Triticum spp.
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Tribù: Hordeae
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Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Cure colturali. Le operazioni colturali che possono essere fatte al frumento tra la semina e la raccolta sono le seguenti.
Rullatura. Se al momento della semina il terreno fosse asciutto e molto soffice (cosa che nel clima italiano non accade molto spesso) una rullatura pesante potrebbe favorire nascite più pronte e regolari, facendo aderire meglio il terreno al seme e favorendo la risalita d’acqua per capillarità. Molto più frequente è il caso che i terreni argilloso-calcarei sotto l’azione ripetuta del gelo e del disgelo acquistino una struttura estremamente sof­fice in superficie, il che nel caso di inverni poco piovosi ostacola lo sviluppo delle radici avventizie con conseguenze negative di una certa gravità. In queste condizioni una rullatura in inverno delle colture in fase di accestimento con un rullo pesante che accosti alle radici il terreno sollevato dal gelo risulta spesso utilissima.
Irrigazione. L’irrigazione del frumento è in Italia eccezionale, limitata a certe zone del Piemonte e della Lombardia caratterizzate da terreni permea­bilissimi («terre ladine»). In alcune plaghe della Terra l’irrigazione è pratica ordinaria: può aiutare la coltura a nascere, in autunno o, più spesso, a favorire le fasi di fioritura e granigione.
Se si disponesse di impianti efficienti di irrigazione a pioggia e di acqua a buon mercato, l’irrigazione potrebbe essere utilissima in molte zone dell’I­talia meridionale in certe annate particolarmente asciutte. La tecnica migliore è irrigare a pioggia leggera (onde non provocare allettamenti), bagnando uno strato di terreno di 0,6-0,7 m, durante la spigatura e/o dopo la fecondazione, in modo da favorire la granigione in un momento (maggio) in cui la traspirazione è assai forte e le piogge scarseggiano.
Trattamenti anticrittogamici. Una tecnica per difendere varietà poco resistenti dagli attacchi di malattie fogliari (oidio, ruggini, septoria, ecc.) è quella di irrorare le coltivazioni con adatti anticrittogamici. Considerazioni economiche non meno che ecologiche dovrebbero indurre a fare l’uso più ridotto possibile di questi trattamenti. Questo in Italia si può fare scegliendo varietà tolleranti e approfittando del fatto che gli attacchi crittogamici qui sono meno favoriti dal clima.
Controllo delle erbe infestanti. Data la fittezza delle coltivazioni la sarchiatura meccanica è impossibile. In passato la lotta contro le erbe infestanti era fatta unicamente a mano con scerbature e sarchiature che richiedevano 60-80 ore per ettaro.
Un artifizio che in passato aveva lo scopo di agevolare la sarchiatura era la semina a file binate.
Al giorno d’oggi il controllo delle malerbe nei seminati di frumento si può fare in maniera efficace ed affidabile solo con il diserbo.
Ciò non significa che si possano trascurare tutti i mezzi indiretti idonei a ridurre la gravità delle infestazioni, come rotazione colturale, lavorazioni appropriate, impiego di semente di qualità, ecc.. Ma è da tenere per fermo che un’adeguata, ancorché oculata, lotta diretta è quasi sempre indispensabile per ridurre il danno che le erbe infestanti provocano alla produzione del frumento, danno stimato sul 25% come media, ancor maggiore in certi casi.
La trattazione del diserbo sarà fatta più che altro sul più razionale modo di impostare la lotta alla vegetazione avventizia.
Le prime e fondamentali basi conoscitive necessarie per ben diserbare sono le seguenti:
– la conoscenza delle specie che si trovano ad infestare il frumento;
– la conoscenza del potere competitivo di ognuna per potere stimare la «soglia» che giustifica l’intervento (non per tutte le specie infestanti tali soglie si conoscono con precisione);
– la capacità di identificare le specie allo stadio di plantula.
Le specie infestanti.
Nel lungo periodo tra la semina del cereale (in autunno) e l’avvio della levata (fine marzo) la crescita della coltura è lenta e il suo potere soffocante è scarso, e d’altra parte c’è opportunità di nascere per una flora molto variata, sia di specie a basse esigenze termiche che danno luogo a infestazioni precoci autun­nali e invernali sia di specie più termofile a nascita primaverile. Vi sono poi specie (ad esempio l’avena) che nascono con grande e imprevedibile scalarità.
Ciò tende necessario che l’impostazione del diserbo del frumento sia fatta con un approccio assai articolato atto ad assicurare il contenimento dì così diverse infestazioni per il lungo periodo (circa 150 giorni) dalla semina alla levata, tutto ciò curando di limitare al minimo l’uso di prodotti chimici per ovvi motivi sia economici che ecologici.
Altro aspetto importante da considerare è che non tutte le specie hanno la stessa facilità di essere controllate. Molte specie che in passato erano un serio problema oggi non lo sono più perché facili da debellare, ma nel frattempo altre specie hanno aumentato la loro presenza e la loro nocività perché poco sensibili agli erbicidi diffusisi negli ultimi decenni. Infatti con la diffusione della pratica del diserbo ormai spesso si rileva l’insorgenza di una flora di nuovo tipo, comprendente come specie dominanti quelle resistenti all’erbicida usato sistematicamente.
Non sempre si tratta di mutazioni spontanee che conferiscono resi­stenze genetiche ad infestanti tradizionali (che pure sono documentate), ma il più delle volte si tratta di specie spontanee la cui presenza finora era limitata agli incolti, ai fossi, alle prode, eccetera (specie «ruderali») e che ora grazie alla loro resistenza si sono diffuse negli appezzamenti coltivati occupando la nic­chia ecologica non più occupata dalle erbe infestanti tradizionali e così costituendo la cosiddetta «flora di sostituzione».
Nel frumento hanno seguito questa via molte ombrellifere, composite, attaccamano, ecc.
Le misure generali per prevenire queste evenienze sono semplici:
– evitare le monosuccessioni colturali;
– evitare il monodiserbo, alternando prodotti diversi;
ricorrere a miscele di diserbanti di gruppi chimici diversi magari con dosaggi ridotti.

Salute e Benessere

Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
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Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Effetti positivi dell’azoto
Gli effetti positivi dell’azoto possono così essere enumerati:
– all’accestimento: favorisce l’emissione di radici e germogli e quindi pro­muove il numero di spighe per m2;
– al “viraggio”: favorisce la morfogenesi delle infiorescenze, che quindi pre­sentano più spighette e più fiori;
– alla levata: determina il potenziale di assimilazione («source») della pianta aumentando sia la quantità di clorofilla sia la superficie delle foglie sia la durata funzionale di queste;
– alla fioritura: favorisce la fecondazione e riduce l’aborto degli ovuli per cui si hanno più cariossidi per spiga;
– durante la granigione: migliora il tenore proteico e le caratteristiche merceolo­giche della granella. Sul peso medio delle cariossidi l’azione è variabile: se le condizioni climatiche durante la granigione sono favorevoli e l’acqua non è fattore limitante, l’azoto fa aumentare il peso medio dei semi; se invece l’acqua scarseggia, questo carattere può non aumentare o addirittura diminuire.
L’azoto riduce l’intensità dell’attacco di mal del piede.

Effetti negativi dell’azoto
Mentre nel caso di fosforo e potassio gli eccessi non sono dannosi, l’azoto può dar luogo a inconvenienti anche gravi.
– Allettamento. Con abbondanza di azoto gli internodi del culmo sono poco lignificati e molto acquosi, gli steli sono più fitti e più alti: come risultato si ha una pericolosa facilità di allettamento.
– Maggiore incidenza delle malattie fogliari. Il rigoglio vegetativo e la fittezza della vegetazione promossi dall’azoto creano un ambiente umido e poco aerato che predispone a intensificati attacchi delle crittogame fogliari.
– Maggiori esigenze idriche. Piante ben concimate con l’azoto sono più fitte, più fogliose e, quindi, traspirano più acqua.

In climi aridi e in terreni a bassa capacità idrica la fittezza e la conci­mazione del frumento dovranno essere regolate tenendo conto di questo ele­mento: infatti in stagioni e terreni secchi, in seguito a forti concimazioni azo­tate si può riscontrare un certo abbassamento del peso medio delle cariossidi.
Salvo che in climi e in terreni molto aridi, l’effetto positivo dell’azoto razionalmente applicato è tanto forte sul numero di spighe a m2 e di cariossidi per spiga, da superare il possibile abbassamento del peso medio di un seme: per cui la resa di granella, che è la risultante di queste tre componenti, risulta, quasi senza eccezioni, aumentata così come la qualità intesa come maggior contenuto percentuale di proteine.
La sperimentazione ha dimostrato che entro ampi limiti le rese crescono proporzionalmente con l’azoto: ciò non deve esimere gli agricoltori dal preoccuparsi di non eccedere con la concimazione azotata oltre il fabbisogno fisiologico, perché così facendo potrebbero dar luogo a rilasci di nitrati non utilizzati verso le falde acquifere.
Dosi di concimazione.
Le dosi dei vari elementi nutritivi da apportare con la concimazione vanno stabilite oculatamente per evitare sia insufficienze che eccessi: questi potrebbero costituire semplice spreco o, talora, essere causa di effetti negativi sulla resa.
P e K Conoscendo la dotazione del terreno in K2O si potrà decidere se la concimazione con K è necessaria o può essere omessa. In caso sia neces­saria, si procederà a una semplice restituzione: 50-100 unità secondo che la paglia resti o venga asportata.
Per il fosforo vale analogo ragionamento: si dovranno ogni anno apportare i 60-80 kg/ha di P205 che verranno asportati.
N. È la scelta più difficile in quanto se la dose è inferiore a quella ottimale le rese saranno basse, se superiore si possono avere inconvenienti.
La dose di concimazione azotata va decisa caso per caso, ispirandosi ai criteri enunciati precedentemente e che qui esemplifichiamo:
– produzione che è ragionevole aspettarsi nella zona in base alle rese massime conseguite dalle aziende più progredite con una buona, ma non straor­dinaria, tecnica colturale: 7 t/ha di granella. Fabbisogno di azoto per sostenere tale produzione: 210 kg/ha di azoto, mettendo in conto un assorbimento di 3 kg di azoto per ogni 100 kg di granella producibile.
– Detrazioni: riduzioni della concimazione possono essere fatte considerando l’entità della «forza vecchia», ad esempio: -80 kg/ha di azoto dopo prato di erba medica; -40 dopo una coltura letamata; -50 dopo barbabietola da zuc­chero non letamata; -40 dopo girasole, ecc.
– Aumenti. Nessuna detrazione va fatta dopo una coltura sfruttante, come ad esempio lo stesso cereale: addirittura bisogna prevedere aumenti se la paglia del cereale era stata interrata: 1 kg di azoto in più per ogni 100 kg di paglia. Anche dopo sorgo è da prevedere un supplemento di 30-40 kg/ha di azoto. Ritocchi maggiorativi molto utili per ottimizzare la concimazione potranno essere fatti in occasione dell’ultima concimazione di marzo. Qualora la piovosità dei precedenti mesi autunno-invernali fosse stata abbondante tanto da lasciar presumere dilavamento dell’azoto solubile, questa integrazione, di qualche decina di kg/ha di azoto, andrà stimata secondo l’entità presunta del dilavamento dell’azoto solubile. Modelli di previsione o metodi di misura della dotazione di azoto prontamente utilizzabile alla ripresa vegetativa primaverile non sono disponibili con la necessaria affidabilità. Un indice empirico, grossolano ma efficace, è il colore del fogliame all’inizio della levata: un colore verde pallido o con sfumature verso il giallo denuncia che c’è stata la carenza di azoto nella fase precedente e che quindi la stima della forza vecchia va ridotta e aumentata in proporzione la dose dell’ultima azotatura.

In conclusione, le varietà più moderne e produttive vanno concimate con 120-220 kg/ha di azoto (la cifra inferiore valendo per le precessioni più miglioratrici, la superiore per quelle più sfruttanti).
Per consentire al frumento di tollerare senza danno dosi di azoto superiori a quelle che la sua resistenza all’allettamento gli consentirebbe, è attua­bile una tecnica di forzatura che fa ricorso a trattamenti con prodotti fitormo­nici nanizzanti o brachizzanti, cioè capaci di ridurre la taglia del frumento, determinando un raccorciamento degli internodi, e quindi di conferire una superiore resistenza all’allettamento. I risultati sono soddisfacenti solo con le varietà a taglia alta; in quelle, peraltro le più consigliabili, già di per sé a taglia bassa il trattamento è inefficace.
Epoca delle concimazioni.
Concimazione fosfo-potassica.
Il fosforo e il potassio sono energicamente rattenuti dal terreno e sono dotati di scarsissima mobilità sia in senso orizzontale che verticale. Pertanto è neces­sario che essi vengano mescolati al terreno fino alla profondità in cui si svilup­perà la rizosfera della coltura.
La maniera più razionale di distribuire i concimi fosfo-potassici sarebbe dunque quella di darli prima della lavorazione principale, ed è questa la tecnica da seguire quando si concimi un terreno per la prima volta; tuttavia nel caso di agricoltura evoluta dove ormai la concimazione è una pratica ordi­naria, non è un grave errore se, per anticipare meno capitale, si rinvia la som­ministrazione dei concimi a prima della semina, interrandoli con una erpica­tura.
Concimazione azotata.
La tecnica di concimazione azotata dimostratasi la più razionale economica­mente ed ecologicamente è quella di dare l’azoto non molto prima del periodo di utilizzazione da parte della coltura per ridurre al minimo il rischio di dilava­mento. Pertanto concimazioni abbondanti alla semina sono da sconsigliare, anche visti i limitati fabbisogni iniziali della coltura e la presumibile «forza vec­chia» presente nel terreno.
Solo dopo colture sfruttanti (ringrano, sorgo) e dopo l’interramento di residui pagliosi un apporto supplementare di 20-30 kg per ettaro di azoto può essere utilmente dato alla semina, magari insieme al concime fosfatico.
A parte questi casi di concimazione supplementare, tutto il fabbisogno di azoto può essere soddisfatto con concimazioni in copertura, cioè sulle col­ture già in atto: la tecnica collaudata come migliore è di fare 2-3 concimazioni:
– una, non sempre necessaria e comunque di modesta entità, nel mese di gennaio per favorire l’accestimento; potrebbe essere omessa se l’osservazione mostrasse seminati in buone condizioni di sviluppo e di colore, in caso con­trario va fatta con il 15-20% della dose totale prevista;
– una, indispensabile nel mese di febbraio, per favorire il viraggio e la morfo­genesi delle spighe, distribuendo il 35-40% del totale;
– una, fondamentale in marzo, poco prima dell’inizio della levata, per assicu­rare il soddisfacimento degli elevatissimi fabbisogni durante la levata: ciò distribuendo la rimanente quota del 45-50% del totale.
Scelta dei concimi.
Il tipo di concimi da usare per la fertilizzazione del frumento ha importanza secondaria rispetto alla quantità e alla modalità di applicazione. La scelta del tipo di concime va fatta secondo i seguenti criteri:

– costo dell’unità fertilizzante in campo o, come suol dirsi, «alla radice» (com­prendendo quindi costo del concime e costi di trasporto e di spandimento); – prontezza d’azione;
– dilavabilità;
– vantaggi accessori dovuti ad azioni o apporti particolari.

Per quanto concerne il fosforo e il potassio non ci sono problemi in quanto, salvo casi particolarissimi, qualsiasi forma va bene, possibilmente granulare.
Per la concimazione azotata la scelta dei concimi è prevalentemente orientata come segue:
– alla semina: l’eventuale modesta dose di azoto può essere comodamente fornita insieme alla concimazione fosfatica, ad esempio con 150 kg/ha di fosfato biammonico 18-46;
– in copertura: la scelta è limitata al nitrato ammonico (26-27%) e all’urea (46%), dato il costo molto superiore dell’azoto degli altri concimi. Il primo presenta uniti i vantaggi della prontezza della parte (50%) nitrica e della non dilavabilità della parte ammoniacale. L’urea ha il costo più basso e si presta ottimamente all’applicazione in copertura manifestando una sor­prendente prontezza d’azione, non molto dissimile dalla prontezza della forma nitrica; per questo è sempre più largamente impiegata. I concimi organici in generale non sono adatti al frumento in quanto il loro azoto viene rilasciato troppo tardi, in primavera inoltrata.
I concimi azotati liquidi (sospensioni e soluzioni) a base di urea e nitrato ammonico, con titolo 30-0-0 stanno incontrando il favore di parecchie aziende che li impiegano per la concimazione in copertura al frumento. L’effetto nutritivo dei concimi azotati liquidi è del tutto equivalente a quello di corrispondenti quantità di concimi solidi, ma consentono notevoli vantaggi di organizzazione dato che lo stoccaggio e il trasporto si fanno in cisterne, i travasi con pompe e la somministrazione con macchine irroratrici di grande capacità operativa.
Distribuzione.
Quando la concimazione azotata è spinta fino ai limiti di tolleranza della coltura, diventa di grande importanza la regolarità della distribuzione. Infatti se questa non è uniforme ci saranno aree del campo concimate con quantità infe­riori a quelle stabilite e quindi sub-ottimali, mentre in altre aree si supererà la dose e si potranno verificare dannosi allettamenti. Come conseguenza le rese saranno comunque inferiori a quelle che si sarebbero potute ottenere con una buona esecuzione della concimazione. Quindi è importante regolare bene gli spandiconcime o le irroratrici (nel caso di concimi liquidi).
Poiché il fosforo e il potassio devono essere dati prima della semina e l’azoto tutto (o quasi tutto) in copertura, è chiaro che i concimi complessi non sono l’ideale per la concimazione del frumento, per la impossibilità di sommi­nistrare gli elementi nel momento migliore.
Impatto ambientale della concimazione del frumento.
È giusto e doveroso porre attenzione agli effetti negativi che ogni pratica agri­cola ha sulle componenti ambientali e la concimazione, specialmente quella azotata, può avere tali effetti negativi. Nel caso del frumento può affermarsi che questi effetti sono trascurabili in base alle seguenti considerazioni:
– concimazioni azotate eccessive sono rare perché il pericolo di allettamento le scoraggia;
– il frazionamento in copertura vicino al momento di forte assorbimento riduce il rischio di dilavamento;
– i residui pagliosi interrati sono un efficacissimo mezzo per bloccare l’azoto che si mineralizza nel corso dell’estate, sottraendolo al possibile dilava­mento in autunno-inverno.

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Salute e Benessere

Grano o frumento tenero – Triticum spp.
Atlante delle coltivazioni erbacee – Cereali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Hordeae
Specie: Triticum spp.

Francese: blè; Inglese: wheat; Spagnolo: trigo; Tedesco: Weizen.

Concimazione.

Criteri generali
Una razionale concimazione al frumento deve basarsi sui seguenti criteri di base.
· Fabbisogni. Il fabbisogno fisiologico di elementi fertilizzanti per ogni 100 kg di granella prodotta e della paglia relativa è il seguente:
Azoto
3 kg di cui: 2,5 asportati con la granella – 0,5 residuali nella paglia

Fosforo P2O5
1,5 kg di cui: 1,1 asportati con la granella – 0,4 residuali nella paglia

Potassio K2O
2,5 kg di cui: 0,5 asportati con la granella – 2 residuali.

Epoca di utilizzazione
– Nella fase iniziale, dalla emergenza alla 3° foglia, la plantula si nutre delle riserve del seme.
– Durante tutta la fase di accestimento le piante sono piccole e l’accresci­mento è lento, cosicché l’assorbimento dei nutrienti, nei circa 3 mesi di durata di questo periodo (indicativamente da dicembre a febbraio), è modesto, stimabile in 1/4 della quantità complessiva.
– Dall’inizio della levata (marzo) alla fioritura (maggio) la coltura assorbe i 3/4 circa della quantità complessiva.
– Durante la fase di granigione l’assorbimento è limitato per il fosforo, molto limitato per l’azoto.
Fornitura da parte del terreno.
Il fosforo e il potassio non sono dilavabili essendo adsorbiti dal terreno e ven­gono rilasciati nella soluzione circolante man mano che la coltura li assorbe:
basta perciò integrare la dotazione del terreno, se insufficiente, con concima­zioni presemina.
Per l’azoto le cose sono assai più complicate, infatti la fornitura di azoto al frumento da parte del terreno è sempre insufficiente a soddisfare i fab­bisogni colturali sia perché scarsa sia perché ritardata rispetto a questi bisogni. Infatti l’azoto nel terreno si trova sotto le seguenti tre forme:
– azoto nitrico: è la forma in cui l’azoto è assorbito dalla maggior parte delle piante; è mobile, dilavabile, difficile da misurare; deriva dalla ossidazione dell’azoto ammoniacale ad opera dei batteri nitrificanti;
– azoto ammoniacale: deriva dalla mineralizzazione della sostanza organica; è adsorbito dal terreno; non è dilavabile; per essere utilizzato deve essere ossidato ad azoto nitrico;
– azoto organico: la sostanza organica è la più grande riserva di azoto del ter­reno (1’humus ne contiene il 5%: rapporto C/N=10); l’azoto organico viene tra­sformato in azoto ammoniacale nel processo microbico di mineralizzazione.
Durante i mesi freddi i processi sia di nitrificazione sia di mineralizza­zione sono praticamente sospesi a causa delle basse temperature (salvo rare e momentanee occasioni di tepore); riprenderanno a primavera inoltrata con il riscaldamento del terreno, ma troppo tardi rispetto al fabbisogno del frumento nella fase di levata.
Durante i mesi freddi nei quali il frumento svolge la lunga fase dell’ac­cestimento, esso può contare solo sull’azoto nitrico residuale (la «forza vecchia») della stagione calda precedente, la cui quantità è: 1) variabile come quantità, secondo il contenuto di sostanza organica del terreno, il tasso di mineralizzazione e il residuo di concimazione non utilizzata dalla coltura pre­cedente («forza vecchia»); 2) precaria in quanto la «forza vecchia» può essere dilavata, tutta o in parte, da piogge autunnali e/o invernali tanto abbondanti da provocare la lisciviazione dei nitrati.
In conclusione può dirsi che il terreno è un pessimo fornitore di azoto al frumento.
Considerato che questo elemento è il principale fattore della resa quanti-qualitativa del frumento e che la fornitura di azoto nitrico è scarsa, alea­toria e, comunque, tardiva, da ciò deriva che l’agricoltore deve inderogabil­mente intervenire con apporti di concimi azotati in modo da integrare in ogni momento le disponibilità naturali di azoto, così adeguandole al fabbisogno col­turale in ogni fase dello sviluppo.
Effetti della concimazione.
Potassio. Il potassio è un elemento indispensabile al metabolismo del fru­mento, come di qualsiasi altra specie, e se carente va apportato con la concimazione. In Italia i terreni in maggior parte hanno una dotazione di potassio buona o addirittura ottima tanto che la concimazione potassica fa prova di avere efficacia scarsa o nulla nell’incrementare le rese del frumento.
Fosforo. Il fosforo è un elemento indispensabile per un gran numero di reazioni e processi chimici fondamentali, tra i quali quello di sintesi del materiale genetico nei processi di divisione cellulare e di riproduzione. Quasi tutti i terreni del mondo sono molto poveri di questo elemento che quindi va apportato con concimazioni minerali, che inizialmente sono abbondanti, di «arricchimento», per poi ridursi alla dose di mantenimento una volta raggiunta la dotazione desiderata. In Italia, dove per molti decenni si sono impiegate dosi di concimazione fosfatica molto alte, si può considerare razionale limitarsi a restituire quanto asportato dalla coltura.
Gli eccessi di concimazione fosfatica e potassica non sono mai dannosi né alla coltura né all’ambiente essendo fissati dal terreno; tuttavia l’evitare sprechi va nel senso della economia e della ecocompatibilità.
Azoto. È il principale fattore limitante le rese: salvo i casi dove è l’acqua il fat­tore limite, l’azoto dà sempre risposte spettacolari con un’efficacia che può essere stimata, per le dosi ottimali, in 10-20 kg di granella in più per ogni kg di azoto applicato per ettaro.

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